giovedì 9 maggio 2013

Le memorie di Sbelluccio Bellini (Capitolo VII) [Trame]


VII.
FACCIO LA MIA COMPARSA NEL MONDO
IN MANIERA CONFACENTE AL MIO NOME E AL MIO LIGNAGGIO

La fortuna sorrise alla partenza del caro Luca Pisano, permettendogli di vincere una bella somma al suo tavolo da gioco.
Alle dieci della mattina seguente, un rumoroso Land Rover dell'esercito sostò sotto casa del monsieur de Rabelais, e questi scese le scale nella sua consueta maniera dignitosa.
<<Dov'è quel mascalzone di Marcos, il maggiordomo?>>, disse, dandosi un'occhiata intorno e non trovando me che gli aprivo lo sportello.
<<Aprirò io la portiera per lei, sir>>, disse un caporale che stava in piedi vicino alla macchina, e non appena egli fu entrato, la guardia saltò su accanto a lui, mentre un'altra saliva a destra, vicino al soldato che avrebbe guidato per tutto il viaggio; quest'ultimo altri non era che io con una barba finta, un po' di trucco messo a scurirmi la pelle e i capelli notevolmente accorciati. Mi ero informato abilmente negli ultimi due giorni, mettendo il naso nelle carte del capitano Walport, e avevo scoperto che i tre soldati cui affidare la missione non erano ancora stati scelti; ricordavo che, in questi casi, non è obbligatoria la presenza di un ufficiale, ma è gradito l'intervento di un sottufficiale; e con delle tabelle in mano sulle quali stavano schedati gli uomini di un'altra caserma londinese feci in modo che venissero contattati tutti e due i militari presenti quella mattina. Il terzo, come potei spiegare al telefono al colonnello Raider, era un uomo di fiducia del capitano Newport e si chiamava Wright. Il nome Wright compariva in un paio di documenti che mi aveva passato mio zio e la mia fototessera poneva il sigillo di garanzia ad un piano che risultava, in tutto e per tutto, geniale.
<<Che storia è questa?>>, domandò Luca Pisano al caporale.
<<Siamo diretti alla frontiera, sir>>.
<<Ma è uno schifo! Una vergogna...chiedo di essere accompagnato a casa del console di Francia>>.
<<Ho l'ordine di ammanettarla, se grida, sir!>>.
<<Tutta l'Europa sentirà parlare di questa cazzata!>>, disse il monsieur, infuriato.
Il silenzio non fu più rotto, se non dal mio compagno di viaggio che mi poneva un sacco di domande sulla mia caserma. Ero ormai un esperto di ogni tipo di fandonie e mi fu semplice raccontargli un mucchio di frottole, in particolare quelle sui buoni rapporti che correvano fra me e Walport, il quale mi aveva affidato questo delicato caso. Sapendo inoltre che le informazioni strettamente riservate non erano minimamente state rivelate ai soldati, potei gestire il piano di fuga come meglio mi parve; infatti, raggiunto il mare, lasciai i miei due compagni di viaggio in uniforme là, spiegando che io da solo avrei dovuto condurre il baro oltremanica e che un contingente di stanza a Brighton sarebbe venuto a prenderli nel giro di un'ora. Oltrepassai il mare e, dalla Francia, fuggimmo con un'automobile a noleggio verso la Germania.
Attraverso queste straordinarie vicissitudini fui di nuovo libero e mi rafforzai nella decisione, che già avevo preso, di non cadere mai più nelle mani di alcun reclutatore e di essere, da allora in poi, sempre e solo un gentiluomo.
Con una buona somma di denaro e con un buon giro di fortuna che ci accompagnò in quel momento, fummo in grado di fare una non indegna figura. Infatti, potei entrare rapidamente nella migliore società berlinese, dove posso dire che la mia persona e il mio modo di fare, oltre alla singolarità delle mie avventure, mi fecero accogliere nel modo migliore. Non vi era riunione della nobiltà in cui i due gentiluomini Bellini non venissero invitati. Ebbi l'onore di baciare la mano del cancelliere Merkel e di essere graziosamente ricevuto al Bundestag, e scrissi a mia madre una lunga mail sulla mia prosperità.
Che vita, ragazzi! Sapevo di essere nato gentiluomo, per il modo delicato con cui trattavo ogni tipo di affare, perchè certo si trattava di affari. Infatti, sebbene possa sembrare strano a dirsi, la nostra vita non è tutta un piacere, e posso assicurare ad ogni persona di bassa nascita che abbia l'occasione di leggermi, che noi dobbiamo lavorare quanto loro. Mi alzavo, è vero, a mezzogiorno. Ma non ero forse stato al tavolo da gioco fino verso le cinque, sei del mattino? Spesso tornavo a casa quando alcuni negozi aprivano e mi faceva bene, ogni tanto, osservare le camionette della polizia e dei militari spostarsi alle prime luci dell'alba e pensare che non ero più legato a quella disciplina, ma riportato alla mia situazione naturale.
Mi ero ambientato subito a Berlino, come se vi avessi sempre vissuto. Avevo un maggiordomo per seguirmi, un filippino che mi aggiustava i capelli ogni mattina, conoscevo il gusto del buon caffè quasi per intuito e sapevo distinguere il vino francese da quello californiano; portavo anelli per il solo gusto di esibire la mia ricchezza (seppur momentanea, lo ammetto), polsavo anche due orologi Rolex rimessi su fusi orari diversi, vestivo solo con le migliori firme proposte dalla moda dell'epoca ed estraevo portasigarette in oro massiccio ad ogni occasione. Avevo miglior gusto naturale per cravatte e gemelli di qualsiasi persona abbia mai conosciuto; sapevo giudicare una macchina buona quanto un qualsiasi dirigente automobilistico tedesco; ero senza rivali nel tennis, nel golf e nella caccia; sapevo scrivere e parlare con abilità anche il francese e il tedesco. Presi a ricevere lezioni di chitarra e cantavo alla perfezione ogni classico musicale inglese. Dove era, insomma, un più perfetto gentiluomo di Sbelluccio Bellini de Rabelais?
