lunedì 23 settembre 2013

Fannullopoli-Bomburgo: andata e anche ritorno [Trame]

PREMESSA

Non necessariamente un blog deve rispondere a tutta una serie di ferree regole autoimposte. Così, ho deciso di raddoppiare la rubrica Trame di settembre e di accantonare, momentaneamente, i vecchi racconti onirici ritrovati di recente. Presento così questo racconto pensato inizialmente per un fumetto e scritto in questi giorni di febbre autunnale. 
Buona lettura.

FANNULLOPOLI-BOMBURGO: ANDATA E ANCHE RITORNO

«Non mi rompere il cazzo! Sto per partire e torno martedì! E guai se dici che mi hai sentito. Ricorda che sono in malattia!».
Nonostante il frastuono dei reattori che si riscaldano in pista, gli annunci stridenti in più lingue, le alte grida da suk emesse dai viaggiatori, l’autostrada a pochi metri affollata di tir e la normale dispersione fisica del suono, persino nell’enorme centro commerciale che fronteggia l’aeroporto di Fannullopoli, ricetto speculare di una fauna simile, avranno sentito questa compita risposta. A sbraitarla è stata un’arruffata tardoventenne disabbigliata come le raccoglitrici di telline che decorano certi arzigogolati e inutili centrotavola di Capodimonte. Chiude a scatto un vecchio cellulare a conchiglia, raccoglie uno zainetto Seven che reca ancora scritte a pennarello scolorite inneggianti ai Blue, guarda le due amiche che ancora ridono per la sua uscita e insieme si allontanano rapidamente in uno sfarfallio di infradito verso chissà quali mete da cui torneranno con ricordi bollenti e una vaginite. Il signor Candido Bucaneve, rappresentante presso una ditta di materassi artigianali, cerca di memorizzare il suo viso. E' sicuro che in settimana prossima la ragazza sarà ospite di qualche piagnucolosa trasmissione firmata Santoro.
Finisce di bere un cappuccino che costa come un caffè preso ai tavolini del Florian e si accorge di essere entrato in contatto con il mondo dei neoproletari on the move, un microcosmo di cui ha sempre sentito parlare, ma che non pensava esistesse veramente. In base ai racconti di alcuni colleghi più abituati di lui alle trasferte, si aspettava di vedere tutto ciò che ora effettivamente ha davanti agli occhi. E che sente intorno a sè, dato che neppure chiudendo gli occhi l’oscenità scompare: anzi, risulta amplificata dalle urla scomposte e dalla maleducazione generalizzata.
L’idea di aeroporto assorbita da vecchi film e dai giornali di gossip di molti anni fa si sintetizzava nell’espressione del jet-set: infatti, l’aereo era un mezzo così costoso che solo una ristretta élite poteva permetterselo, mentre per gli altri esisteva la cuccetta da seconda classe o sugli interregionali. E questo aveva come conseguenza un intero codice di comportamento; l’eleganza soffusa- e spesso solo presunta -delle classi più ricche dettava le regole di un galateo supernubilare; silenzio, distacco, una certa noia e vesti di livello adeguato. I ricchi volavano per rapidità, non perché avevano fretta: non provavano l’ansia di arrivare subito per non perdere nemmeno un minuto di quella follia vacanziera che contraddistingue tutti quelli che adesso circondano il signor Bucaneve. I ricchi volavano anche per non mescolarsi con il resto del mondo. Per questo si rinchiudevano in certe riserve protette dell’eleganza. I night, i concorsi di equitazione, i quartieri-zoo come Milano 2 e gli aeroporti. Il jet-set arrivava al gate silenziosamente, scivolando nella stessa afa che ci opprime anche questa mattina, senza mai sudare. Arrivavano in perfetto orario, e mai troppo tardi da dover subire l’umiliante chiamata dagli altoparlanti mentre il pilota impreca. Mai troppo presto, come fanno quelli che poi si spogliano e si sdraiano su tre sedili e iniziano a dormire e russare perché giunti con cinque ore di anticipo mentre gli amici li fotografano e postano subito il jpg su Facebook per mostrare a chi è rimasto a casa quale vita da globetrotter stiano conducendo. I ricchi giungevano solo con quel breve anticipo sufficiente a volteggiare nel gate, fare da elemento scenografico di fronte alle vetrate oltre le quali scorrevano, con altrettanta grazia e silenziosità, le fusoliere argentate di poche linee aeree dai loghi evocativi.
