martedì 21 maggio 2019

La ruggine non dorme mai [Intervista]


MB- Immagino che potremmo partire con una domanda banale, ma te la devo fare. Com'è nata l'idea di questo libro?

FB- Ogni vita, credo, resta segnata dalle canzoni che si sono ascoltate nella prima gioventù, rincorrendo un piccolo baluardo di libertà. Chi non ha mai ascoltato un disco per trovare una soluzione, una speranza o una strada resta attaccato al bisogno della conformità, ereditando un codice, un comportamento, una schiavitù priva di sentimenti. E dal momento in cui un'esistenza senza passione è poco meno di nulla, ho trovato che fosse sacrosanto scrivere e raccontare certe passioni. Ecco spiegato il perché del libro.

MB- Puoi darci un accenno della trama?

FB- Gli anni selvaggi è esattamente ciò che si può leggere nel retro-copertina. Un libro a metà strada tra una personale educazione sentimentale e un appassionato approfondimento musicale. Parla di un amore idealizzato dal protagonista per i Guns N'Roses e della passione che, nell'arco degli anni, finisce con unire lui e alcuni dei suoi coetanei a questa rock band. Ho scelto di raccontare la storia di un gruppo meritatamente famoso e del perché a quattordici, quindici anni scoperte come queste abbiano cambiato la mia vita. Spero di esserci riuscito.

MB- Certi percorsi prevedono delle tappe obbligate e sicuramente il rock è fra quelle. Ha a che fare con la ribellione, la rabbia e altro ancora...

FB- Il rock ispira. Ne parlavo di recente. Dove la ritrovi una musica così vera, totalizzante, erotica? Io mi sono immerso in questa musica perché mi ispirava come nient'altro. Welcome to the Jungle o Sweet Child O'Mine erano sconvolgenti. Ed erano canzoni che quando le ho sentite io la prima volta erano già in giro da quindici anni. Non ti credere che in paese i ragazzini su cui questa musica sortiva un determinato effetto fossero in  molti.


MB- Dai, oggettivamente per queste cose un po' tutto il mondo è paese.


FB- Non è vero che tutto il mondo è paese. Si sta parlando della provincia di Siena dei primi anni 2000, non del Village a New York degli anni Sessanta, e mi riferisco a un'età in cui hai i pori aperti e  gli ormoni a mille ma il tuo coetaneo non sarà necessariamente più permeabile di te a ricevere altrettanta passione e ispirazione. In terza superiore, per esempio, iniziai a scrivere un film dove una mia compagna di banco sarebbe stata l'attrice protagonista. Non avevamo trama, soggetti, mappe concettuali, ma solo voglia di raccontare una storia che celebrasse l'evasione, la fuga. Sopra la lavagna, stazionava una croce di legno da cui si era staccato- o era stato staccato -il crocefisso e ispirati da quell'oggetto così assurdo e sghembo intitolammo il film  Gesù è scappato. So che sembra una stronzata, ma oggi non sarei in grado di lasciarmi penetrare da un'ispirazione così potente e apocalitticamente intuitiva. Il moto della fantasia non era scontato allora e men che mai lo è adesso. Rassegnamoci.


MB- Come porterai avanti la promozione della tua opera?

FB- Io ho bisogno di portare il mio libro in tour, di fare qualcosa di dinamico e partecipato per farlo conoscere. Giocherò in casa, a Bottega Roots a Colle di Val d'Elsa, il 25 maggio, e il 9 giugno sarò al Chicco di Tè, la bottega che Erika Biagini (amica e fotografa della copertina) ha recentemente aperto in piazza Arnolfo. Ho in ballo altri eventi a livello toscano e un paio di idee potrebbero condurmi fuori dai livelli regionali, il che non guasterebbe. Volevo pubblicare un libro prima dei trent'anni e ci sono riuscito. Chi mi conosce bene mi ha detto che dovevo farlo, che erano questi il momento e il modo giusto per raccontare le cose che mi portavo dentro. Ho ancora tanti altri scopi e obbiettivi. Penso di essere un persona che ha un disperato bisogno di concludere per poi ricominciare ancora e ancora. 

MB- Come ti senti ora che il libro è concluso, stampato e nei circuiti di vendita?


FB- Alleggerito, ma anche impaurito. Ho paura che l'argomento non interessi in questa epoca buona solo per qualche demente della politica, delle mode passeggere, del marketing.

MB- E cosa pensi di te stesso, scrittore amatoriale, alla soglia dei trent'anni?

FB- Penso di essere una persona in cammino verso una ricerca della consapevolezza. Ora passo il tempo in questo modo, domani potrei fare altro e vivere in un contesto diverso. A volte mi monto la testa, fantastico di portare avanti una battaglia contro i luoghi comuni del nostro tempo e contro tutto ciò che in un modo o in un altro mi fa sentire prigioniero, e lo faccio in maniera naturalissima. Anzi, forse lo faccio da sempre, per essere libero di innamorarmi di tutto, per dirla con un grande cantante italiano.

MB- Questo è il tuo primo libro, eppure scrivi da sempre.


