giovedì 26 settembre 2013

[Recensione] The Grandmaster

Avrebbe sempre voluto farlo, sin dai tempi di Hong Kong Express, ma Wong Kar-wai ha preferito aspettare, regalando al suo pubblico internazionale ulteriori capolavori quali In the Mood For Love (con ogni probabilità, uno dei migliori film sentimentali del nuovo millennio) e 2046. Tuttavia, nel 2009, due anni dopo aver girato il suo primo, tiepido film europeo (Un bacio romantico-My Bluberry Night), ha rotto ogni indugio e ha annunciato l'inizio della lavorazione di The Grandmaster, biopic sulla figura del maestro di kung-fu Yip Man. Le riprese si concludono nel 2011 e a Wong ci vuole più di un altro anno per montare e preparare il film, che solo a febbraio del 2012 viene presentato alla Mostra del Cinema di Berlino.
Opera immensa, barocca, virtuosa sul piano registico e coreografico, The Grandmaster è una biografia post-moderna dove ben poco peso hanno le ambientazioni (nonostante tre scenografi), e tutto si regge- come nell'opera lirica cinese più volte mostrata e fatta ascoltare durante il film -su tre, quattro personaggi e sull'azione. Inoltre il protagonista assoluto del film non è tanto Yip Man (di cui tuttavia Wong segue con attenzione la storia e che è un po' il ponte fra i vari personaggi, oltre a vivere direttamente una serie di momenti cruciali per la Cina), quanto lo stesso kung-fu, utilizzato dai vari personaggi/maestri in modi diversi per adempiere ai loro destini. E sempre come una rappresentazione teatrale il film è facilmente scandito in tre atti: il primo, dove a farla da padrone è il combattimento e lo scontro fra i vari maestri (oltre allo scontro geografico fra Cina del Nord e Cina del Sud, due scuole di pensiero che si contrapporranno fino alla fine); il secondo, dove la figura di Yip Man, rimasto vedovo e solo a causa della guerra con il Giappone, si fa da parte per lasciare spazio alle faide e alle vendette degli altir personaggi; il terzo, dove Yip Man si avvia verso i sessant'anni con un nuovo passaporto (quello di Hong Kong), chiude i conti col passato e apre una sua scuola, visto che il kung-fu <<appartiene a tutti>>. 
Sinceramente, dopo il combattimento sotto la pioggia con cui si apre il film (cinque minuti di lotta rallentata, accellerata e frammentata in una trentina di inquadrature raffinatissime), l'idea di alzarsi e di applaudire dicendo che il film può anche finire lì ci domina, così come si rimane sconvolti quando, alla fine, ci accorgiamo di come Wong abbia giocato con lo spettatore, illudendolo di assistere ad un film d'arti marziali, quando, in realtà, siamo davanti ad una meravigliosa e irrealizzata storia d'amore ventennale: si ritorna così all'albergo di In The Mood For Love, e con questo non voglio dire che The Grandmaster copi e incolli, ma che semplicemente tutto quadra nella filmografia di Wong Kar-Wai. E che quello che fino ad oggi è il suo film tecnicamente più ambizioso e riuscito non sia necessariamente un tornare sui propri passi, quanto un guardare avanti, oltre i generi, oltre la modernità, oltre i propri (capo)lavori. 
Ah, nel caso non si fosse capito, il bambino della foto con cui si chiude il film è Bruce Lee.

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