Candido Bucaneve si guarda intorno e non vede nulla di tutto ciò: è qui da quaranta minuti, e osserva i bivacchi che costellano il gate, simboli dell’ineleganza naturale di un neoproletariato che sta ormai conquistando il mondo. E questo stesso neoproletariato è adesso in fila davanti al gate 6, il più famigerato, il più angusto, quello da cui si decolla per l'aeroporto iperperiferico di Bomburgo. L’aereo attende appena fuori dalla vetrata e Candido si domanda come quel modesto velivolo possa accogliere l’infinito serpentone che si snoda a pochi metri da lui. La coda lo sommerge, lo ingloba ed egli è accerchiato al punto che riesce a indovinare indole e speranze di ognuno di quei viaggiatori, tutti individui convinti che l’intero Regno Bomburghese, si rispecchi in poche zone di una capitale conosciuta attraverso i racconti di chi li ha preceduti. Aspiranti designer italofobi, intimiditi frequentatori dei GREST oratoriali alla loro prima avventura volante, fan sfegatate degli One Direction stoltamente convinte di scoparsi a breve una nazione di maschi graziosi come i loro idoli, legioni di quarantenni sessualmente ambigui in look Mengoni (capello bananato e occhiale fluo) che appena possono volano lassù da amici pakistani con laundrette e che già al gate assumono un'aria di sufficienza e disprezzo verso la madrepatria. E Candido si diverte, gioca a fare l'Arbasino di serie C appuntando quello che vede su un taccuino nero.
Però anche lui sta andando a Bomburgo, una città in cui mai avrebbe pensato di andare e in cui è convinto che si annoierà a morte, circondato soltanto da sosia di questi signori semiaddormentati che stanno per volare con lui.
Avrebbe dovuto farsi affibbiare dai capi altre destinazioni, tipo la Spagna. Però, davanti al gate da cui si decolla per Valencia aveva sfiorato una ventina di uomini tra i trenta e i quaranta che forse dicevano cose molto divertenti viste le frequenti risate. Peccato che Candido Bucaneve non capisca il dialetto stretto delle valli camune. I bermuda a quadri si sprecavano e anche le camicie a fiori. Tra tutti quegli indistinguibili spiccava però il re della compagnia, uno più anonimo degli altri, ma il cui petto era attraversato da una fascia, simile a quella dei sindaci, o anche meglio a quelle che pendono dalle corone funebri, visto che il nastro era fregiato da una scritta dorata: Addio al Celibato–settembre 2013. Era rimasto a fissarli per un po’, certo che sarebbero scomparsi di lì a poco non essendo che una proiezione delle sue più profonde angosce. Invece no, esistevano davvero. Trenta trentenni tutt’e trenta trotterellanti verso tre giorni di delirio alcolico-sessuale da veri maschi, lontano da mogli, fidanzate, madri, suocere, a celebrare gli ultimi istanti di libertà del loro amico prima che anche questo cetriolone si asfaltasse in una esistenza di mutui capestro, mogli capricciose e pranzi domenicali dalla suocera. Vedendolo sparire oltre il gate, Candido gli ha augurato lo stesso destino di Daniel, l’amico di Elton John che andava sempre in Spagna e che, vola oggi vola domani, alla fine precipitò con tutto l'aereo: ad ogni modo, sempre meglio della vita che lo attende tra qualche giorno, dopo il banchetto nella raffinata Villa Tropicana Resort, dove, con la neomoglie Tizzy, avrebbe salutato parenti e amici come da partecipazione stampata su cartoncino bristol in caratteri Edwardian.
<<Leaving for Bomburg immediate boarding!>>, chiamano, e il signor Bucaneve va.
L’aereo sta decollando ed è troppo tardi per tornare indietro. Candido avrebbe dovuto pensarci prima e annullare l’intera trasferta, pur sapendo di non aver diritto ad alcun rimborso; anzi, avrebbe dovuto rinunciare all'incarico. È sempre così: appena la segretaria ha premuto “enter” e PayPal ha avviato la procedura di pagamento è stato assalito dai rimorsi, dai sensi di colpa, dalla nausea per quello che lo aspettava. Improvvisamente, ripensa a certi lunghi camion che incontra sulla strada per Lavalava, simili a grosse gabbie dalle cui sbarre spuntano i grugni di maiali portati nei salumifici locali. I suini non sanno quale destino li aspetta e sono felici di quella trasferta, magari si parlano tra loro, si dicono cose come «Io amo molto viaggiare» oppure «Ogni tanto si deve staccare la spina». Sembrano quasi salutare Candido con una pazza allegria grufolante mentre lui li sorpassa, dando loro appuntamento in un futuro panino.
