domenica 28 aprile 2013

Le memorie di Sbelluccio Bellini (Capitolo II) [Trame]


II.
NEL QUALE DIMOSTRO DI ESSERE UNA PERSONA DI SPIRITO

<<Ti consiglio di lasciare la signorina a se stessa, e stai certo che tornerà presto in sé>>, mi disse Daniele, dimostrando di saper conoscere abbastanza il mondo e le donne; infatti, dopo di allora, ho visto che molte donne tornavano in sé nella medesima maniera.
<<Chi di noi deve sfidare il capitano Tobino?>>, dissi a mio cugino; perchè era la prima volta che avevo una questione d'onore e ne ero orgoglioso come uno studente che si laurea con il massimo dei voti.
<<Vai a fare in culo, cittino impiccione! Ti fai sempre gli affari degli altri. Cosa te ne importava di venire qui a fare scenate e litigiare con un gentiluomo che mette insieme centocinquantamila euro l'anno?>>, tuonò mio cugino. Poi si calmò e, reputandosi uomo di esperienza, tentò senza alcun risultato di darmi alcune dritte in campo amoroso. Ma chi è innamorato (o almeno crede di esserlo) ascolta mai i buoni consigli? Io non li ho mai seguiti e così dissi chiaramente a Daniele che Tobino avrebbe dovuto vedersela con me prima di sposarla.
<<In fede mia>>, disse Daniele, <<credo che sei un ragazzo in grado di mantenere la parola>>. Mi guardò fisso per un secondo o due e poi andò via anche lui, fischiettando un motivetto; vidi che si voltava a guardarmi, mentre passava attraverso il vecchio cancello del giardino.
La campana del pranzo della domenica di casa di Laila mi distolse dai miei rovinosi pensieri. Ricordai allora che ero stato invitato, assieme ai miei cugini soldati, e che dovevo affrettarmi; attraversai i locali della servitù, vidi quell'odioso attendente del capitano in giubba mimetica che si dava da fare con le sguattere e le cuoche. <<Signor Bellini>>, mi disse una delle ragazze, <<Accomodatevi in sala da pranzo; è già arrivato il filetto di vitello>>.
Entrai e presi il mio posto in fondo alla grande tavola, mentre un mio amico maggiordomo mi portava rapidamente un coperto.
<<Ciao Sbelluccio!>>, disse Remo.
<<Avrebbe fatto meglio a starsene a casa con sua madre!>>, brontolò sua moglie.
<<Non badare a lei>>, replicò il padrone di casa ammiccandomi. <<L'oca fredda che ha mangiato a colazione le è rimasta sullo stomaco. Prendi un bicchierino di liquore>>, e, alzato il prosecco al cielo, mi dedicò un brindisi.
Era evidente che non aveva molto ben capito quanto era successo in giardino poco prima; ma Daniele, Gabriele e quasi tutte le ragazze sembravano molto di cattivo umore, e il capitano era stupefatto. Laila, di nuovo al suo fianco, era pronta a piangere. Il simpatico capitano Magnini era seduto e sorrideva; io lo guardavo, freddo come una pietra. Durante il pranzo mi pareva di soffocare, ma ero deciso di fare buon viso a cattivo gioco, e quando la tovaglia venne tolta riempii il bicchiere col vino rimasto e brindammo al re e all'esercito, come debbono fare dei veri gentiluomini. Remo era di ottimo umore e iniziai a supporre che vi fosse stata una conciliazione tra l'infedele ragazza e il suo innamorato, dopo che erano rientrati in casa. Seppi la verità molto presto.
Il capofamiglia si schiarì la voce e si alzò in piedi, battendo tre volte la forchetta su uno dei tre bicchieri che stavano di fronte a lui: <<Signore e signori, abbiate la cortesia di aspettare; questo è un brindisi che si beve troppo raramente nella mia famiglia e vi prego di accoglierlo con tutti gli onori. Salute al capitano e alla signora Tobino, e lunga vita a loro!>>.
