VI.
DO L'ADDIO ALLA
CARRIERA MILITARE
Coloro
che non sono mai stati lontani da casa non possono sapere cosa sia il
sentire, in prigionia, la voce di un amico, e vi sono molti che non
potranno comprendere la causa dello scoppio di sentimenti che ebbe
luogo alla vista del cugino di Pisa. Nemmeno per mezzo secondo egli
pensò a mettere in dubbio la verità di quanto avevo raccontato.
<<Sei
il figlio di mio cugino Floriano!>>, gridò.
E
credo che anche il suo cuore fosse commosso quanto il mio, avendo
trovato, così all'improvviso uno dei suoi parenti; perché anche lui
era in esilio, e una voce amica, uno sguardo, lo riportarono con la
memoria alla patria lontana e agli antichi giorni della sua infanzia.
Fu
con quache difficoltà che cominciai a spiegargli gli ultimi mesi
della mia vita, dalla mia entrata nei servizi segreti fino a quando
ero stato messo al suo servizio; descrissi dettagliatamente le
istruzioni che avevo ricevuto dal ministro Walport e da suo nipote,
il capitano. A quel punto, chiesi cosa nascondesse, oltre alla sua
vera identità e alle sue nobili origini.
<<In
realtà, caro Ferruccino, la mia sola congiura è un tavolo da gioco.
Ma la regina è tanto sospettosa che vede una spia in ogni persona
che viene nella sua lustra capitale, qui in mezzo a questo deserto di
sbirri e ubriaconi. Io ti farei vedere città come Parigi o
Berlino...>>.
Gli
dissi che non vi era nulla che desiderassi di più che vedere qualche
altra città, tranne Londra, e che sarei stato felice di liberarmi di
questo odioso servizio militare. E infatti ritenevo, basandomi sulla
sua splendida apparenza, dai mobili che stavano nella casa, dalla
lussuosa automobile che stava in cortile, che il cugino di mio padre
fosse un uomo di grande ricchezza e che avrebbe potuto comprare una
dozzina, anzi un intero reggimento di agenti sostituti pur di
riscattare la mia libertà. Ma mi ingannavo, e la storia che egli mi
narrò sarebbe bastata a confermarmelo.
<<Sono
stato in giro per il mondo>>, iniziò, <<dalla fine degli
anni Settanta del secolo scorso, dopo che tuo padre, mio cugino, mi
portò via da sotto il naso il feudo di famiglia, diventando un buon
cattolico allo scopo di sposare la tua povera mamma. Tanto, ormai,
quel che è stato è stato. È probabile, del resto, che avrei
dissipato anch'io quella proprietà come fece lui e che avrei
cominciato con un paio di anni di ritardo la vita che ho condotto
dopo aver lasciato la Toscana. Vedi, sono stato al servizio di tutti
e, detto in confidenza, ho debiti in tutte le capitali d'Europa.
