mercoledì 8 maggio 2013

Le memorie di Sbelluccio Bellini (Capitolo VI) [Trame]


VI.
DO L'ADDIO ALLA CARRIERA MILITARE

Coloro che non sono mai stati lontani da casa non possono sapere cosa sia il sentire, in prigionia, la voce di un amico, e vi sono molti che non potranno comprendere la causa dello scoppio di sentimenti che ebbe luogo alla vista del cugino di Pisa. Nemmeno per mezzo secondo egli pensò a mettere in dubbio la verità di quanto avevo raccontato.
<<Sei il figlio di mio cugino Floriano!>>, gridò.
E credo che anche il suo cuore fosse commosso quanto il mio, avendo trovato, così all'improvviso uno dei suoi parenti; perché anche lui era in esilio, e una voce amica, uno sguardo, lo riportarono con la memoria alla patria lontana e agli antichi giorni della sua infanzia.
Fu con quache difficoltà che cominciai a spiegargli gli ultimi mesi della mia vita, dalla mia entrata nei servizi segreti fino a quando ero stato messo al suo servizio; descrissi dettagliatamente le istruzioni che avevo ricevuto dal ministro Walport e da suo nipote, il capitano. A quel punto, chiesi cosa nascondesse, oltre alla sua vera identità e alle sue nobili origini.
<<In realtà, caro Ferruccino, la mia sola congiura è un tavolo da gioco. Ma la regina è tanto sospettosa che vede una spia in ogni persona che viene nella sua lustra capitale, qui in mezzo a questo deserto di sbirri e ubriaconi. Io ti farei vedere città come Parigi o Berlino...>>.
Gli dissi che non vi era nulla che desiderassi di più che vedere qualche altra città, tranne Londra, e che sarei stato felice di liberarmi di questo odioso servizio militare. E infatti ritenevo, basandomi sulla sua splendida apparenza, dai mobili che stavano nella casa, dalla lussuosa automobile che stava in cortile, che il cugino di mio padre fosse un uomo di grande ricchezza e che avrebbe potuto comprare una dozzina, anzi un intero reggimento di agenti sostituti pur di riscattare la mia libertà. Ma mi ingannavo, e la storia che egli mi narrò sarebbe bastata a confermarmelo.
<<Sono stato in giro per il mondo>>, iniziò, <<dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, dopo che tuo padre, mio cugino, mi portò via da sotto il naso il feudo di famiglia, diventando un buon cattolico allo scopo di sposare la tua povera mamma. Tanto, ormai, quel che è stato è stato. È probabile, del resto, che avrei dissipato anch'io quella proprietà come fece lui e che avrei cominciato con un paio di anni di ritardo la vita che ho condotto dopo aver lasciato la Toscana. Vedi, sono stato al servizio di tutti e, detto in confidenza, ho debiti in tutte le capitali d'Europa. Lasciata la dirigenza in Ferrovia, mi sono battuto con gli operai di Torino contro i tiranni Agnelli, sono stato capitano rivoluzionario in Polonia contro i papisti e ho fatto il giro di tutta quella che un tempo si chiamava Unione Sovietica. Mentre te stavi nascendo, io ero impegnato a prendermi qualche pezzo di torta della vecchia Repubblica Federale Tedesca, ma nessuno mi ha dato niente e sono fuggito in Spagna, poi in Grecia e infine nel Golfo Persico, dove facevo il mercenario, un lavoraccio. Tornato in Italia, ho tentato di buttarmi in politica; avendo all'epoca toccato i quarant'anni, non contavo di vagabondare ancora per il mondo, ma non è stato così. La vittoria del Cavaliere avrebbe portato solo male, ed io me ne ero accorto e ho preferito vendere le mie proprietà a Pisa e dintorni e ripartire. Ed allora ho deciso che il gioco, il gioco sarebbe stato la mia vita. Il gioco e le belle donne!>>
Fece una pausa e si accese un toscanello, non prima di avermene offerto uno, che rifiutai. <<Le carte sono, da ormai vent'anni, il mio mezzo di sostentamento. Qualche volta ho fortuna, e investo il denaro in queste gemme che vedi. Sono gli unici modi in cui riesco a trattenere il denaro. Quando, invece, la fortuna non mi assiste, i diamanti vanno al monte dei pegni e io mi vesto di stracci e quant'altro. Ma in realtà, il mio grande segreto, è in una cassetta di sicurezza di Zurigo, in Svizzera. Là ci sono i soldi che, pur con enorme fatica e sacrificio, deposito e non tocco. Stasera, fra l'altro, ho una partita proprio con uno svizzero, un orefice che si chiama Maximilian e non parla una parola di inglese>>
Con un gesto di estrema eleganza, lasciò che il Rolex gli scivolasse giù dal polso e controllò l'ora, e poi, senza distogliere lo sguardo dal quadrante, mi chiese: <<Conosci le carte?>>
Risposi che sapevo giocare da soldato, ma non possedevo abilità particolari nel gioco.
<<Devi impratichirti questa mattina, ragazzo!>>, disse, <<E ti insegnerò un paio di cosette che varrà la pena sapere>>.
Fui ben lieto di avere quest'occasione di acquistare un po' di cultura e mi dichiarai felice di ricevere le istruzioni del cugino Luca. Ma il racconto che il monsieur aveva fatto della sua vita mi aveva colpito in modo piuttosto sgradevole.