Mio cugino Gabriele non riuscì a trattenermi, sbalzai in piedi e gridai: <<Ecco come bevo alla sua salute, capitano Tobino!>>, e gli gettai in faccia il bicchiere di spumante.
Le signore furono fatte uscire dalla sala e Remo pregò la scorbutica moglie e le cognate, tre zitelle patentate, di condurre nel parco i bambini; poi, dopo che ogni porta fu chiusa e le urla si poterono sentire sempre più lontane, guardai la faccia del militare: il naso del capitano sanguinava generosamente e sul setto nasale stava un bel taglio, così che sperai di aver rovinato per sempre la sua già scarsa bellezza.
<<Cosa diamine significa questa storia?>>, esplose Remo, paonazzo in volto.
Fu mio cugino Gabriele a rimanere calmo e parlare, mentre suo fratello tentava di medicare, in maniera assai poco ortodossa e garbata, la ferita del povero Tobino. <<Il fatto è, Remo, che questo scimmiotto si è innamorato di Laila e, trovandola con il capitano in dolci colloqui oggi in giardino, adesso è impazzito e lo vuole ammazzare>>. Una spiegazione rapida, ma rispecchiava perfettamente la verità.
<<Gliela dico io una cosa, signor Remo>>, gridò Tobino che aveva smesso di sanguinare ed era balzato in piedi,<<Sono stato davvero insultato in questa casa. Non sono per niente contento per come procedono le cose. Sono un uomo del sud, cazzo, un uomo come si deve. E io...>>.
<<Signor Tobino>>, dissi io col tono di voce più dignitoso che riuscii ad assumere, <<potete avere soddisfazione in qualsiasi momento vi piaccia, rivolgendovi a Sbelluccio Bellini, signore dell'Agrestone>>, al che me ne andai dalla sala da pranzo, raccolsi il mio impermeabile sgualcito nell'atrio e lasciai la casa.
Passarono quasi tre minuti prima che notassi la buffa e goffa figura del capitano Magnini inseguirmi. Come ho già avuto modo di sottolineare, quell'ufficiale dalla cadenza piemontese mi rimaneva simpatico, ed è per questo che decisi di fermarmi ad aspettarlo.
<<Hai fatto proprio un bel lavoro, caro>>, mi disse, <<Te, amico di famiglia di Remo, sai che quel brav'uomo si trova in gravi imbarazzi finanziari, e cerchi di mandare a monte un matrimonio che porterebbe alla famiglia una rendita di centocinquantamila euro? Tobino poi ha anche promesso di pagare quei quarantamila euro che tanto imbarazzano Remo. Il capitano si prende una ragazza senza un quattrino, una borghesuccia non più bella della vacca che sta nella stalla della tua fattoria. Almeno secondo i miei gusti. Laila ha cercato di farsi sposare da tutti in questo paese, senza riuscirci mai. E te, povero più di lei, un adolescente che sostiene di essere affezionato alla famiglia oltre che alla ragazza, ricambi così la generosità di questa gente? Non vi ha aiutati proprio Remo, a te e tua madre, quando morì tuo padre, nell'arredare la vostra casa di Agrestone, senza chiedervi un soldo? E ora, nel momento in cui tutti i suoi affari sembravano mettersi a posto e gli si offriva la possibilità di passare comodamente la vecchiaia, chi si mette a rompere le scatole? Un vicino di casa che ama la figlia e che tra tutti al mondo ha più obblighi verso di lui. È un modo di agire ingrato, immorale, specie se ci si proclama tanto coraggiosi come fai tu>>.
L'ultima parte della ramanzina mi aveva piuttosto scosso e, non dando il minimo peso alla differenza di età e di posizione sociale fra me e il capitano Magnini, soggiunsi: <<Non ho paura di nessuno al mondo, capitano! Dico solo che sono io l'offeso, e che nessuno, da quando è cominciato il mondo, è stato trattato così. Lei, signore, fa bene a parlare di immoralità e di mancata gratitudine, ma si ricordi che io mi batterò con qualsiasi persona vada a rompere le palle a Laila. Lo inseguirò, fosse anche dentro ad una chiesa, e lo sfiderò perfino lì!>>.
