mercoledì 22 maggio 2013

Se Robison Crusoe fosse vivo, ascolterebbe musica Ambient [Extra]

Da qualche parte, nel mondo, qualcuno avrà orgogliosamente trascorso almeno un sabato sera a letto ad ascoltare l'album Space (1990) di Jimmy Cauty. Chiunque egli sia, gli voglio bene e lo sento, in un modo o nell'altro, vicino. Lo dico perchè anch'io, a lungo, ho vissuto così, uscendo di rado e in solitudine, preferendo lo spazio ovattato e sicuro della mia camera alle mondanità dello spazio esterno. Probabile che fossi depresso: ma del resto, a neanche diciott'anni, senza più amore e buoni voti a scuola ci si sente perduti e con una grande voglia di starsene da soli. Tuttavia, una parte di me è sempre stata ingenuamente predisposta alla socievolezza e alla compagnia, e questa rischiava di prevalere in un momento dove essere socievole sarebbe risultato inopportuno. Così, sperimentai il contrario di ciò che viene fatto solitamente: ricercai delle distrazioni per isolarmi. 
Verso la tarda primavera del 2007 iniziai a dormire poco e ad uscire tutte le sere. Armato di lettore cd, facevo delle passeggiate che potevano durare dai venti minuti alle due ore, compiendo una sorta di itinerario del nulla che solitamente si concludeva o ad un autolavaggio aperto ventiquattro ore o nella parte medievale del mio paese. Il suono di cui il mio organismo sembrava avere bisogno era quello in grado di sintetizzare, con grazia, il lato più malinconico della musica e di unirlo ai ricordi, perlopiù recenti, di vita vissuta; il tutto senza far sì che la somma delle due parti desse luogo a panorami deprimenti. Era difficile, specie perchè la scelta dell'isolazionismo potrebbe apparire a priori deprimente. Il primo isolazionista- o almeno la prima persona in cui ho sempre intravisto le basi dello spirito isolazionista -è Robison Crusoe. Robinson Crusoe di Defoe è il primo romanzo inglese, oltre ad essere il primo, grande documento sull'individualismo radicale, una storia sulla sopravvivenza materiale e psichica di una persona normale che si ritrova isolata da tutto. Inoltre, se si pensa alle origini storiche e alle motivazioni sociali del libro borghese, scopriamo che il romanzo inglese era stato pensato principalmente per scacciare la noia. E il mio problema, all'epoca, era proprio la noia. Come ho già scritto, andavo in cerca di distrazioni, e più ne cercavo e più queste si rivelavano inefficaci; e così, a furia di aumentare le dosi, ero arrivato a controllare l'archivio degli SMS ogni quarto d'ora, a fumare non più quindici ma trenta sigarette al giorno, a trattenere la mia migliore amica al telefono non più venti minuti ma un'ora e mezza e a giocare a Snake II infrangendo record che fino a sei mesi prima avrei ritenuto impensabili anche solo da raggiungere. Al contrario di ciò che pensano certi "cervelloni" mondani, non ci si isola per supposta superiorità, ma ci si apparta autonomamente quando ci si accorge di essere esattamente come tutti gli altri, e dunque di non avere esperienze interessanti da scambiare o condividere con nessun altro. All'epoca, in pochi sembravano notare il mio cambio di rotta, e io ricambiavo con altrettanta freddezza e sincera indifferenza: del resto, molti miei amici e conoscenti erano ormai completamente immersi in rapporti cementati dal nulla e che, a lungo andare, nel nulla più totale si sarebbero conclusi. Se venivo invitato a dieci feste, non partecipavo a nove di queste, beccandomi talvolta dell'asociale. Ma l'isolazionista non è mai asociale: l'isolazionista coltiva il proprio niente in solitudine, senza volerlo condividere.
