II.
NEL QUALE DIMOSTRO DI
ESSERE UNA PERSONA DI SPIRITO
<<Ti consiglio di
lasciare la signorina a se stessa, e stai certo che tornerà presto
in sé>>, mi disse Daniele, dimostrando di saper conoscere
abbastanza il mondo e le donne; infatti, dopo di allora, ho visto che
molte donne tornavano in sé nella medesima maniera.
<<Chi di noi deve
sfidare il capitano Tobino?>>, dissi a mio cugino; perchè era
la prima volta che avevo una questione d'onore e ne ero orgoglioso
come uno studente che si laurea con il massimo dei voti.
<<Vai a fare in
culo, cittino impiccione! Ti fai sempre gli affari degli altri. Cosa
te ne importava di venire qui a fare scenate e litigiare con un
gentiluomo che mette insieme centocinquantamila euro l'anno?>>,
tuonò mio cugino. Poi si calmò e, reputandosi uomo di esperienza,
tentò senza alcun risultato di darmi alcune dritte in campo amoroso.
Ma chi è innamorato (o almeno crede di esserlo) ascolta mai i buoni
consigli? Io non li ho mai seguiti e così dissi chiaramente a
Daniele che Tobino avrebbe dovuto vedersela con me prima di sposarla.
<<In fede mia>>,
disse Daniele, <<credo che sei un ragazzo in grado di mantenere
la parola>>. Mi guardò fisso per un secondo o due e poi andò
via anche lui, fischiettando un motivetto; vidi che si voltava a
guardarmi, mentre passava attraverso il vecchio cancello del
giardino.
La campana del pranzo
della domenica di casa di Laila mi distolse dai miei rovinosi
pensieri. Ricordai allora che ero stato invitato, assieme ai miei
cugini soldati, e che dovevo affrettarmi; attraversai i locali della
servitù, vidi quell'odioso attendente del capitano in giubba
mimetica che si dava da fare con le sguattere e le cuoche. <<Signor
Bellini>>, mi disse una delle ragazze, <<Accomodatevi in
sala da pranzo; è già arrivato il filetto di vitello>>.
Entrai e presi il mio
posto in fondo alla grande tavola, mentre un mio amico maggiordomo mi
portava rapidamente un coperto.
<<Ciao
Sbelluccio!>>, disse Remo.
<<Avrebbe fatto
meglio a starsene a casa con sua madre!>>, brontolò sua
moglie.
<<Non badare a
lei>>, replicò il padrone di casa ammiccandomi. <<L'oca
fredda che ha mangiato a colazione le è rimasta sullo stomaco.
Prendi un bicchierino di liquore>>, e, alzato il prosecco al
cielo, mi dedicò un brindisi.
Era evidente che non
aveva molto ben capito quanto era successo in giardino poco prima; ma
Daniele, Gabriele e quasi tutte le ragazze sembravano molto di
cattivo umore, e il capitano era stupefatto. Laila, di nuovo al suo
fianco, era pronta a piangere. Il simpatico capitano Magnini era
seduto e sorrideva; io lo guardavo, freddo come una pietra. Durante
il pranzo mi pareva di soffocare, ma ero deciso di fare buon viso a
cattivo gioco, e quando la tovaglia venne tolta riempii il bicchiere
col vino rimasto e brindammo al re e all'esercito, come debbono fare
dei veri gentiluomini. Remo era di ottimo umore e iniziai a supporre
che vi fosse stata una conciliazione tra l'infedele ragazza e il suo
innamorato, dopo che erano rientrati in casa. Seppi la verità molto
presto.
Il capofamiglia si
schiarì la voce e si alzò in piedi, battendo tre volte la forchetta
su uno dei tre bicchieri che stavano di fronte a lui: <<Signore
e signori, abbiate la cortesia di aspettare; questo è un brindisi
che si beve troppo raramente nella mia famiglia e vi prego di
accoglierlo con tutti gli onori. Salute al capitano e alla signora
Tobino, e lunga vita a loro!>>.
Mio cugino Gabriele non
riuscì a trattenermi, sbalzai in piedi e gridai: <<Ecco come
bevo alla sua salute, capitano Tobino!>>, e gli gettai in
faccia il bicchiere di spumante.
