martedì 2 dicembre 2014

Clown [Recensione]

Pare che la coulrofobia sia una delle paure meno comprese e giustificate fra quelle persistenti negli esseri umani: eppure chi ne soffre non ha tutti i torti. A prescindere da quanto può essere stato reso angoscioso il suo aspetto nell'immaginario popolare moderno (basti pensare a It), il clown ha origini antiche e malvagie. Il Clunni (o Cloyne) scandinavo altro non era che un demone che abitava in una grotta e divorava i bambini: ne mangiava cinque, uno per ogni mese freddo dell'anno, e il resto del tempo lo passava "in letargo". Questo aspetto tradizionale, folkloristico del pagliaccio trova finalmente una degna reinterpretazione cinematografica in Clown, basato su una sceneggiatura firmata da Nicolàs Lòpez (già regista di Aftershock), Guillermo Almoedo ed Eli Roth (mentore di Lòpez e oramai talent-scout assoluto del cinema di genere internazionale) e diretto da Jon Watts, giovane cineasta che viene dalla commedia indipendente e il cui lavoro approda per la prima volta sugli schermi di mezzo mondo.
Già nel prologo in cui i bambini urlano come diavoli al compleanno del piccolo Jack (Christian Distefano) e babbo Kent (un bravo e sconosciuto Andy Powers) raccatta- alla meno peggio -un costume da clown, si percepisce che Watt non crede tanto nella "purezza" del genere, ma che tuttavia è il primo a saperne sfruttare al meglio archetipi e meccanismi: il pagliaccio può funzionare alla grande, portandosi dietro tutta una serie di situazioni comiche, grottesche e parodistiche (la storia d'amore fra moglie incinta e marito indemoniato, a conti fatti, ha toni molto più tendenti al caricaturale che non al melò) che tanto colpiranno al cuore il cinefilo horror che rimpiange gli anni '80. Altri aspetti fondamentali nella buona riuscita del film sono un lavoro di make-up eccellente, un ricorso all'azione minimo e una pressochè totale assenza di effetti speciali. Sintomi che la "scuola Roth" funziona e che studiare il cinema espressionista danese o riguardarsi Hitchcock è estremamente più utile che richiedere budget giganteschi e sperperarli in CGI. Prendiamo la scena della sala giochi, con Kent intento a divorare bambini dentro gli scivoli: a Watts bastano la luce giusta e tre movimenti di macchina per fare paura. Non occorre essere dei geni del cinema per riuscirci, è vero, ma Clown è un horror di mestiere fatto con grande classe e pochissimi soldi (1 milione e mezzo di dollari sono spiccioli). In altre parole, merce rara.
E non aspettatevi di ridere o fare qualche saltino e basta, perchè il film non fa stare bene e a proprio agio come si potrebbe presupporre: fra bambini presi a colpi di sega circolare, bulletti mangiati vivi (l'idea del minorenne violento Colton che vive da solo in una casa costellata di sue fotografie in pose macho vale già il prezzo del biglietto) e cani da salotto decapitati a suon di machete, gli elementi di disturbo non mancano. A questi va anche sommato il fatto che i personaggi sono tutti insopportabili: Jack ricalca lo stereotipo del "bambino di merda dei film americani", mamma Mag parte carina e sensibile ma già a mezz'ora dalla fine si rivela essere una borghesuccia spietata e opportunista, il nonno è un gretto senza speranza, Karlson (P. Stromare) un uomo supponente e borioso.
Le storie dell'orrore sono sempre quelle cinque, sei là: cambia il modo in cui vengono raccontate. E Watts racconta la sua con una semplicità e una grazia che nel 2014 sono rare. Lo fa grazie a Clown, che ha il pregio enorme di non sputtanarsi mai senza per forza apparire serioso (anche perchè l'horror serioso lo fai giusto se ti chiami Carpenter, Kubrick o Romero, e neanche sempre). Non è un capolavoro o uno dei dieci film più belli dell'anno, nè vuole esserlo: ma che io sia dannato se non è una delle più belle rivincite dell'horror di "pseudo-serie B" sull'horror di "serie A" che ci siano state date di vedere negli ultimi anni!

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