L’atmosfera a bordo è altrettanto grufolante e i panini non appartengono a un ipotetico futuro, ma al presente. Il naso dell’aereo non ha ancora toccato il primo strato di nuvole e già il passeggero seduto al fianco di Candido ha estratto dalla borsa un involto argentato. Appena stracciata la stagnola, l’aria s’impregna di un odore perforante di salamella. Il povero signor Bucaneve si domanda dove il passeggero abbia mai comperato quel simbolo di antiche feste de l’Unità e come possa divorarlo con tanta golosa avidità a quest’ora del mattino. Poi nota che dal taschino della giacca spunta un passaporto inglese, gli vengono in mente i disgustosi breakfast d’Albione e solo allora tutto gli appare più chiaro. Sui voli low-coast tutto è a pagamento e tutto costa molto: ecco perché la tendenza dei passeggeri è quella di presentarsi muniti di frittata con cipolle, usanza che finora veniva attribuita solo alla seconda classe del treno Palermo-Francoforte.
La parola d'ordine è una e una sola: isolarsi. Candido ha già indossato gli auricolari e acceso l’iPod, benché sia vietato l’uso di ogni apparecchiatura digitale nella fase di decollo; ha aperto un fumetto per concentrare lo sguardo sulla fila dei caratteri tipografici inseriti nei baloon, senza dover per forza leggere. Purtroppo non può contrastare l’effluvio di salamella perché non sa rendere autonomamente disponibile la maschera per l’ossigeno, ma un particolare di non poca importanza attira la sua attenzione: la storia che si appresta a leggere, Paperino e il re del fiume d'oro, è ispirata ad un racconto di John Ruskin, che è stato un po’ il padre degli odierni viaggi modellati. Prima di lui, infatti, solo i rampolli dei nobili si dedicavano al Grand Tour e passavano un lungo periodo svenendo davanti alle chiesette toscane. Dopo le guerre napoleoniche, anche i grandi borghesi fecero proprio quel vezzo e iniziarono a fingersi vittime della fascinazione artistica. Ruskin, figlio di un mercante di sherry, non aveva nobiltà né una preparazione culturale particolarmente approfondita, risultando dunque perfetto per vestire i panni della guida del tempo nuovo. I suoi testi non sono esplicativi, tecnici, storico-critici, ma si basano solo sulle impressioni del momento che lui ricavava davanti a un’opera d’arte, ed egli non diceva al branco cosa vedere, ma anche come vederlo. Esaltati da questa sensibilità acquisibile a prezzo contenuto, i progenitori dello stesso inglese che, al fianco di Candido, sta attaccando il secondo panino con salamella iniziarono a venire in Italia per provare esattamente ciò che Ruskin aveva imposto loro di provare. Oggi manca una figura simile, un Ruskin che guidi le impressioni della massa. Su LinkedIn direbbero che è una “posizione libera”, e magari potrebbe rivelarsi proprio il signor Bucaneve l'individuo-chiave di questa rinascita delle croniche di viaggio.
L’entusiasmo però dura poco ed egli si rende conto che il nostro tempo non ha bisogno alcuno di una figura simile, visto che quel ruolo è già coperto in maniera liquida dai blogger di viaggi, dai redattori degli inserti sul lifestyle di Repubblica, dalla gamma di esperienze pregresse di colleghi e amici che hanno già vissuto certe cose che anche tu devi vivere, pena la morte civile. In maniera molto più democratica di quanto avvenisse ai tempi di Ruskin, oggi si è tutti faro e illuminato, indicatore e indicato, insegnante e discepolo allo stesso tempo. Inoltre il diktat emozionale non è più limitato solo all’arte, ma si estende ai consigli di turismo gastronomico diffusi da soubrette in disfacimento o dalle indicazioni sui locali imperdibili di Shangai impartite da dj che non hanno mai lasciato Borgofiorito.
