martedì 23 dicembre 2014

L'amore bugiardo- Gone Girl [Recensione]

"Il matrimonio può essere un inferno" scrisse, nel 1884, August Strindberg nel suo Sposarsi (in Italia è edito da Mursia). Di questa affermazione fece tesoro il suo fan più celebre, e cioè Ingmar Bergman, che la estrapolò dal testo e la usò a mo' di impalcatura ideologica in Scene da un matrimonio, un capolavoro che circolò sia in televisione (6 episodi, 300 minuti) che al cinema (167 minuti) e che divenne il punto di riferimento di tantissimi cineasti e sceneggiatori (persino i creatori di Beautiful lo hanno sempre citato come una fonte di idee primaria) dalla seconda metà degli anni Settanta in poi. 
Riattualizzare quel genere di "inferno", frammentandolo e americanizzandolo, è quanto ha fatto, due anni fa, la scrittrice di Kansas City Gyllian Flynn con il suo Gone Girl (da noi tradotto con L'amore bugiardo e pubblicato da Rizzoli), prontamente trasposto su pellicola da mastro David Fincher, che evidentemente non si è ancora stancato di attraversare i generi, fonderli fra di loro e creare nuovi linguaggi. Anzi, pare proprio che da Zodiac in poi il suo cinema stia vivendo una fase nuova, non necessariamente migliore o peggiore ma senz'altro più matura rispetto agli anni di  film comunque capitali quali Alien3, Seven o Fight Club. Nei panni dei coniugi Dunne troviamo Ben Affleck e Rosamund Pike. Per il resto, fotografia, scenografia, musica e altri aspetti tecnici sono tutti affidati ai consueti, impagabili collaboratori di Fincher, da Jeff Cronenweth a Trent Reznor e Atticus Ross. Il soggetto parla di una coppia di scrittori disfunzionale che è sposata da cinque anni e vive in un paesino del Missouri: la mattina del loro quinto anniversario, Nick (Affleck) rientra a casa e scopre che la moglie Amy (Pike) è scomparsa. Punto. Inutile aggiungere altro.
Inutile sforzarsi di incanalare per forza in un unico genere un film che parte come una love-story di coppia in crisi, prosegue come un giallo fino a metà e infine vira definitivamente verso la satira (perchè di satira si può parlare) sociale sulla condizione del matrimonio. E anche se andrebbe visto almeno un paio di volte per coglierne meglio certe sfumature, L'amore bugiardo riesce a regalare una sensazione di malessere che difficilmente si stacca di dosso. Uomini o donne, felici o infelici, ci si sente tutti un po' colpevoli e imperfetti, a conti fatti. Quanta gente, nel mondo, va avanti pur non sopportandosi ogni giorno? Innumerevole, e Fincher in questo va a fondo, grazie ad una regia che non si ferma alle apparenze e che scava a fondo, frammentando e rimontando una menzogna lunga cinque anni in cui sia il marito che la moglie sono gli assoluti fautori, con l'unica differenza che alla chiusura mentale di Nick fa da controaltare la psicologia schizoide di Amy.
Come sempre successo nel suo cinema, Fincher punta tutto sull'atmosfera e costruisce il film facendo andare di pari passo ambientazione e personaggi. L'introspezione non è mai fallace, ogni immagine è costruita ad arte, l'attenzione non scende mai sotto il livello di guardia, neanche quando le mire della pellicola si ampliano, arrivando a destrutturare dapprima una certa ruralità dei paesini americani, e successivamente un intero sistema sociale smanioso di sfondare quella barriera che divide pubblico e privato (ne sono la prova i talk-show dove marito e moglie passano continuamente da una popolarità "in" a un'impopolarità "out").
L'amore bugiardo è il film del mese: quindi è anche il film di Natale. Un thriller perfetto in grado di mettere a disagio chiunque e di dare tante conferme a chi apprezza poco la gente e vede il mondo come una macchina casuale e priva di qualsiasi positività.

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