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Con l'avvicinarsi dell'estate, la situazione peggiorò ulteriormente. Da una parte, ero libero dal dover sostenere il peso di socializzare ogni mattina con molta gente, dall'altra ero subissato di inviti e offerte vacanziere. Li rifiutai quasi tutti e scelsi giusto le mete e le compagnie che più si avvicinavano alla mia idea di buen retiro: una settimana dalla mia migliore amica, una settimana dal mio migliore amico. Allora come adesso, vivevo già in netto contrasto con una certa massificazione mentale di area sinistroide, quella che ti obbligava a farti piacere i viaggi spirituali, la pizzica salentina, i dischi unplugged e l'ipocrisia. Dunque non avevo bisogno di valigie e biglietti, e mi sarei fatto bastare la mia cameretta, una sorta di grotta intima e mediatico-mentale dove avrei principalmente scritto e ascoltato musica in grado di scagliarsi con prepotenza contro la forma-canzone. Passai la notte di ferragosto a guardare le stelle, con Timeless di Goldie sparato a tutto volume nelle cuffiette, a pensare che chiunque vedesse proprio nella notte l'unico momento poetico della giornata fosse un imbecille (e di questo sono convinto tuttora). Amo anche adesso il primo disco di Goldie, un autore destrutturalista che aveva eletto la jungle come proprio territorio di sperimentazione- nonostante si trattasse di un genere ancora da codificare -e i cui album successivi sarebbero risultati molto meno riusciti. Così come il più leggero e "solare" Moon Safari degli Air accompagnò certi miei intimi aperitivi marittimi, e alcuni brani sparsi di Jeff Mills (molti di questi erano estrapolati dal capolavoro Lifelike) fecero da colonna sonora alle calde notti di fine luglio. Tutti i più grandi artisti che si dichiaravano o che io consideravo dei veri isolazionisti finirono con l'essere ammessi in una virtuale agenda sonora giornaliera: al mattino quasi tutto Moby (escludevo i pezzi più house, che non mi sono mai andati giù), seguito a ruota da Luke Vibert e Mike Paradinas; inoltre, mettevo su spesso It's Tomorrow Already dei The Irresistible Force e Chill Out dei KLF. Gli ascolti pomeridiani erano selezionati in base all'umore: dunque, se ero "nero" cercavo la velocità di Squarepusher e la disumanizzazione degli Autechre, ma se ero più disteso optavo per i Plaid, i Future Sound Of London, i Sabresonic e i Two Lone Swordsmen. La notte era il momento ideale per un disco come Bytes dei Black Dog, una delle prime opere di techno sperimentale, oppure per alcune compilation "estreme" contenenti brani degli Orb o di Nightmares On Wax. Aphex Twin era l'unico ad essere sempre presente: mattina, pomeriggio e sera, per il semplice fatto che era (ed è) un genio. Inutile dire che, come tutto il resto, non condividevo quasi con nessuno certi ascolti, un po' perchè non volevo, un po' perchè a molti una canzone come Windowlicker faceva schifo. Si trattava perlopiù di individui poveri di spirito, arroganti esponenti della cultura popolare anti-elettronica, mostri che oggi fumano tabacco trinciato scadente e bevono pessima birra in pessimi centri sociali, emettendo rantoli contro una civiltà vuota, fredda, disumana, elettronica, capitalista. Io, al contrario, non ho perso mezzo brano degli artisti finora citati, ma riconosco che oggi, salvo rare eccezioni, ascoltare un disco come Selected Ambient Works vol. II non mi suscita più le emozioni del 2007. Rimane un capolavoro e uno dei più bei dischi del XX secolo, ma sono i miei orecchi che forse sono cambiati. A lungo ho pensato che questa musica mi avrebbe accompagnato per sempre, cullando il mio ego ferito, ma non è stato così: allora credevo che certi brani servissero a custodire il mio sogno di solitudine, e ci sono riusciti. Quando però mi accorsi che dovevo lasciare le isolate e remote stazioni lunari per fare ritorno sulla Terra, mi fu chiara la più grande e importante lezione dell'isolazionismo: alla fine di tutto, l'importante è rimanere umani.
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