Le signore furono fatte
uscire dalla sala e Remo pregò la scorbutica moglie e le cognate,
tre zitelle patentate, di condurre nel parco i bambini; poi, dopo che
ogni porta fu chiusa e le urla si poterono sentire sempre più
lontane, guardai la faccia del militare: il naso del capitano
sanguinava generosamente e sul setto nasale stava un bel taglio, così
che sperai di aver rovinato per sempre la sua già scarsa bellezza.
<<Cosa diamine
significa questa storia?>>, esplose Remo, paonazzo in volto.
Fu mio cugino Gabriele a
rimanere calmo e parlare, mentre suo fratello tentava di medicare, in
maniera assai poco ortodossa e garbata, la ferita del povero Tobino.
<<Il fatto è, Remo, che questo scimmiotto si è innamorato di
Laila e, trovandola con il capitano in dolci colloqui oggi in
giardino, adesso è impazzito e lo vuole ammazzare>>. Una
spiegazione rapida, ma rispecchiava perfettamente la verità.
<<Gliela dico io
una cosa, signor Remo>>, gridò Tobino che aveva smesso di
sanguinare ed era balzato in piedi,<<Sono stato davvero
insultato in questa casa. Non sono per niente contento per come
procedono le cose. Sono un uomo del sud, cazzo, un uomo come si deve.
E io...>>.
<<Signor Tobino>>,
dissi io col tono di voce più dignitoso che riuscii ad assumere,
<<potete avere soddisfazione in qualsiasi momento vi piaccia,
rivolgendovi a Sbelluccio Bellini, signore dell'Agrestone>>, al
che me ne andai dalla sala da pranzo, raccolsi il mio impermeabile
sgualcito nell'atrio e lasciai la casa.
Passarono quasi tre
minuti prima che notassi la buffa e goffa figura del capitano Magnini
inseguirmi. Come ho già avuto modo di sottolineare, quell'ufficiale
dalla cadenza piemontese mi rimaneva simpatico, ed è per questo che
decisi di fermarmi ad aspettarlo.
<<Hai fatto proprio
un bel lavoro, caro>>, mi disse, <<Te, amico di famiglia
di Remo, sai che quel brav'uomo si trova in gravi imbarazzi
finanziari, e cerchi di mandare a monte un matrimonio che porterebbe
alla famiglia una rendita di centocinquantamila euro? Tobino poi ha
anche promesso di pagare quei quarantamila euro che tanto imbarazzano
Remo. Il capitano si prende una ragazza senza un quattrino, una
borghesuccia non più bella della vacca che sta nella stalla della
tua fattoria. Almeno secondo i miei gusti. Laila ha cercato di farsi
sposare da tutti in questo paese, senza riuscirci mai. E te, povero
più di lei, un adolescente che sostiene di essere affezionato alla
famiglia oltre che alla ragazza, ricambi così la generosità di
questa gente? Non vi ha aiutati proprio Remo, a te e tua madre,
quando morì tuo padre, nell'arredare la vostra casa di Agrestone,
senza chiedervi un soldo? E ora, nel momento in cui tutti i suoi
affari sembravano mettersi a posto e gli si offriva la possibilità
di passare comodamente la vecchiaia, chi si mette a rompere le
scatole? Un vicino di casa che ama la figlia e che tra tutti al mondo
ha più obblighi verso di lui. È un modo di agire ingrato, immorale,
specie se ci si proclama tanto coraggiosi come fai tu>>.
L'ultima parte della
ramanzina mi aveva piuttosto scosso e, non dando il minimo peso alla
differenza di età e di posizione sociale fra me e il capitano
Magnini, soggiunsi: <<Non ho paura di nessuno al mondo,
capitano! Dico solo che sono io l'offeso, e che nessuno, da
quando è cominciato il mondo, è stato trattato così. Lei, signore,
fa bene a parlare di immoralità e di mancata gratitudine, ma si
ricordi che io mi batterò con qualsiasi persona vada a rompere le
palle a Laila. Lo inseguirò, fosse anche dentro ad una chiesa, e lo
sfiderò perfino lì!>>.