Tutti questi lussi, confacenti alla mia situazione, non si potevano naturalmente ottenere senza soldi, per procurarci i quali Luca Pisano aprì un casinò a Berlino, a due passi da Potsdamer Platz. Eravamo in società con un romano, ben noto in tutti gli stati d'Europa, il conte Filippo Maria della Scala, il più abile giocatore di poker che io abbia mai visto; egli, alla fine, si rivelò un vero mascalzone e scoprii che anche la sua contea era tutta un'impostura. Luca aveva un arto impedito; della Scala, come tutti gli impostori, era un vigliacco: fu soltanto l'abilità senza pari che avevo nel maneggiare un coltello e la prontezza con cui lo usavo che mantennero la reputazione della “ditta” e ridussero al silenzio più di un giocatore che aveva delle esitazioni sul pagamento delle sue perdite. Noi giocavamo con tutti, cioè con ogni persona di onore e di nobile lignaggio; non chiedevamo mai con insistenza le nostre vincite e non rifiutavamo di ricevere assegni invece di denaro contante. Ma guai a colui che non faceva fronte all'impegno quando un periodo prefissato giungeva alla scadenza. Allora Sbelluccio Bellini lo aspettava con il suo conto e vi assicuro che ci furono pochi debiti inesigibili; per contro i gentiluomini ci erano grati della nostra correttezza e la nostra reputazione, sul punto dell'onore, restava immacolata.
Oggi il gioco è stato snaturato ed è una professione solo per quei pochi buffoni che compaiono in televisione ventiquattro ore al giorno; quando io e il cugino di mio padre giravamo l'Europa grazie alle carte, erano altri tempi e il poker non era ancora venuto così di moda, pur essendo largamente conosciuto anche da persone ben meno nobili di noi. Ora che l'aristocrazia ha dovuto fondersi e sopratutto confondersi con la piccola e media borghesia, ora che anziani politici improfumati di incenso sbraitano sulla pubblica piazza discorsi più antichi del mio casato e che perfino i ragazzini delle scuole medie possono provare il brivido del gioco, come sono visti quei gentiluomini che hanno costruito fortune per merito delle carte? Come delinquenti, farabutti e profittatori. Eppure mi chiedo cosa abbia il loro modo di vivere di più onorevole di quello che avevo io a quei tempi?
L'agente di borsa che specula al rialzo e al ribasso, e compra e vende, e si impegna in prestiti a lungo termine, e si vale dei segreti di stato, che cos'è se non un giocatore? Può essere definito onorevole il mestiere dell'avvocato, in cui un uomo mente per qualsiasi offerta? Si può chiamare onorevole un dottore che non crede nelle ricette che prescrive ai pazienti e prende comunque dei soldi per dire che va tutto bene? Invece, secondo la moderna morale del mondo, sono disonorevoli quei gentiluomini che si siedono ad un tavolo verde e giocano il loro denaro. È solo una congiura delle classi medie contro quelli dei piani alti.
In questo periodo Luca Pisano, da sempre politicamente schierato, non metteva mai meno di dieci euro nelle sue donazioni sindacali. Dovunque andassimo, baristi e ristoratori ci ricevevano meglio di qualche maraja indiano. Avevamo l'abitudine di regalare il cibo avanzato ai nostri pranzi e alle nostre cene a ventine di barboni e zingari che albergavano nella ex-zona federale della città. Il pomeriggio, poi, era il momento della giornata in cui solitamente, dividendoci le zone del centro di Berlino, passavamo a ritirare i nostri soldi o a fare credito. Abbiamo messo alle strette personaggi veramente influenti nel panorama politico e culturale di allora, e visto che anche adesso mentre scrivo continuo a tenere il senso di rispetto e riservatezza di allora nei confronti di queste persone, mi dispenserò dal fornire i loro nomi e cognomi: mi basti dire che giornali di pettegolezzi come il “Bild” o il nostro “Chi” avrebbero saputo di che scrivere per un paio di mesi. Molte signore, che Luca conosceva da quando la città era ancora divisa, tentarono di ricattarci a loro volta, ma noi avevamo sempre quel qualcosa in più che le dissuadeva dal portare avanti simili tentativi.
Come si sarà visto, la nostra vita, nonostante gli agi e gli splendori, era piena di pericoli e difficoltà e richiedeva molto talento e coraggio per arrivare al successo.
Quando, dopo tre anni, la città di Berlino cominciò a non avere più segreti per noi, e dopo che tutti i debitori ci ebbero pagato quanto spettava, io e il cugino Luca decidemmo di riavvicinarci alla nostra patria. Così, senza perdere un sol minuto e dire una parola (il carattere del buon cugino di Pisa da questo punto di vista era ammirevole) o permettere che il segreto della nostra partenza fosse noto a qualsiasi persona mortale, mettemmo a pegno tre quarti dei nostri gioielli e del nostro guardaroba, acquistammo una Porsche “Cayman S” nuova di zecca presso la concessionaria Löwe di Baden e, col nostro denaro spicciolo, che ammontava in tutto a poco meno di ottantamila euro, scendemmo di nuovo in campo.



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