Ad ogni modo, stabilimmo che io avrei continuato a fare la parte del maggiordomo e in presenza di estranei avrei mostrato di non conoscere una parola di inglese; che avrei dato un'occhiata alle carte che erano in mano ai giocatori mentre servivo lo champagne o il porto. Avendo un buon occhio e una grande attitudine naturale, fui presto in grado di dare a monsieur de Rabelais un valido aiuto contro i suoi avversari al tavolo verde. Non vi è poi bisogno di raccontare in tutti i piccoli accordi che avevamo preso tra noi; i giocatori del giorno d'oggi non hanno bisogno di essere eruditi. Ma la semplicità era il nostro segreto, come, a lungo andare, risulta essere semplice tutto ciò che al mondo ha successo. Se, ad esempio, toglievo la polvere da una sedia col tovagliolo, era per mostrare che il giocatore era forte a quadri; se la spostavo aveva asso e re; se dicevo <<Champagne o vino?>> significava fiori. Se mi soffiavo il naso era per indicare che c'era un altro compare impiegato dall'avversario, e allora, vi assicuro, avevano luogo dei veri prodigi di abilità.
La mia simulata stupidità era perfetta ed ero solito far sbellicare il ministro Walport nel corso dei miei rapporti alla Garden-House, fuori città, dove mi dava appuntamento. Tali rapporti, naturalmente, venivano concordati fra me e il cugino di Pisa in precedenza. Avevo istruzioni di dirgli tanto di verità quanto il mio racconto poteva contenerne, il che è sempre la cosa migliore.
Quando, per esempio, mi chiedeva: <<Cosa fa de Rabelais la mattina?>>.
<<Va in chiesa regolarmente. È molto religioso. E dopo aver udito la messa, torna a casa per colazione. Poi fa una gita in auto per le strade del centro fino all'ora di pranzo. Dopo pranzo si mette al computer; ho controllato le mail, ma non se ne ricava niente. Talvolta manda degli sms ad un amico banchiere di Bordeaux, un certo Mustache, chiedendo di versare sulla sua carta le cifre vinte a carte la sera precedente o facendosi anticipare soldi da giocare la sera stessa; ma anche lì, nulla di illegale. Vince spesso ma non sempre, e non è il libertino di cui si racconta in giro; fa venire sì delle signore a casa, ma spesso sono le dame che accompagnano ambasciatori, ministri, diplomatici e avvocati ai suoi pranzi e alle sue cene>>.
<<Lui e gli ambasciatori italiani parlano spesso nella loro lingua?>>.
<<Certamente, lui e un segretario del consolato hanno parlato ieri per più di un'ora e mezza delle mosse del ministero del Tesoro italiano e della crisi in America; ma soprattutto del ministero>>.
Si sarà visto che le mie informazionu erano molto minuziose e accurate, anche se non molto importanti. Del resto, non vi era ormai, fra telecamere e informatori, straniero che entrasse a Londra le cui azioni non fossero del pari spiate e riferite alla regina Elisabetta.
Quando gli ufficiali della mia ex-guarnigione vennero a sapere che in città vi era una sorta di bisca, fecero di tutto per essere ammessi al tavolo da gioco, e, nonostante i miei consigli in contrario, il cugino non si oppose a permettere l'ingresso a quei gentiluomini e un paio di volte ripulì loro le tasche di una buona somma di denaro. Invano gli dissi che avrei dovuto riferire al capitano l'accaduto, perchè i miei compagni, intimi con Walport quanto me, non avrebbero fatto a meno di parlare dell'astuto gioco di monsieur de Rabelais, ed egli sarebbe venuto a conoscenza del macello anche senza le mie informazioni.
<<Diglielo>>, rispose il cugino di Pisa.
<<Ti manderanno via, Luca>>, risposi, <<e allora io che fine farò?>>.
<<Stai pure tranquillo>>, disse l'altro con un sorriso,<<Non ti lascerò nella merda, stanne certo. Vai a dare un'ultima occhiata alla tua caserma e stai tranquillo; saluta i tuoi amici di Londra. Quei poveracci si metteranno a piangere, quando sapranno che avrai lasciato l'Inghilterra. E stai certo che te ne andrai di qui>>.
<<Ma come?>>, domandai.
<<Ricordati la storia del milanese Ferragni>>, rispose con un sarcastico sorrisetto, <<Vai a prendere i miei travestimenti, nel doppiofondo dell'armadio della mia camera da letto. Apri poi una busta da lettera, che contiene monete di molti paesi e varie copie di permessi di soggiorno, passaporti e carte di riconoscimento. Tutta roba che mi arriva dalla Svizzera, roba che scotta. Sbatti una tua fototessera su qualsiasi di queste carte e in un paio di giorni sarai partito>>.
Scoppiai a ridere e cominciai a smaniare.
Il giorno seguente, quando andai a fare il mio rapporto al capitano Walport, gli riferii dei giovani soldati britannici che erano stati a giocare dal de Rabelais negli ultimi tempi ed egli rispose, come mi ero aspettato, che la regina e il parlamento avevano deciso di espellere il viveur dal Regno Unito. Mi congratulai senza limitazioni per l'ottima mossa di sua maestà la regina e iniziai ad inveire verso il mio padrone, definendolo un vecchio avaro e senza morale. <<Quand'è che verrà cacciato, sir?>>, domandai.
<<Dopodomani. Dopo la sua colazione scenderà in cortile e non troverà più la sua Mercedes, ma un fuoristrada militare e due soldati che lo scorteranno fino alla frontiera>>.
<<E il suo bagaglio, sir?>>, continuai.
<<Oh, quello gli sarà spedito con comodo, più avanti, dopo che casa sua sarà stata messa a soqquadro, visto che il tuo aiuto non ci ha poi portato a scoprire chissà cosa>>.
Pregai il capitano di conservarmi la sua benevolenza e così presi congedo da lui.

  

Nessun commento:

Posta un commento