FB- Ho scritto una quarantina di poesie fra i diciassette e i vent'anni. A queste hanno fatto eco testi teatrali, sceneggiature di fumetti, un film, soggetti, racconti. Con un racconto ho vinto un premio letterario, nel 2008. Insieme- lo sai bene -abbiamo scritto un racconto e un romanzo breve, abbiamo partecipato a concorsi di genere. Tutto senza mai vincere, ci mancherebbe! Tu poi hai pubblicato il primo libro nel 2017, mentre io abbandonavo definitivamente l'idea di scrivere un romanzo. Anche in quel caso, la noia ha vinto, perché la noia vince su tutto e io sono disordinato e privo di metodologia. Insomma, mi ritengo un indisciplinato cronico. Ho abbandonato l'università dopo neanche un anno e ho lasciato perdere tante altre situazioni. Ho finito con l'assorbire cose che mi incuriosivano nell'età in cui tutti siamo un po' spugne e per un periodo consistente della vita ho anche preso in considerazione l'ipotesi di poter condurre un'esistenza priva di sconvolgimenti. I talenti che gli altri mi dicono di avere sono in realtà esercizi grezzi e intuitivi. Le cose migliori che ho scritto probabilmente restano dei resoconti privati, diari che spesso sfociano in conversazioni auto-analitiche aperti per caso verso i quindici anni e mai più chiusi. Un mio modo di trasferire la passione per la lettura traducendola in scrittura. Una transizione che, in questo caso, ha funzionato ed è divenuta libro. Coi social, invece, non mi succede, ed è un peccato. 

Foto di una carta d'identità degli anni selvaggi (luglio 2005)

MB- Perché?

FB. Perché è lì, su Facebook, su Twitter, su Instagram, che io posso essere un emerito coglione fra tanti coglioni. Il mio blog serve a questo. Sono un blogger fra tanti blogger. Ho solo cambiato piattaforma e titoli: iniziai con Windows Live Spaces, poi passai a Blogspot, aprii rubriche e ne chiusi altre, ma la sostanza non è cambiata. E io sono rimasto un coglione.

MB- Quindi, condensando, come ti consideri oggi?


FB- Mi considero un essere umano. Mi piace vivere.

MB- Torniamo sul libro. Quali elementi cardine indicheresti ai lettori?


FB- Beh, incompiutezza e innamoramento sono elementi che serpeggiano per molte pagine del libro, eppure il messaggio non vuole essere né triste né melenso. Al limite, magari, molto aperto...

MB- Spiegati meglio.

FB- Come ha già argomentato Simon Reynolds in un suo bel saggio, oggi viviamo di retromania e il mercato della nostalgia gode di una salute inquietante. Vale per le arti e il commercio, ma tutto questo finisce anche con l'influenzarci a livello psicologico, antropologico e sociale. Il mio libro magari non si è rivelato immune a questo morbo, ma nel mio piccolo ho cercato di non approfittarne. Perciò sì, effettivamente ci sono alcuni capitoli dove godo a occuparmi del mio passato, un passato non remoto ma relativamente distante. Sono sceso in profondità senza sforzarmi troppo- anche perché ho buona memoria -e mi sono stupito, perché riuscivo a rivivere e descrivere certi episodi senza provare nostalgia, tristezza o rimpianto, ma soddisfazione. E sai perché? Semplicemente, perché componendo una frase e descrivendo un fatto capivo quanto uniche e importanti fossero certe cose che stavano emergendo e quanto io fossi fortunato ad avere vissuto quelle esperienze.


MB- Mi sembra che i "sogni di rock&roll" che si succedono nel libro finiscano tutti in una completa realizzazione. Il ritrovamento di canzoni inedite dei Guns, l'uscita di Chinese Democracy, la possibilità di assistere a un concerto del gruppo. Insomma, il protagonista del libro può dirsi soddisfatto e i suoi desideri sono stati tutti esauditi o c'è ancora qualcosa di irrisolto da qualche parte?


FB- Dipende. Per te chi è il protagonista del libro?


MB- Tu.


FB- E dell'anziano giornalista che troviamo all'inizio e alla fine che mi dici? 


MB- Un tuo alter ego. Magari una proiezione di te stesso in un'imprecisata vecchiaia.


FB- Il giornalista ha esaurito i suoi sogni, io ho esaurito i miei inerenti a una band che ammiro, ma ho anche scoperto, a mie spese, che i sogni da realizzare sono ancora tantissimi.


MB- Attualmente quali?


FB- I miei sogni di ora? Banali, semplici e non così importanti: migliorare sul lavoro, magari. Avere quel  tanto di tempo libero per dipingere e disegnare e, soprattutto, poter acquistare libri e dischi e avere sempre la possibilità di farlo, perché sono oggetti strani e magici. Sembrano più umani di molti nostri simili e mi guardano, mi osservano attentamente e lo fanno meglio di quanto possa fare io stesso. Non è retorica. Un disco o un libro a modo loro parlano e sta a noi di ascoltarli. Lascio che mi insegnino tutto quello che c'è da sapere per essere vivo dentro e amare la vita.

