venerdì 19 febbraio 2016

AA.VV., "God Don't Never Change- The songs Of Blind Willie Johnson" [Suggestioni uditive]

AA.VV.,
God Don't Never Change- The Songs Of Blind Willie Johnson
(Alligator Records, 2016)












L'ondeggiare dei tribute albums è già di per sè misterioso, ma lo è ancora di più se riafferma la collaborazione tra musicisti viventi e musicisti morti. Due strisce, la Vita e la Morte, che si sovrappongono per conservare l'opera di uno dei più grandi maestri cantori di sempre: quel Blind Willie Johnson, il cui messaggio di dolore e tristezza più profondo (Dark Was The Night, 1927) e inesprimibile a parole viaggia, dal 1977, verso lo spazio interstellare, sottoforma di disco d'oro.
Le trenta canzoni incise da Blind Willie per la Columbia fra il 1927 e il 1930 rappresentano, da sempre, la facciata più ossessiva dello spiritual, che viene presa e trapiantata nel blues da un nero tenore texano che si era costruito una chitarra con una scatola di sigari a cinque anni ed era stato accecato a sette, con l'acido solforico, dalla matrigna. Jeffrey Gaskill, produttore e musicologo di comprovata fama (sua l'idea del non autorizzato e anche per questo affascinante Gotta Serve Somebody: The Gospel Songs Of Bob Dylan, uscito nel 2003), di quelle trenta canzoni ne ha scelte undici e ha chiamato a sè dieci diversi interpreti: Tom Waits, Lucinda Williams, Derek Trucks e Susan Tedeschi, i Cowboy Junkies, i Blind Boys Of Alabama, Sinead O'Connor, Luther Dickinson, Maria McKee e Rickie Lee Jones. Ci ha messo qualche anno (otto, a sua detta), ma il risultato è magnifico e il fantasma di Blind Willie Johnson- sempre impressionante e proiettato attraverso l'unica foto accertata giunta fino a noi -aleggia su tutta l'opera.
La ruralità dei brani originali resta intatta in buona parte dell'album. The Soul Of A Man e John The Revelator cantate da Waits restituiscono la visione apocalittica di Blind Willie in tutti i suoi stadi, dalla procreazione alla manifestazione. It's Nobody's Fault But Mine della Williams va a fare compagnia all'altra grande cover già conosciuta di questa canzone: quella dei Led Zeppelin, puramente hard rock e fissata alla fine degli anni Settanta.
Enormemente importante la Jesus Is Coming Soon dei Cowboy Junkies, dove la registrazione di quasi novant'anni fa viene esaltata dal rapporto Blind Willie/Margo Timmins/Gesù Cristo (Cosa/Soggetto/Visione).
Angelica, e venata di tutto il suo cattolicesimo irlandese, la Sinead O'Connor di Trouble Will Soon Be Over. Infernalmente campagnoli Luther Dickinson e la Rising Star Fife & Drum Band di Bye And Bye I'm Going To See The King.
Alla fine, l'unico brano interamente trascurabile della raccolta è proprio Dark Was The Night, cantato (eresia!) da Rickie Lee Jones, ma anticipato, una traccia prima, dalla superba Let Your Light Shine On Me della ricomparsa Maria McKee. Ora, tutti i titoli di Blind Willie Johnson sono oggettivi, precisi, determinati, ma Let Your Light Shine On Me lo è in maniera particolare. Si potrebbe dire che quello di questa canzone è il titolo che definisce tutte le altre. La McKee la canta rovesciando tutto l'apologetico cristianesimo di cui il blues di Blind Willie Johnson è luciferina e tersa incarnazione. L'attrattiva "erotica" del blues di Robert Johnson, con i suoi doppi sensi e i suoi ammiccamenti, è totalmente assente nel repertorio di Blind Willie, ma è la "magnifica ossessione" che formò tutti i maestri cantori del Delta (e poi del resto degli Stati Uniti) e tutti i bluesmen degli anni a venire ad offrirsi nuovamente, chiara e limpida, alle nostre orecchie. 

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