lunedì 9 settembre 2013

Che tempo che (non) fa [Extra]


La generazione di italiani nati negli anni sessanta è stata la prima ad avere un forte collante, ovverosia la televisione nazionale. Le memorie delle generazioni precedenti erano fortamente cittadine o regionali. E lo stesso è successo dopo l'atomizzazione prodotta dalle tv privata, che ha riportato il nostro paese all'età dei Comuni.
Fabio Fazio, nato a Savona nel 1964 e dunque appartenente alla generazione televisiva degli anni sessanta, entra in RAI a diciotto anni, come imitatore in un programma radiofonico. Il primo ricordo che ho di lui risale agli anni di Quelli che il calcio... su RAI 2, quando Fazio- allora 33enne -era già una colonna portante della RAI milanese. Poi ci fu la conduzione dei due festival di Sanremo e di conseguenza la sua consacrazione definitiva. Ma Fabione aveva altro in mente.Infatti, se andassimo a rivedere certi suoi programmi di fine millennio (Anima mia, tanto per dirne uno) sarebbe possibile notare come Che tempo che fa risulti la concretizzazione dell'interesse di Fazio per qualcosa che non si limita ad essere “solo” varietà. E il grande problema emerso in questi dieci anni (la prima puntata andò in onda nel 2003) di fortunatissima programmazione a me sembra essere l'attenzione destinata dal conduttore ligure esclusivamente a un certo emisfero dell'universo culturale. Dunque Fazio, pur abbandonando la televisione considerata “leggera”, ha creato comunque un vuoto catodico, osannato, talvolta, da telespettatori che difettano di intelligenza. A questa schiera appartengono, per esempio, quei redattori de L'Espresso che, nel 2010, definirono Fazio un conduttore di “garbata comicità”, elogiandone lo stile e spendendo tempo e litri di inchiostro per tracciare un profilo dell'autore dove trovavano spazio numerose altre perle ossimoriche, tipo “un intervistatore senza domande”. Insomma, più che un articolo degno di un autorevole settimanale italiano, sembrava un unico, lungo trailer di Maccio Capatonda. Queste definizioni mi facevano ridere allora come adesso, perchè in Fazio non ho mai intravisto neanche un briciolo della comicità che gli veniva attribuita: al massimo, lo potrei considerare ironico, ma di un'ironia timida, imbranata, penosa. Per quanto riguarda invece il suo ruolo di intervistatore, si potrebbe parlare di Fazio come della famosa “ultima ruota del carro”, visto che in questi programmi esiste una squadra di scrittori che lavora sull'ospite e prepara, con largo anticipo, una serie di domande; dopo questo passaggio, si va in studio, dove Fazio provvederà a fare quelle domande. Il fatto che a Che tempo che fa vengano poi invitate sempre le stesse persone e che queste persone, oltre che famose, siano quasi sempre amiche del conduttore rende impossibile qualunque contraddittorio: ed è questa la formula definitiva in grado di rendere uno show di RAI 3 uno dei programmi più politicamente corretti della televisione e di farlo piacere a tutti, anche quando i toni si inaspirscono, gli autori si schierano e le risate del pubblico diminuiscono.
Mi riferisco, ovviamente, a Vieni via con me, il kolossal socio-televisivo in quattro puntate “ft. Roberto Saviano” andato in onda nel novembre 2010 e replicato, col nome di Quello che non ho, su La7 nel maggio 2012.
Vieni via con me è stato la prova definitiva che oggi molti intellettuali provano un particolare autocompiacimento quando parlano di “censura” o di “regime”, e non perchè abbiano vissuto la dittatura Fascista o perchè siano stati realmente censurati, ma perchè basta pronunciare certe parole con toni vittimistici per accrescere il proprio prestigio. La RAI “garbata”, censoria e democristiana degli anni cinquanta e sessanta non avrebbe mai permesso a Fazio e Saviano di registrare e mandare in onda in prima serata uno show dove si affrontano certi argomenti: eppure loro, pur avendo carta bianca sui contenuti e consenso della direzione, devono comunque comportarsi da vittime, unici e soli “illuminati” in un panorama televisivo culturalmente ingiusto e vuoto. In più, Vieni via con me ha provato definitivamente la passione di Fazio per il “sistema lista” (fattore con cui aveva già flirtato negli anni novanta), anche se le origini di questa storia d'amore non vanno ricercate, a mio avviso, né nel libro di Umberto Eco Vertigine della lista (uscito per Bompiani pochi mesi prima della messa in onda del programma), né nell'hobby della catalogazione di Nick Hornby (spesso citato da Fazio come altro maestro di vita), ma piuttosto in una lettura adolescenziale del giovane Fabio: Bouvard e Pécouchet di Flaubert, un romanzo pubblicato postumo dove due anziani si divertono a catalogare il mondo disciplina per disciplina.
Tipica espressione di Fabio Fazio
Se mostrassimo una foto di Fabio Fazio a dieci persone e chiedessimo loro di attribuirgli una virtù a caso, cinque di queste direbbero <<la bontà>>, e altre cinque <<la giovinezza>>. Cominciamo col dire che Fazio, in reatà, non è buono, né tantomeno buonista, e non ha mai mancato di dimostrarlo: un individuo buono tende all'ecumenismo, e non all'esclusione culturale. E in secondo luogo, Fazio non è più giovane, né moderno: anzi, rifugge la modernità, ne parla spesso male e nasconde la propria cultura ponendosi (spesso in maniera ridicola) svariate gradinate sotto ai suoi ospiti. Tuttavia, non è un cialtrone, ma un professionista, una persona competente. I veri cialtroni sono i componenti del novanta per cento del suo pubblico: individui dai dodici ai novantanove che non si sono mai interessati a niente e che, di punto in bianco, diventano colti, razionali e aperti, perchè così dice di fare Saviano a Vieni via con me e perchè così andava fatto. Tutti bravi, tutti altruisti, tutti attenti alla pace nel mondo: persone che passano le giornate a celebrare i simboli culto della sinistra dell'ovvio, dal logo di Emergency (<<perchè mi hanno regalato la maglietta>>) alle stringhe arcobaleno delle sneakers (<<perchè la tonalità di viola è uguale a quella delle Converse>>). Seguire Fazio è dunque un atto di cialtroneria, così come comprare Zero zero zero senza leggerlo oppure come mettere “mi piace” ad una pagina Facebook credendo di risolvere così i problemi del mondo. Assurgere a simboli del cialtronismo culturale è il destino che spetta anche a tutta la schiera di Fazio: pensate a Michele Serra, ennesimo messia che si prende cura della salvezza di un popolino che, dal canto suo, vuole solo risparmiarsi la fatica della lotta. 
E chissà quali idoli ci proporrà, a partire dal 29 settembre, il buon Fabio. Un giorno sarà Grillo, un giorno Marchionne, un altro giorno ancora sarà Saviano: tutti probabili salvatori del Belpaese, tutti ospiti di Fazio, tutti idoli di una massa instabile, come la vox populi che canta all'inizio di Turandot, o come quelli che- secondo un altro fortunato best-seller -urlavano prima <<Osanna!>>, e una settimana dopo <<Crucifige!>>. E dietro a tutti questi fenomeni mediatici, Fabio Fazio, una figura minore che ha capito quali sono i desideri diffusi nel nostro paese oggi e che basta una patina di impegno sociale, un accenno di fuga dal paese e l'imparziale denigrazione dello stato delle cose per fare ascolti record con uno show televisivo. Perchè questo è Fabio Fazio: “solo un conduttore televisivo”. 

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