Lasciata la dirigenza in Ferrovia, mi sono battuto con gli operai di
Torino contro i tiranni Agnelli, sono stato capitano rivoluzionario
in Polonia contro i papisti e ho fatto il giro di tutta quella che un
tempo si chiamava Unione Sovietica. Mentre te stavi nascendo, io ero
impegnato a prendermi qualche pezzo di torta della vecchia Repubblica
Federale Tedesca, ma nessuno mi ha dato niente e sono fuggito in
Spagna, poi in Grecia e infine nel Golfo Persico, dove facevo il
mercenario, un lavoraccio. Tornato in Italia, ho tentato di buttarmi
in politica; avendo all'epoca toccato i quarant'anni, non contavo di
vagabondare ancora per il mondo, ma non è stato così. La vittoria
del Cavaliere avrebbe portato solo male, ed io me ne ero accorto e ho
preferito vendere le mie proprietà a Pisa e dintorni e ripartire. Ed
allora ho deciso che il gioco, il gioco sarebbe stato la mia vita. Il
gioco e le belle donne!>>
Fece
una pausa e si accese un toscanello, non prima di avermene offerto
uno, che rifiutai. <<Le carte sono, da ormai vent'anni, il mio
mezzo di sostentamento. Qualche volta ho fortuna, e investo il denaro
in queste gemme che vedi. Sono gli unici modi in cui riesco a
trattenere il denaro. Quando, invece, la fortuna non mi assiste, i
diamanti vanno al monte dei pegni e io mi vesto di stracci e
quant'altro. Ma in realtà, il mio grande segreto, è in una cassetta
di sicurezza di Zurigo, in Svizzera. Là ci sono i soldi che, pur con
enorme fatica e sacrificio, deposito e non tocco. Stasera, fra
l'altro, ho una partita proprio con uno svizzero, un orefice che si
chiama Maximilian e non parla una parola di inglese>>
Con
un gesto di estrema eleganza, lasciò che il Rolex gli scivolasse giù
dal polso e controllò l'ora, e poi, senza distogliere lo sguardo dal
quadrante, mi chiese: <<Conosci le carte?>>
Risposi
che sapevo giocare da soldato, ma non possedevo abilità particolari
nel gioco.
<<Devi
impratichirti questa mattina, ragazzo!>>, disse, <<E ti
insegnerò un paio di cosette che varrà la pena sapere>>.
Fui
ben lieto di avere quest'occasione di acquistare un po' di cultura e
mi dichiarai felice di ricevere le istruzioni del cugino Luca. Ma il
racconto che il monsieur aveva fatto della sua vita mi aveva colpito
in modo piuttosto sgradevole.
Ad
ogni modo, stabilimmo che io avrei continuato a fare la parte del
maggiordomo e in presenza di estranei avrei mostrato di non conoscere
una parola di inglese; che avrei dato un'occhiata alle carte che
erano in mano ai giocatori mentre servivo lo champagne o il porto.
Avendo un buon occhio e una grande attitudine naturale, fui presto in
grado di dare a monsieur de Rabelais un valido aiuto contro i suoi
avversari al tavolo verde. Non vi è poi bisogno di raccontare in
tutti i piccoli accordi che avevamo preso tra noi; i giocatori del
giorno d'oggi non hanno bisogno di essere eruditi. Ma la semplicità
era il nostro segreto, come, a lungo andare, risulta essere semplice
tutto ciò che al mondo ha successo. Se, ad esempio, toglievo la
polvere da una sedia col tovagliolo, era per mostrare che il
giocatore era forte a quadri; se la spostavo aveva asso e re; se
dicevo <<Champagne o vino?>> significava fiori. Se mi
soffiavo il naso era per indicare che c'era un altro compare
impiegato dall'avversario, e allora, vi assicuro, avevano
luogo dei veri prodigi di abilità.
La
mia simulata stupidità era perfetta ed ero solito far sbellicare il
ministro Walport nel corso dei miei rapporti alla Garden-House, fuori
città, dove mi dava appuntamento. Tali rapporti, naturalmente,
venivano concordati fra me e il cugino di Pisa in precedenza. Avevo
istruzioni di dirgli tanto di verità quanto il mio racconto poteva
contenerne, il che è sempre la cosa migliore.
Quando,
per esempio, mi chiedeva: <<Cosa fa de Rabelais la mattina?>>.
<<Va
in chiesa regolarmente. È molto religioso. E dopo aver udito la
messa, torna a casa per colazione. Poi fa una gita in auto per le
strade del centro fino all'ora di pranzo. Dopo pranzo si mette al
computer; ho controllato le mail, ma non se ne ricava niente.
