DAFT PUNK, Random Access Memories (Columbia, 2013)
★★★★
Il 9 settembre 1999, in uno studio di registrazione parigino, Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo, conosciuti dal 1993 come i Daft Punk, stanno lavorando con il sampler. Alle ore 09:09 si verifica un'esplosione. I due artisti riprendono conoscenza e scoprono di essere diventati dei robot.
Quattordici anni dopo non è cambiato nulla: i Daft Punk sono ancora dei robot, ma da anni si sforzano di mostrare il loro lato più umano. Nel 2005, con il controverso Human After All, imbracciano le chitarre e in appena sei settimane registrano un album "piccolo", album che comunque conoscerà lo straordinario successo di pubblico dei due precedenti (Homework, 1997 e Discovery, 2001). Che il duo impieghi sei anni o sei settimane a registrare un disco, il risultato non cambia e il successo planetario è garantito. Perfino quando si mettono in testa di dirigere un'orchestra sinfonica di cento elementi per la colonna sonora di un film (Tron Legacy, 2010) riescono a vendere milioni di copie.
Tuttavia, il lato umano rimane sempre più in penombra. Basta rivedere il bellissimo lungometraggio Electroma (2006) diretto dallo stesso Bangalter per rendersene conto: nella scena in cui i due robot escono dalla clinica con le maschere da essere umani e quell'enorme strato di finto tessuto, si può udire, in sottofondo, Billy Jack di Curtis Mayfield, una hit funk del 1975, musica pop umana e affatto robotica. Random Access Memories, che uscirà dopo cinque anni di lavorazione il 17 maggio (da noi italiani, il 21), parte proprio da queste radici "umane": l'apertura Give Life Back To Music non è esplosiva come One More Time, nè è la nuova Human After All; appare da subito più lenta e distesa, quasi da suonare in una discoteca pomeridiana. E contro tutte le aspettative di chi desiderava un nuovo Homework, The Game Of Love, la seconda traccia, è una serenata futurista che sembra arrivare da una collaborazione con gli Air, ricolma di tastiere romantiche e cantata da una voce soffusa e candida. Ben più preparati e colti bisogna essere, noi ascoltatori, di fronte a Giorgio by Moroder, bizzarro ibrido fra intervista e synthpop anni Ottanta: Moroder parla della sua vita, della sua musica e di come ha scoperto il sintetizzatore, mentre i Daft Punk, sotto, suonano emulando il loro idolo per nove minuti. Il robot si scontra di nuovo con l'essere umano nella successiva Within, che vede il pianista jazz Chilly Gonzales duettare con romantici vocoder.
Con Instant Crush troviamo il primo, grande capolavoro del nuovo album: Julian Casablancas canta preferendo il timbro del suo Phrazes Of The Young (2009) a quello che lo ha reso più celebre con gli Strokes, e confeziona un brano che sembra portare le chitarre dei Police su Marte. Lose Yourself To Dance (prima parte della "coppiola" cantata da Pharrell Williams) parte in maniera piuttosto anonima, ma passato il primo minuto, si apre il combattimento fra il rapper (qui vicino alle sue origini coi Neptunes) e i ruggenti vocoder robotici che mitragliano frasi senza sosta. Ben più complesso è il discorso sulla progressive Touch, cantata dal comico e musicista Paul Williams: chitarre, cori, suoni stellari che mi hanno ricordato l'isolazionista Space dei KLF, campionamenti assortiti; insomma, una vera perla di otto minuti. Per un attimo sembra di essere in un saloon lunare, mentre in quello dopo in un giardino dove David Bowie canta su di un karaoke chill-out. <<Il disco potrebbe anche finire qui>>, mi sono detto quando Touch si è conclusa.
E invece no: la seconda parte dell'album si apre con il fortunato singolo Get Lucky, che mostra, nella sua versione "lunga", maggiore debolezza rispetto a quella fantastica "immediatezza" del singolo che sta facendo ballare mezzo mondo. A questo punto, mi duole dirlo, ci troviamo davanti all'unico momento in cui la formula di RAM perde il suo smalto e in cui la voglia di saltare al pezzo successivo prende il sopravvento: il dittico Beyond e Motherbound, pur presentando idee discrete (ad esempio, il recupero degli archi tanto sfruttati nella colonna sonora di Tron), stanca e appare un po' fiacco. Non amo parlare di "riempitivi", visto che i Daft Punk non ne hanno mai fatti, ma si avverte quella sensazione di noia udibile in buona parte di Human After All.
A ristabilire l'ordine delle cose ci pensa Fragments Of Time, dove Thomas e Guy ritrovano la voce di Todd Edwards (chi ha presente Face To Face del capolavoro Discovery sa bene di cosa parlo), calata, stavolta, in un sound ricco, giocoso e colorato. Ancora più splendida (e geniale) è Doin'It Right, con una melodia da autentico "colpo di fulmine" e un testo formidabile cantato dal grande sperimentatore Panda Bear degli Animal Collective. Infine, in un tripudio di fuochi d'artificio e drum-machine assortite, si fa spazio Contact, una cronaca della partenza dei robot che, toccato il lato più umano della loro musica, si apprestano a viaggiare verso nuovi lidi interstellari. Una pioggia di synth si mescola ad un organo solenne e a delle ritmiche più veloci: quasi un compendio di vent'anni di attività e di esperienze sonore.
Trent'anni di memorie musicali, fissate in una RAM che è, per i robot, ciò che per noi umani è il cervello. Un disco non tanto lento, quanto "rallentato", che si impone come il più atteso degli ultimi anni e come album Dance del decennio (pur non essendo pienamente un album Dance!). I Daft Punk non tornano indietro, ma guardano indietro: guardano al passato, alla loro infanzia umana, alla musica della loro vita, e ne fanno materia di pop-music del futuro. Forse per questo motivo i critici si stanno dividendo in chi ama e chi odia questo disco: per il suo essere fuori dal tempo, fuori dalle mode, fuori dai canoni. RAM somiglia ad Homework come genialità, per quanto rinunci alla componente house, ma è allo stesso tempo meno "perfetto" di Discovery.
Magari è ancora presto per tirare le somme, ma sono sicuro che prima di ballare qualsiasi pezzo di plastica commerciale, quest'estate, si balleranno i ritmi funkeggianti dei Daft Punk. Quest'estate, come per tutta la vita.
One More Time...
Nessun commento:
Posta un commento