sabato 1 dicembre 2012

[Recensione] Il sospetto

Da brillante autore di corti del movimento Dogma 95 capitanato da Lars Von Trier ad oggi, il danese Thomas Vinterberg ne ha fatta di strada. Quattordici anni fa, il successo di Festen (suo capolavoro ineguagliato, vincitore del gran premio della giuria a Cannes 1998) dimostrò che questo giovane regista riusciva anche ad andare oltre i precetti artistici del Dogma, arrivando ad abbracciare un tipo di ispirazione alle cui radici trovavano spazio sia la visione "intima" di Ingmar Bergman che le atmosfere dei thriller americani. Dopo un breve periodo "americano" (ne è frutto maturo Le forze del destino con Sean Penn e Joaquin Phoenix), l'addio definitivo a Dogma 95 (sancito da Dear Wendy, scritto dal maestro Von Trier) e qualche esperimento (il video di The Day That Never Comes dei Metallica), Cannes 2012 ha visto il ritorno di Vinterberg con The Hunt, da noi ingenuamente tradotto come Il sospetto
Lucas (Mads Mikkelsen, premio miglior attore a Cannes 2012) vive in una piccola comunità scandinava, dove lavora in un asilo ed è un uomo ben visto da chiunque. Sta tentando di ottenere la custodia del figlio, quando Klara, la figlia 5enne del migliore amico di Lucas, accusa il maestro di atti pedofili. Licenziato dalla diligente direttrice dell'asilo, Lucas tenta di dimostrare inutilmente la sua innocenza, ma ormai è visto come un degenerato, un criminale. L'amico Theo, padre della bambina, lo minaccia di morte, il giudice è intenzionato a ritirare l'affidamento del figlio, la sua nuova compagna inizia a credere di stare con un pedofilo, la polizia lo arresta. Gli unici dalla sua parte sono il figlio Markus e l'amico Bruun. Stranamente, dopo che il tribunale ha prosciolto Lucas da ogni accusa, la comunità gli si rivolta contro definitivamente e lui dovrà solo cercare di sopravvivere, in quanto preda di una spietata caccia all'uomo. 
Il tema della distorta fantasia infantile, la situazione (molto cara anche a Bergman e prima di lui a Dreyer) di coloro che vengono giustiziati per un crimine che non hanno commesso, il cameratismo e l'amicizia fra uomini, l'ipocrisia del "vicino di casa" (ampiamente dimostrata nel finale affatto allegro del film), la crudezza prima verbale e poi fisica con cui il protagonista viene trattato trovano in questo ottimo thriller nordico la degna messa in scena, grazie soprattutto alle ambientazioni rurali dei boschi danesi, ad una sceneggiatura magistrale e ad una squadra di attori invidiabile. Lucas è un condannato, il film è libero da qualsiasi messaggio di speranza: il sospetto cui allude la nostra traduzione graverà per sempre sul protagonista, lo si capisce bene alla fine del film, dove nonostante tutto il sospettato finisce con l'essere l'unica vera preda (The Hunt), e il suo carnefice non ha un volto o un nome, ma è semplicemente la società, con i suoi poliziotti ingenui, i cittadini ignoranti, la giustizia sommaria, gli assistenti sociali incapaci. E per quante persone care potranno fidarsi di lui, Lucas sarà per sempre una preda in cerca degli elementi per sopravvivere. Un film che si stampa in testa, e non se ne va.

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