Con l'avvicinarsi dell'estate, la situazione peggiorò ulteriormente. Da una parte, ero libero dal dover sostenere il peso di socializzare ogni mattina con molta gente, dall'altra ero subissato di inviti e offerte vacanziere. Li rifiutai quasi tutti e scelsi giusto le mete e le compagnie che più si avvicinavano alla mia idea di buen retiro: una settimana dalla mia migliore amica, una settimana dal mio migliore amico. Allora come adesso, vivevo già in netto contrasto con una certa massificazione mentale di area sinistroide, quella che ti obbligava a farti piacere i viaggi spirituali, la pizzica salentina, i dischi unplugged e l'ipocrisia. Dunque non avevo bisogno di valigie e biglietti, e mi sarei fatto bastare la mia cameretta, una sorta di grotta intima e mediatico-mentale dove avrei principalmente scritto e ascoltato musica in grado di scagliarsi con prepotenza contro la forma-canzone. Passai la notte di ferragosto a guardare le stelle, con Timeless di Goldie sparato a tutto volume nelle cuffiette, a pensare che chiunque vedesse proprio nella notte l'unico momento poetico della giornata fosse un imbecille (e di questo sono convinto tuttora). Amo anche adesso il primo disco di Goldie, un autore destrutturalista che aveva eletto la jungle come proprio territorio di sperimentazione- nonostante si trattasse di un genere ancora da codificare -e i cui album successivi sarebbero risultati molto meno riusciti. Così come il più leggero e "solare" Moon Safari degli Air accompagnò certi miei intimi aperitivi marittimi, e alcuni brani sparsi di Jeff Mills (molti di questi erano estrapolati dal capolavoro Lifelike) fecero da colonna sonora alle calde notti di fine luglio. Tutti i più grandi artisti che si dichiaravano o che io consideravo dei veri isolazionisti finirono con l'essere ammessi in una virtuale agenda sonora giornaliera: al mattino quasi tutto Moby (escludevo i pezzi più house, che non mi sono mai andati giù), seguito a ruota da Luke Vibert e Mike Paradinas; inoltre, mettevo su spesso It's Tomorrow Already dei The Irresistible Force e Chill Out dei KLF. Gli ascolti pomeridiani erano selezionati in base all'umore: dunque, se ero "nero" cercavo la velocità di Squarepusher e la disumanizzazione degli Autechre, ma se ero più disteso optavo per i Plaid, i Future Sound Of London, i Sabresonic e i Two Lone Swordsmen. La notte era il momento ideale per un disco come Bytes dei Black Dog, una delle prime opere di techno sperimentale, oppure per alcune compilation "estreme" contenenti brani degli Orb o di Nightmares On Wax. Aphex Twin era l'unico ad essere sempre presente: mattina, pomeriggio e sera, per il semplice fatto che era (ed è) un genio. Inutile dire che, come tutto il resto, non condividevo quasi con nessuno certi ascolti, un po' perchè non volevo, un po' perchè a molti una canzone come Windowlicker faceva schifo. Si trattava perlopiù di individui poveri di spirito, arroganti esponenti della cultura popolare anti-elettronica, mostri che oggi fumano tabacco trinciato scadente e bevono pessima birra in pessimi centri sociali, emettendo rantoli contro una civiltà vuota, fredda, disumana, elettronica, capitalista. Io, al contrario, non ho perso mezzo brano degli artisti finora citati, ma riconosco che oggi, salvo rare eccezioni, ascoltare un disco come Selected Ambient Works vol. II non mi suscita più le emozioni del 2007. Rimane un capolavoro e uno dei più bei dischi del XX secolo, ma sono i miei orecchi che forse sono cambiati. A lungo ho pensato che questa musica mi avrebbe accompagnato per sempre, cullando il mio ego ferito, ma non è stato così: allora credevo che certi brani servissero a custodire il mio sogno di solitudine, e ci sono riusciti. Quando però mi accorsi che dovevo lasciare le isolate e remote stazioni lunari per fare ritorno sulla Terra, mi fu chiara la più grande e importante lezione dell'isolazionismo: alla fine di tutto, l'importante è rimanere umani.



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