Dissi tutto questo perchè in quel momento ero molto eccitato e perchè le mie letture, in quel periodo, riguardavano solitamente argomenti di cavalleria e simili. Magnini mi fissò per qualche secondo, con aria sorpresa e quasi divertita. Vedevo uno sguardo di solenne solarità sul volto di quell'uomo. <<Sei uno dei ragazzi più incredibilmente focosi che io conosca>>, mi disse. Trattenni un sorriso e, freddamente, replicai: <<Glielo porterà lei il mio cartello di sfida? Organizzerà lei con i miei cugini il duello?>>.
<<Se proprio si deve fare, si farà>>, concluse il buon capitano Magnini.
Ad Agrestone, quella sera, io e mia madre avemmo l'onore di ospitare a cena il capitano, che si era accordato, per telefono, sia con Tobino che con il suo padrino del duello. Aveva portato una bottiglia di vino rosso delle sue parti e il dono fu molto gradito; nel soprabito teneva un vecchio volume di regole del duello, stampato a partire dalla prima metà del Settecento, quando i miei valorosi antenati erano soliti sfidare anche due o tre persone al giorno. Avevo deciso che mia madre non ne dovesse sapere nulla, e l'ufficiale nostro ospite rispettò con grandissimo impegno la mia volontà. Dopocena ci accomodammo nel salone e chiesi alla mia brava mamma di lasciarci da soli. Pianificammo tutto, sfruttando il cellulare di Magnini e un suo portatile antidiluviano; l'arma proposta da Tobino fu la pistola, ma non la Beretta che aveva estratto quella mattina durante il nostro litigio in giardino, bensì un più classico Revolver; io accettai subito quella condizione. I padrini stabilirono il luogo del duello e l'orario.
Ho spesso pensato, dopo di allora, quanto avrebbe potuto essere così diverso il mio destino se non mi fossi innamorato di Laila e non avessi gettato il vino in faccia al capitano Tobino; ma la mia sorte era quella di vagare, e il mio diverbio con Tobino mi lanciò sulla via dei viaggi in giovanissima età, come presto avrete occasione di sentire.
Il duello era stato fissato per le undici e trenta al vecchio campo dei preti; era un pezzetto di terra affacciato sul fiume Elsa, anticamente appartenuto ad una confraternita di frati che lo sfruttavano soprattutto nei momenti di svago; il centro abitato più vicino sorgeva a quaranta minuti di strada e per raggiungerlo si dovevano percorrere gli ultimi metri a piedi, essendo l'unico sentiero stretto per qualsiasi tipo di fuoristrada. Lasciai un biglietto a mia madre sul quale scrissi semplicemente: Non ti preoccupare, mamma.
I miei vestiti erano stati lavati e stirati la stessa mattina e li indossai con orgoglio, assicurandomi di stringere bene la cintura attorno ai pantaloni di velluto a coste. Sulla tavola di cucina trovai del pollo freddo, un caffè forte e un bicchiere di grappa posati su un vassoio di argento, sul quale era inciso lo stemma dei Bellini. Alle dieci e un quarto arrivò Magnini su un Land Rover, seguito da un soldato semplice che avrà avuto sì e no la mia età. Montai in macchina con loro e nessuno osò proferire parola, finchè non fummo arrivati, quaranta minuti dopo, al campo dei preti.
Mentre sotto un piacevole sole autunnale lucidavo il Revolver che mi era stato dato da mio cugino Daniele, il capitano Magnini si rivolse a me quasi sottovoce: <<Attenzione, Sbelluccio. Questo è un brutto affare. La ragazza sposerà Tobino, te ne do la mia parola; e puoi stare altrettanto tranquillo che la dimenticherai presto. Sei solo un ragazzo e il capitano Tobino è disposto a considerarti tale>>, poi si voltò verso lo sfidato e alzò tono di voce, <<Arezzo è una bella città, e se hai voglia di farti un'oretta e mezza di macchina per arrivare fin là e passarci un mesetto, ecco duemila euro a tua disposizione. Ti penti, fai le scuse al capitano ed è fatta>>.