Candido rimette a posto il fumetto e ripone l'iPod nel bagaglio a mano, attorcigliando svogliatamente le cuffiette. Osserva fuori dal finestrino e pensa al clima: l’idea del freddo lo perseguita da sempre, sin da quando si è reso conto di come, per gli altri, lui si doveva rapportare al caldo. Quando sapevano che i suoi genitori erano di origini meridionali, gli abitanti di Fannullopoli iniziavano a esaltare il calore mediterraneo, calore che lui non aveva mai conosciuto, avendo respirato solo la nebbia diaccia che allora avvolgeva la Valle dell'Iride. Come se poi le estati fannullopolitane non fossero più torride e soffocanti di quelle marine e ventilate del sud. Le cose erano peggiorate quando aveva iniziato a rapportarsi con gli stranieri; in particolar modo, con quelle scollacciate ex-sovietiche convinte che tutta l’Italia fosse un solo, enorme golfo di Napoli. Sarà stato per reazione o forse perché era nato a febbraio oppure perché in inverno, a scuola, viveva i suoi unici momenti di socialità, ma aveva iniziato a detestare il caldo. Gli anni Ottanta- quelli che che lo avevano accolto nel mondo dei giovani adulti -lo avevano aiutato a coltivare quell’odio. A quei tempi, Candido sognava di intraprendere la carriera di cantante, ed era uno dei giovani più ferrati in ambito musicale: suonava svariate ore al giorno, cantava in un paio di band, andava ai concerti e comprava vagonate di dischi. Dal momento in cui si imbattè nei Visage che cantavano di estati piovose in stazioni grigie, il suo immaginario si era affollato di cantanti e musicisti che sulle copertine dei loro dischi erano perennemente bardati in cappotti pesanti come armature. La criofilia del signor Bucaneve aumentò quando, come rappresentante, dovette adattarsi ai trentacinque gradi dell’afa di certe amene località di provincia, dove era costretto ad indossare ridicole camiciole dalle maniche corte e a rinchiudersi nel bozzolo di stupidi completi pagati due lire; e solo in auto, immerso nell'aria condizionata al massimo del suo potenziale, riascoltava quei vecchi dischi provenienti da un mondo in cui, per lui, si usavano solo pesanti stoffe e si viveva in mezzo alla nebbia e al grigiore.
Nessuno obbedisce alle indicazioni registrate che intimano di non muoversi fino all’arresto completo del vettore. Tutti liberati delle cinture di sicurezza, hanno prontamente riattivato i cellulari e si sono avventati sulle cappelliere in attesa di sapere verso quale portellone dovranno ammassarsi per riconquistare la libertà. Appena Candido esce dall’aereo, viene avvolto da un semiautunno appiccicoso che i locali considerano forse un clima più estivo che autunnale, visto che si aggirano svestiti come George Michael e Andrew Ridgley nel video di Club Tropicana: è quindi ovvio che a Bomburgo si ammalino spesso.
Ma ora non è tempo di pensare agli usi e costumi locali, bensì al lavoro per cui il signor Bucaneve è stato mandato fin lassù: chiudere un importante affare con un arredatore di prestigio del posto. E così, Candido si ritrova su un autobus che compie un giro di circonvallazione senza mai fermarsi, un anello lunghissimo che dal ridotto centro di Bomburgo attraversa prima una spessa fascia di edifici decadenti, negozi chiusi, fabbriche abbandonate, take away indiani che occuperebbero per mesi i NAS, e poi si perde in una periferia fatta di casette e capannoni tutti uguali, tanto che sarà dura trovare l'azienda in cui lo aspettano. Però lui è un professionista: ha le indicazioni salvate sul suo BlackBerry aziendale, anche se, in questo preciso istante, sembra distratto dalla rassegna di umanità che la strada gli sta offrendo. In giro, infatti, non si vedono tracce dello stile di rock band che da cinquant'anni vengono ascoltate in tutto il mondo, così come a nessun angolo Candido riesce a scorgere famosi attori teatrali ed eleganti modelle. Anzi, tutto ciò che egli vede sono ragazze grandi almeno il doppio delle sue connazionali, contraddistinte da deretani giganti e pance strabordanti. Ci sono stanze disordinate e dai muri scrostati che teniamo nascoste ai visitatori, preferendo accoglierli nel salotto buono. È una tipica tendenza italiana che i bomburghesi hanno applicato in un altro settore: mostrano al mondo Kate Moss e poi nascondono, a fatica, questo eccesso di carni che non è floridezza emiliana, ma un grasso malefico e insano come i cibi fritti che le girls consumano a ogni ora. Adele e Susan Boyle dunque non sono eccezioni, sono la regola. Lo spettacolo più indecoroso è vederle sfilare alle otto di sera, mentre in gruppo si preparano a una notte di follie. Mescolano burlesque e puttanesque, girano in gruppi dai nomi come The Anal Sphincters, identificate da t-shirts troppo aderenti e qualcuna brandisce enormi falli rosa gonfiabili.