MB- Possiamo definire il tuo libro un'opera che si occupa anche di attualità?

FB- Gli anni selvaggi sceglie deliberatamente di parlare di un nuovo millennio diverso, alternativo. I suoi personaggi sono esseri fortunati, perché vivono con entusiasmo in un'epoca e in un contesto ingrati. La realtà era ed è molto diversa. Viviamo in uno stato sempre più desolante e agonizzante, rinchiuso in questo demenziale neoliberismo che proprio non ci appartiene. O almeno, a me sembra tutto una palese forzatura. Dal punto di vista culturale e artistico siamo poco più di zombie, però eccelliamo in quel che concerne il disimpegno. Ad esempio, prendi la movida: a me pare che non conosca crisi. C'è una sottocultura cafonesca e dai suoni molesti che gode di ottima salute. Come popolo, siamo perfettamente in grado di produrre la rappresentazione di questa astiosa decadenza, una decadenza in cui inciampiamo tutti e di cui tutti, in fin dei conti, siamo vittime e carnefici. Resistere al degrado è un atto di dignità, anche se ciò, specie a determinate latitudini, comporta isolamento e tristezza. Ma a volte è un piccolo gesto a fare la differenza: non leggere certi giornali, non ascoltare certe radio, non guardare certa televisione, non aderire a dibattiti insensati, non uscire per certe famigerate "serate" e riuscire a rinunciare a tutto questo con una certa naturalezza senza apparire spocchiosi o sbandierarlo sui social, rappresenterebbe già un invidiabile atto di orgoglio.



MB- Credi che questo libro cambierà qualcosa nella tua vita?


FB- Può darsi che la mia stessa vita cambi all'improvviso senza l'ausilio del libro e che qualcosa di inaspettato accada nel bene e per il meglio. E quindi perché no? Vorrei attraversare il tempo che mi aspetta in maniera completamente diversa rispetto a quella in cui ho scritto Gli anni selvaggi.


MB- Progetti per il futuro?

Foto di © Erika Biagini

FB- I miei progetti finora si sono basati sulla sofferenza. La mia più grande sofferenza, al momento, potrebbe risiedere nell'assenza di un progetto di vita maturo e definito, coeso e omogeneo. Non mi dispiacerebbe scrivere qualcosa di concretamente poetico e letterario, però evito, non ci penso, creo un apparente vuoto e mi rilasso come mi sono rilassato per anni nel cestinare tutte quelle cose che non mi convincevano. Ci sono momenti in cui purtroppo comprendo l'assenza totale della mia maturità. Troppa insofferenza, capriccio, vezzo e frustrazioni, ma ci sto lavorando.

MB- Recentemente mi hai detto che leggi molto più di quanto scrivi. Perché?

FB- Scrivere è difficile. Non si scrive se non si è in armonia con l'ego, e se non c'è sentimento neanche mi interessa farlo. Scrivere deve avere un'utilità nel senso più alto del termine e se lo si fa pensando solo alla gloria e ai soldi non si è mai soddisfatti del risultato. Il merito arriva da solo e 
il fine non è nemmeno questo. Scrivere su ciò che ci piace e farlo con amore è un buon esercizio. Nel libro ho cercato di parlare di una passione così. Ho pensato che i tempi erano abbastanza brutti per raccontare certe vicende a un pubblico di persone che nemmeno legge più. Non ho mai creduto allo scrittore che soffre, si danna e vive isolato dal mondo. Anzi, le pagine più significative di questo libro arrivano proprio da quei rari momenti di serenità vissuti nei mesi in cui l'ho redatto. Una serenità solitaria, ma vissuta nella maniera e nei posti giusti.


MB- Mi stai dicendo che hai scritto il libro come un monaco in ritiro?


FB- Oh, no, no. Sia mai! Però posso dirti che esistono dei luoghi dove si è più vicini all'essenza delle cose. Basterebbe ascoltare un po di più la natura e i suoi silenzi, così ricchi di musicalità. C'è tanta musica intorno a noi, e non parlo per forza di quella che esce da una radio o da un amplificatore. Anzi, di quella a volte c'è sovrabbondanza.


MB- Un tuo pensiero sulla musica di oggi e chiudiamo.


FB- Al contrario di quello che pensano certe menti semplici, io seguo con capillare attenzione la musica contemporanea. La fregatura è che cerco di ascoltare musica buona, ossia merce che in sede di rock e pop scarseggia da una decina di anni. La vita fa già moderatamente schifo, se poi uno ascolta musica di merda, è davvero la fine.

MB- Sei estremamente sensibile all'argomento.

FB- Essere estremamente sensibili ha sempre i suoi pro e i suoi contro. Bellissimo, a tal proposito, è l'effetto che ha la musica sulle persone sensibili. La fai diventare tua. Quando stai male, stai ancora più male. Quando stai bene, diventa tutto perfetto. Questa è la magia, e poterla condividere tramite le pagine di un libro è una vera fortuna. Sono grato che mi sia successo.