Regola ferrea del remake cinematografico?
Non fare alcun remake. Sarebbe la soluzione migliore, fidatevi. E il remake del capolavoro di Sam Raimi non fa altro che avvalorare questa regola.
Non per dir nulla, ma nel mondo del cinema horror realizzare un remake de La casa equivale a rifare Sentieri selvaggi nell'universo western: ciò che è perfetto non va toccato in alcun modo. Tuttavia l'horror, come ho scritto più volte qui sul blog, è un genere "sfortunato": i produttori, i registi, gli stessi stupidi fan (chi è fan di qualcosa quasi sempre finisce con l'essere stupido) premono per avere sequel, remake, reboot e prequel di moltissime pietre miliari, finendo con lo snaturare e ridicolizzare numerosi capisaldi. Sam Raimi questo lo sa bene; infatti, La casa (1981) ha avuto la bellezza di sette seguiti, tra cui due soli ufficiali e diretti dallo stesso Raimi. Ma ciò che stavolta ha fatto alzare le aspettative è stata proprio la "firma" di Raimi e Campbell nella produzione: neanche fosse la prima volta che un regista si fa pagare e consegna la sua opera (anche la migliore delle sue opere) nelle mani di perfetti imbecilli, uso a dire <<Tenete e fatene ciò che volete!>>. Nel caso qualcuno non lo avesse capito, tanto vale ripeterlo: che il regista dell'originale sia coinvolto o meno nel progetto di un remake non cambia le carte in regola; quindi, se il remake è una merda (e otto volte su dieci un remake è una merda), è una merda con o senza la firma dell'autore originario.
Il nuovo La casa può piacere solo a due categorie di spettatori: a chi non ha visto l'originale e al contempo si intende poco di cinema e a chi ama tanto il sangue, il vomito e le seghe elettriche, perchè questo è il film di Fede Alvarez. Niente di più. La trama è la stessa dell'originale, coi cinque ragazzi isolati in una casa nel bosco, ma per il resto manca tutto: mancano i personaggi, manca uno "humor nero" di qualità (quello largamente presente nel film è indegno perfino dei Pirati dei Caraibi), manca l'atmosfera ed è assente ogni forma di drammaticità. Nell'originale c'erano una tempistica e una sapienza nel dosaggio della tensione memorabili, ma Alvarez non prende nulla di tutto ciò da esempio: lui se ne sbatte, sicuro di sè e della sua sfortunata pellicola da due soldi. L'unica influenza positiva del film potrebbe essere un avvicinamento da parte degli spettatori più giovani alla saga. Magari, qualche sedicenne deluso da questo remake avrà voglia di scoprire l'originale, se non l'intera trilogia raimiana. Se ne stiano buoni quelli che parlano di un bel rifacimento e spendono buone parole per un film che, a conti fatti, ha ben poco di più "artistico" rispetto a La casa 7.
E pensare che su una locandina britannica del film avevo letto <<Il film horror dell'anno>>: spero solo che si trattasse di umorismo inglese, quello che solo loro capiscono
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