lunedì 8 dicembre 2014

Magic In The Moonlight [Recensione]

Magic in the Moonlight non sarà dolceamaro e realista come Blue Jasmine (2013), radicale e meraviglioso come Basta che funzioni (2009), o maturo e drammatico come Match Point (2005). Tuttavia- a scapito di tutte le critiche negative che gli stanno muovendo -me la sento di inserirlo a pieno titolo a fianco delle tre pellicole sopra citate e di definirlo uno dei film di Woody Allen più belli e riusciti degli ultimi dieci anni. 
Le motivazioni, con Allen, rischiano di essere sempre le solite: ancora una volta, la sceneggiatura trionfa su tutto (anche sulla maggior parte delle sceneggiature del cinema mondiale), ricca com'è di dialoghi brillanti, battute sarcastiche e monologhi unici; la regia è impeccabile, priva perfino delle sbavature che avevano contraddistinto alcuni film "minori" degli ultimi anni (Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, Midnight in Paris o Scoop); c'è una luce bellissima, un'epoca idealizzata e ricostruita sapientemente (il 1928) e il tutto non dura un secondo di troppo. Ma c'è di più. Ad esempio, ci presenta un nuovo, grande protagonista, Stanley Crowford (Colin Firth), mago inglese snob, nichilista e razionale che ha l'hobby smascherare medium: un personaggio che odia il mondo intero (con l'eccezione della vecchia zia Vanessa) e che porta avanti la propria esistenza ispirato da Freud, Nietzsche e Hobbes, fino a quando non incontra la bella Sophie (Emma Stone), americana di provincia che con l'imbroglio dell'occulto è riuscita ad inserirsi nelle alte sfere dell'aristocrazia internazionale ed è ben intenzionata a rimanerci. 
E' un Allen non originalissimo ma pieno di spunti felici quello che si diverte ad autocitarsi (la scena del temporale e il riparo nell'osservatorio è copiata da Manhattan) e a portare avanti con grande disinvoltura un film bello e anche doloroso, venato di quel classico realismo magico che permea una buona parte della sua opera. Una commedia divertente, certo, ma pure in grado di metterci in guardia e ammonirci: solo illudendosi si può continuare a vivere. Il racconto di un uomo che trova l'amore in ciò che sembra essergli del tutto alieno è portato avanti in maniera stupenda, merito di un cast meno ricco di "star" hollywoodiane ma non per questo meno efficace. Ormai, il cinema di Allen riesce a comprendere personaggi che cambiano dimensione senza minimamente alterare la visione del mondo del loro creatore: il cinico, amabile e bravo Colin Firth ne è la dimostrazione. Emma Stone, invece, è la bella sorpresa del film, intenta a recitare bene come mai prima d'ora. 
E io sono contento. Sono contento perchè gli anni passano, e mi rendo conto che in realtà, per me, Allen non ha rappresentato soltanto una sbornia adolescenziale e una fonte di ispirazione senza pari, ma un vero e proprio Autore il cui cinema continua a piacermi e a farmi vivere meglio. 
Che poi sarebbe anche il compito ultimo di un po' tutta l'Arte.

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