Il signor Bucaneve ha da poco concluso l'affare, assicurando alla sua azienda lavoro per un mese e mezzo e riuscendo così a dare un senso a questo viaggio da incubo. Decide di riavvicinarsi al centro, di raggiungere il suo albergo e di mangiare qualcosa, ma dopo un’ora di circo alcoolico andrà a letto per poter vivere una notte con le parti noiose tagliate. Verrà ridestato spesso da scoppi di urla e dal frastuono dei locali, automaledicendosi per aver scelto un albergo a cento metri dal vicolo-cloaca in cui è ubicato qualche club esclusivo. Quindi, sveglia alle 6.30, salutato dallo stesso cielo chiaro e livido contro cui aveva chiuso le tende alle 23, perché a queste latitudini in estate la notte è piccolissima. Check-out subito e fuga nel vuoto umido della zona pedonale, con tutti i negozi chiusi, i bar inesistenti e un velo d’acqua viscida che ricopre tutto senza far luccicare nulla; ritrova le stesse ragazze, sfatte, che tornano a casa. Sono seminude nonostante il clima da ritirata di Russia, ancora più incerte su brutti tacchi che prima o poi le uccideranno, riempite da quantità di alcool micidiali anche per un marinaio e si sostengono a vicenda. <<E gli uomini?>>, si chiede Candido guardandosi attorno. Del resto, ha visto solo un esercito di donne deformi e volgari che lo hanno fatto rimpiangere le tamarre che ascoltano Emma Marrone nel centro commerciale Terronava. Eppure gli uomini, per quanto sparuti, anonimi e intimiditi dalle valchirie che ieri sera li assalivano se si sentivano fissate, ci sono, esistono e hanno un solo interesse divorante: il calcio. Perché se i Beatles sono icone rare come un cartello di attraversamento cervi nel centro di Sassari, il Bomburg F.C. è un’onnipresenza angosciante. Non si parla che di calcio, non si legge che di calcio; il novanta per cento dei polpacci maschili è tatuato con il crest della squadra locale. Il calcio è un tale tarlo che persino il cameriere asiatico di un ristorante giapponese nascosto in uno scantinato, dotato di un vocabolario inglese che non supera le venti parole, quando scopre che il signor Bucaneve viene da Fannullopoli, gli domanda se conosce Balotelli. Ma Candido non conosce Super-Mario, e l'omino con gli occhietti a mandorla non vende il caffè.
Così, nell'attesa che catene tipo Costa's o Starbucks aprano i battenti, il rappresentante ripensa a quanto ha visto, rilegge i suoi appunti di viaggio e capisce che le sfilate delle donne sassoni sono la dimostrazione che Elisabetta I, Vittoria, Elisabetta II e la Tatcher non potevano che nascere e ottenere il potere qui. Gli torna in mente Candy Bovini, quella compagna di scuola che, trent'anni prima, leggeva solo poesie di letterate bomburghesi avulse dal mondo: anche lei era obesa e ubriaca, e spesso veniva ritrovata appoggiata ai muri del centro di Fannullopoli, inutilmente sostenuta da un paio di amiche che dopo l'orale della maturità erano sparite e non avevano più voluto sapere niente di lei. Giustificava il suo nome cafone col fatto che era di madre anglosassone- cosa assolutamente non vera -e si sforzava di emulare l'accento straniero quando meglio poteva. Candido se la immagina dietro il bancone del gastropub appena aperto: ormai si è dimenticata anche quelle tre parole di madrelingua, non legge più Virginia Wolf, ha dei gravi problemi di memoria da quando è stata rimpatriata da Ibiza in coma etilico e deve avere il fegato ridotto come le strade di Bomburgo a quest'ora. Però Candy adesso è felice, e alle scuole superiori non lo era. E neanche il signor Candido Bucaneve voleva esserlo.


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