Dissi tutto questo perchè
in quel momento ero molto eccitato e perchè le mie letture, in quel
periodo, riguardavano solitamente argomenti di cavalleria e simili.
Magnini mi fissò per qualche secondo, con aria sorpresa e quasi
divertita. Vedevo uno sguardo di solenne solarità sul volto di
quell'uomo. <<Sei uno dei ragazzi più incredibilmente focosi
che io conosca>>, mi disse. Trattenni un sorriso e,
freddamente, replicai: <<Glielo porterà lei il mio cartello di
sfida? Organizzerà lei con i miei cugini il duello?>>.
<<Se proprio si
deve fare, si farà>>, concluse il buon capitano Magnini.
Ad Agrestone, quella
sera, io e mia madre avemmo l'onore di ospitare a cena il capitano,
che si era accordato, per telefono, sia con Tobino che con il suo
padrino del duello. Aveva portato una bottiglia di vino rosso delle
sue parti e il dono fu molto gradito; nel soprabito teneva un vecchio
volume di regole del duello, stampato a partire dalla prima metà del
Settecento, quando i miei valorosi antenati erano soliti sfidare
anche due o tre persone al giorno. Avevo deciso che mia madre non ne
dovesse sapere nulla, e l'ufficiale nostro ospite rispettò con
grandissimo impegno la mia volontà. Dopocena ci accomodammo nel
salone e chiesi alla mia brava mamma di lasciarci da soli.
Pianificammo tutto, sfruttando il cellulare di Magnini e un suo
portatile antidiluviano; l'arma proposta da Tobino fu la pistola, ma
non la Beretta che aveva estratto quella mattina durante il nostro
litigio in giardino, bensì un più classico Revolver; io accettai
subito quella condizione. I padrini stabilirono il luogo del duello e
l'orario.
Ho spesso pensato, dopo
di allora, quanto avrebbe potuto essere così diverso il mio destino
se non mi fossi innamorato di Laila e non avessi gettato il vino in
faccia al capitano Tobino; ma la mia sorte era quella di vagare, e il
mio diverbio con Tobino mi lanciò sulla via dei viaggi in
giovanissima età, come presto avrete occasione di sentire.
Il duello era stato
fissato per le undici e trenta al vecchio campo dei preti; era un
pezzetto di terra affacciato sul fiume Elsa, anticamente appartenuto
ad una confraternita di frati che lo sfruttavano soprattutto nei
momenti di svago; il centro abitato più vicino sorgeva a quaranta
minuti di strada e per raggiungerlo si dovevano percorrere gli ultimi
metri a piedi, essendo l'unico sentiero stretto per qualsiasi tipo di
fuoristrada. Lasciai un biglietto a mia madre sul quale scrissi
semplicemente: Non ti preoccupare, mamma.
I miei vestiti erano
stati lavati e stirati la stessa mattina e li indossai con orgoglio,
assicurandomi di stringere bene la cintura attorno ai pantaloni di
velluto a coste. Sulla tavola di cucina trovai del pollo freddo, un
caffè forte e un bicchiere di grappa posati su un vassoio di
argento, sul quale era inciso lo stemma dei Bellini. Alle dieci e un
quarto arrivò Magnini su un Land Rover, seguito da un soldato
semplice che avrà avuto sì e no la mia età. Montai in macchina con
loro e nessuno osò proferire parola, finchè non fummo arrivati,
quaranta minuti dopo, al campo dei preti.
Mentre sotto un piacevole
sole autunnale lucidavo il Revolver che mi era stato dato da mio
cugino Daniele, il capitano Magnini si rivolse a me quasi sottovoce:
<<Attenzione, Sbelluccio. Questo è un brutto affare. La
ragazza sposerà Tobino, te ne do la mia parola; e puoi stare
altrettanto tranquillo che la dimenticherai presto. Sei solo un
ragazzo e il capitano Tobino è disposto a considerarti tale>>,
poi si voltò verso lo sfidato e alzò tono di voce, <<Arezzo è
una bella città, e se hai voglia di farti un'oretta e mezza di
macchina per arrivare fin là e passarci un mesetto, ecco duemila
euro a tua disposizione. Ti penti, fai le scuse al capitano ed è
fatta>>.