Talvolta manda degli sms ad un amico banchiere di Bordeaux, un certo
Mustache, chiedendo di versare sulla sua carta le cifre vinte a carte
la sera precedente o facendosi anticipare soldi da giocare la sera
stessa; ma anche lì, nulla di illegale. Vince spesso ma non sempre,
e non è il libertino di cui si racconta in giro; fa venire sì delle
signore a casa, ma spesso sono le dame che accompagnano ambasciatori,
ministri, diplomatici e avvocati ai suoi pranzi e alle sue cene>>.
<<Lui
e gli ambasciatori italiani parlano spesso nella loro lingua?>>.
<<Certamente,
lui e un segretario del consolato hanno parlato ieri per più di
un'ora e mezza delle mosse del ministero del Tesoro italiano e della
crisi in America; ma soprattutto del ministero>>.
Si
sarà visto che le mie informazionu erano molto minuziose e accurate,
anche se non molto importanti. Del resto, non vi era ormai, fra
telecamere e informatori, straniero che entrasse a Londra le cui
azioni non fossero del pari spiate e riferite alla regina Elisabetta.
Quando
gli ufficiali della mia ex-guarnigione vennero a sapere che in città
vi era una sorta di bisca, fecero di tutto per essere ammessi al
tavolo da gioco, e, nonostante i miei consigli in contrario, il
cugino non si oppose a permettere l'ingresso a quei gentiluomini e un
paio di volte ripulì loro le tasche di una buona somma di denaro.
Invano gli dissi che avrei dovuto riferire al capitano l'accaduto,
perchè i miei compagni, intimi con Walport quanto me, non avrebbero
fatto a meno di parlare dell'astuto gioco di monsieur de Rabelais, ed
egli sarebbe venuto a conoscenza del macello anche senza le mie
informazioni.
<<Diglielo>>,
rispose il cugino di Pisa.
<<Ti
manderanno via, Luca>>, risposi, <<e allora io che fine
farò?>>.
<<Stai
pure tranquillo>>, disse l'altro con un sorriso,<<Non ti
lascerò nella merda, stanne certo. Vai a dare un'ultima occhiata
alla tua caserma e stai tranquillo; saluta i tuoi amici di Londra.
Quei poveracci si metteranno a piangere, quando sapranno che avrai
lasciato l'Inghilterra. E stai certo che te ne andrai di qui>>.
<<Ma
come?>>, domandai.
<<Ricordati
la storia del milanese Ferragni>>, rispose con un sarcastico
sorrisetto, <<Vai a prendere i miei travestimenti, nel
doppiofondo dell'armadio della mia camera da letto. Apri poi una
busta da lettera, che contiene monete di molti paesi e varie copie di
permessi di soggiorno, passaporti e carte di riconoscimento. Tutta
roba che mi arriva dalla Svizzera, roba che scotta. Sbatti una tua
fototessera su qualsiasi di queste carte e in un paio di giorni sarai
partito>>.
Scoppiai
a ridere e cominciai a smaniare.
Il
giorno seguente, quando andai a fare il mio rapporto al capitano
Walport, gli riferii dei giovani soldati britannici che erano stati a
giocare dal de Rabelais negli ultimi tempi ed egli rispose, come mi
ero aspettato, che la regina e il parlamento avevano deciso di
espellere il viveur dal Regno Unito. Mi congratulai senza
limitazioni per l'ottima mossa di sua maestà la regina e iniziai ad
inveire verso il mio padrone, definendolo un vecchio avaro e senza
morale. <<Quand'è che verrà cacciato, sir?>>, domandai.
<<Dopodomani.
Dopo la sua colazione scenderà in cortile e non troverà più la sua
Mercedes, ma un fuoristrada militare e due soldati che lo scorteranno
fino alla frontiera>>.
<<E
il suo bagaglio, sir?>>, continuai.
<<Oh,
quello gli sarà spedito con comodo, più avanti, dopo che casa sua
sarà stata messa a soqquadro, visto che il tuo aiuto non ci ha poi
portato a scoprire chissà cosa>>.
Pregai
il capitano di conservarmi la sua benevolenza e così presi congedo
da lui.
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