Sbottai: <<Io muoio prima di pentirmi, non chiedo affatto scusa e, comunque, il capitano può andare a quel paese prima che io vada ad Arezzo>>.
<<Allora, non resta altro che battersi>>, concluse Gabriele, che pure ci aveva accompagnati.
Tobino si sistemò la sua divisa sfolgorante e tolse il basco, scambiando qualche battuta di spirito con i miei cugini, le cui risate mi scossero non poco, visto che rischiavano di assistere alla morte di un loro parente. Poi calò la serietà, Gabriele mi porse il Revolver e altrettanto fece Daniele con il capitano; mio cugino, da bravo soldato e tiratore scelto, mi consigliò di tenere d'occhio il colletto aperto della camicia di Tobino, invitandomi a mirare là.
I tre si allontanarono e noi ci sistemammo dieci passi lontani l'uno dall'altro. Fu Gabriele a dare il segnale di caricare le pistole e di prendere la mira; ebbi meno di dieci secondi per prendere di mira il mio uomo. Al <<tre>> le nostre pistole spararono in contemporanea, io udii qualcosa fischiarmi vicino e un attimo dopo il mio avversario cadde a terra, lanciando un urlo sordo che non lasciava dubbi a nessuno dei presenti. Io non abbandonai la mia posizione fin quando Magnini non ebbe detto <<E'morto>>. Mi avvicinai al cadavere del capitano Tobino e vidi una chiazza rossa che gli aveva inondato collo e petto; lo avevo colpito di poco al di sotto della trachea, aiutato dal colletto dell'uniforme imprudentemente lasciato aperto. Magnini si tolse il basco e i miei cugini si segnarono. Daniele mi fissò negli occhi e disse: <<Oggi è stato un triste giorno per il nostro esercito, Sbelluccio Bellini; e hai derubato un'onesta famiglia di centocinquantamila euro l'anno. Ora vedi di levarti di mezzo prima che arrivi la polizia. Avrai sì e no un'ora di vantaggio su di loro>>.
Gabriele disse che sarebbe venuto via con me, e montammo sul suo Pajero vecchio e trasandato, guidando velocemente fino a casa mia.
Mia mamma fu orgogliosa di apprendere da mio cugino quanto nobile e cavalleresco era stato il mio comportamento durante il duello. A pranzo, fu proprio Gabriele ad insistere sul fatto che mi sarei dovuto andare a nascondere ad Arezzo finché la faccenda non si fosse sistemata. D'altro canto, mia madre chiese perché non avrei potuto essere altrettanto sicuro ad Agrestone, se gli sbirri non venivano mai da noi. Gabriele insistette sulla necessità della mia immediata partenza, tirando fuori il lessico giuridico appreso all'Università, e in questo argomento, debbo confessarlo, stavo dalla sua parte, tanto ero desideroso di vedere un po' di mondo. Così, la mia buona madre fu costretta ad accedere al punto di vista di mio cugino. Quanto poco conoscevamo ciò che il destino teneva in serbo per me.
Mi furono messi nel portafoglio duecento euro (mamma ne aveva, in tutto, duecentoventicinque!), mi preparò un borsone da viaggio con tutto ciò che mi sarebbe potuto servire, e, appena mezz'ora dopo il mio arrivo ad Agrestone, ero di nuovo sulla strada e tutto il mondo si apriva davanti a me. Non c'è bisogno che io dica quanto mia madre, Gabriele e i domestici piangessero alla mia partenza: ma nessun ragazzo si sente molto triste quando solo e lontano da casa, con duecento euro in tasca, gode per la prima volta della libertà. E io, lo confesso, non pensavo tanto alla mia cara mamma, alla casa che lasciavo e a tutti i problemi alle mie spalle, quanto al domani e a tutte le meraviglie che mi avrebbe portato.


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