domenica 19 maggio 2013

[Recensione] Il grande Gatsby

La notizia che più ha smosso il mondo intellettualoide nell'ultima settimana è stata quella riguardante i sonori fischi destinati a Il grande Gatsby di Baz Luhrmann al seguito della premiere di Cannes. Forse buona parte dei detrattori di questa costosissima (105 milioni di dollari) trasposizione non hanno molto amato certe scelte stilistiche e narrative adottate dal regista australiano, e molti hanno accusato Luhrmann di essersene "altamente sbattuto del romanzo di Scott Fitzgerald" o di alcune sue sfumature, e di conseguenza hanno trattato il film con freddezza. 
Scott Fitzgerald appartiene- come Hemingway o Faulkner, per citare altri grandi narratori americani -a quella schiera di autori che ammiro ma di cui conosco pochissime opere: infatti, vuole il caso che non abbia mai letto Il grande Gatsby, nonostante esso sia il libro più tradotto e conosciuto di Scott Fitzgerald. Tuttavia, sono il primo a pensare che quando si gira un film tratto da un romanzo, vada non solo contemplata, ma sia addirittura gradita una certa "licenza poetica". Prendiamo il migliore esempio che la storia del cinema è in grado di fornirci: in pochi avranno letto il mediocre e noioso Nato per uccidere di Gustav Hasford (libro da cui Kubrick trasse un capolavoro del calibro di Full Metal Jacket), mentre chi conosce bene Stephen King non iscriverà mai The Shining fra le sue dieci migliori opere; e infine, visto che si parla tanto di fedeltà intellettuale, basti pensare che Doppio sogno di Schintzler era ambientato a Vienna nei primi del Novecento, mentre in Eyes Wide Shut i personaggi si muovono in una New York di fine millennio oscura e misteriosa. Insomma, oramai ne abbiamo viste davvero di tutti i colori (nel bene, ma anche nel male): quindi perchè condannare alla sua prima un film che si è voluto prendere qualche libertà?
Il grande Gatsby di Luhrmann è quello che si può definire un "filmone", ma non è nella maniera più assoluta un capolavoro. Parte bene, con una giusta dose di suspence a "guarnire" il tutto, e procede meglio, culminando nella scena della festa dove Gatsby (un Di Caprio come sempre immenso) si rivela per la prima volta a Nick (un Tobey Maguire inetto e ridotto a macchietta stupida): ecco, direi che vale la pena di vedere il film solo per i sette minuti della festa a Long Island. Ma c'è anche dell'altro. Ad esempio, gli intermezzi nell'ospedale dove Nick è ricoverato sono gradevoli e spezzano un po' il ritmo forsennato del primo tempo, preparando lo spettatore ad uno stacco clamoroso: infatti, da quando Gatsby sembra riuscire a conquistare Daisy (interpretata dall'odiosa e bruttina Carey Mulligan) e ad innescare la bomba ad orologeria per il divorzio fra lei e il ricco marito Tom (il bravissimo Joel Edgerton), il film entra in un limbo fatto di dialoghi interminabili e ripetitivi (vedere la scena della discussione al Plaza, dove Luhrmann tenta di tenere alta la tensione finendo con l'annoiare e basta), e lo sfarzoso, ipnotico apparato estetico che aveva dominato la prima ora di film svanisce, si dilegua, mostrando il falso che c'è nel cinema, il pesante tocco dell'effetto speciale forzato. Fortuna vuole che l'ultimo quarto d'ora spazzi via questa condizione di noia glaciale, con una voce "off" che ci accompagna fino ai (bellissimi) titoli di testa.
Sono complessivamente contento di avere visto questo film: mi è piaciuto e, per carità, in numerosi punti mi sono emozionato, ma è stato anche utile a farmi capire quanto grandi siano i limiti dettati da una simile produzione. Che lo voglia o meno, Luhrmann continua a cercare il consenso di un pubblico grezzo (quello che si era fatto piacere Australia), solo che stavolta strizza l'occhio anche a chi ammira l'aspetto più artistico e tecnicamente raffinato della sua regia, quello che risale ai tempi di Romeo+Giuletta (film estremamente autoriale, difficile e sempre con Di Caprio nei panni del protagonista). Dunque c'è un po' di conflitto di interessi: da una parte, il Luhrmann produttore che vuole recuperare i 105 milioni di budget portando al cinema più individui possibile (3D, promozione milionaria, product placement di prestigio, premiere sulla Croisette, ecc.), dall'altra il Luhrmann autore cui preme dimostrare quanto ama questa storia, quanto ama questi personaggi, quanto ama girare film così, pieni di colori accesi, di ritmo e di virtuosismo tecnico.
Infine, questo Gatsby ha un qualcosa che pochi film possono vantare: una colonna sonora straordinaria. Magari non è tutto, ma per me è importante.

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