Sbottai: <<Io muoio
prima di pentirmi, non chiedo affatto scusa e, comunque, il capitano
può andare a quel paese prima che io vada ad Arezzo>>.
<<Allora, non resta
altro che battersi>>, concluse Gabriele, che pure ci aveva
accompagnati.
Tobino si sistemò la sua
divisa sfolgorante e tolse il basco, scambiando qualche battuta di
spirito con i miei cugini, le cui risate mi scossero non poco, visto
che rischiavano di assistere alla morte di un loro parente. Poi calò
la serietà, Gabriele mi porse il Revolver e altrettanto fece Daniele
con il capitano; mio cugino, da bravo soldato e tiratore scelto, mi
consigliò di tenere d'occhio il colletto aperto della camicia di
Tobino, invitandomi a mirare là.
I tre si allontanarono e
noi ci sistemammo dieci passi lontani l'uno dall'altro. Fu Gabriele a
dare il segnale di caricare le pistole e di prendere la mira; ebbi
meno di dieci secondi per prendere di mira il mio uomo. Al <<tre>>
le nostre pistole spararono in contemporanea, io udii qualcosa
fischiarmi vicino e un attimo dopo il mio avversario cadde a terra,
lanciando un urlo sordo che non lasciava dubbi a nessuno dei
presenti. Io non abbandonai la mia posizione fin quando Magnini non
ebbe detto <<E'morto>>. Mi avvicinai al cadavere del
capitano Tobino e vidi una chiazza rossa che gli aveva inondato collo
e petto; lo avevo colpito di poco al di sotto della trachea, aiutato
dal colletto dell'uniforme imprudentemente lasciato aperto. Magnini
si tolse il basco e i miei cugini si segnarono. Daniele mi fissò
negli occhi e disse: <<Oggi è stato un triste giorno per il
nostro esercito, Sbelluccio Bellini; e hai derubato un'onesta
famiglia di centocinquantamila euro l'anno. Ora vedi di levarti di
mezzo prima che arrivi la polizia. Avrai sì e no un'ora di vantaggio
su di loro>>.
Gabriele disse che
sarebbe venuto via con me, e montammo sul suo Pajero vecchio e
trasandato, guidando velocemente fino a casa mia.
Mia mamma fu orgogliosa
di apprendere da mio cugino quanto nobile e cavalleresco era stato il
mio comportamento durante il duello. A pranzo, fu proprio Gabriele ad
insistere sul fatto che mi sarei dovuto andare a nascondere ad Arezzo
finché la faccenda non si fosse sistemata. D'altro canto, mia madre
chiese perché non avrei potuto essere altrettanto sicuro ad
Agrestone, se gli sbirri non venivano mai da noi. Gabriele insistette
sulla necessità della mia immediata partenza, tirando fuori il
lessico giuridico appreso all'Università, e in questo argomento,
debbo confessarlo, stavo dalla sua parte, tanto ero desideroso di
vedere un po' di mondo. Così, la mia buona madre fu costretta ad
accedere al punto di vista di mio cugino. Quanto poco conoscevamo ciò
che il destino teneva in serbo per me.
Mi furono messi nel
portafoglio duecento euro (mamma ne aveva, in tutto,
duecentoventicinque!), mi preparò un borsone da viaggio con tutto
ciò che mi sarebbe potuto servire, e, appena mezz'ora dopo il mio
arrivo ad Agrestone, ero di nuovo sulla strada e tutto il mondo si
apriva davanti a me. Non c'è bisogno che io dica quanto mia madre,
Gabriele e i domestici piangessero alla mia partenza: ma nessun
ragazzo si sente molto triste quando solo e lontano da casa,
con duecento euro in tasca, gode per la prima volta della libertà. E
io, lo confesso, non pensavo tanto alla mia cara mamma, alla casa che
lasciavo e a tutti i problemi alle mie spalle, quanto al domani e a
tutte le meraviglie che mi avrebbe portato.
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