lunedì 9 novembre 2015

Spectre [Recensione]

Riassunto delle puntate precedenti (sì, è saltabile):
alla fine degli anni Novanta, i film su James Bond arrivano al ventesimo capitolo, ma l'euforia con cui sono stati accolte le iniziali pellicole con Pierce Brosnan inizia a vacillare. C'è bisogno di un nuovo volto e di un radicale ritorno alle origini del mito: senza dar peso alle ansie da prestazioni nei confronti dell'era Connery, i produttori scelgono Daniel Craig- un James Bond nuovo, all'apparenza freddo ma soprattutto identico a quello descritto da Ian Fleming nei suoi romanzi -e commissionano una sceneggiatura che parta dal primo libro, quel Casino Royale pubblicato nel 1953. Il successo dell'omonimo film di Martin Cambell uscito nel 2006 è epocale: è un reboot ad ogni livello e rivoluziona l'idea dello 007 autoconclusivo rimpiazzandola con una inedita formula di continuity. Craig diviene il Bond più amato dai tempi di Connery e anzi, a detta di molti, finisce col superarlo. Il cast è strepitoso, la regia magnifica, gli incassi superano ogni aspettativa. Bond si riaffaccia al cinema due anni dopo, ma Quantum of Solace si rivela solo un tiepido episodio di passaggio. Ha successo, conquista meno plausi critici del precedente ma comunque riesce a tenere in piedi una storia lunga e profonda che sembra destinata a durare. Di anni, poi, ne passano quattro ed esce il capolavoro: Skyfall è assieme a Goldfinger e Licenza di uccidere il più bello 007 di sempre. La regia viene affidata a Sam Mendes, autore britannico dai gusti raffinati e passato alla storia col suo American Beauty. Fioccano premi, saggi e James Bond- che è ormai un eroe che ama, soffre e si ferma a pensare alle proprie azioni e alle loro dirette conseguenze -gode di una popolarità che cinquant'anni prima sarebbe stata impensabile.
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In Spectre, quarto 007 con Craig, troviamo di nuovo Sam Mendes in cabina di regia (c'è chi aveva ventilato un Christopher Nolan, ma va benissimo così). Non voleva dirigerlo, ma evidentemente deve avere letto un articolo scritto da qualche hipster nostalgico nei confronti dei suoi vecchi film e si è convinto a tornare. Se la regia in Skyfall godeva di un buon 60% dei meriti, stavolta la percentuale aumenta esponenzialmente, sin dal piano-sequenza iniziale ambientato durante il giorno dei morti a Città del Messico. In compenso, titoli di testa così orrendi non li avevano congegnati nemmeno ai tempi di George Lazenby e una canzone come Writing's On The Wall di Sam Smith si attesta come una delle tre più fetenti mai composte per la saga dal 1962 ad oggi.
Ci sono meno sorprese che in Skyfall e anche la sfaccettatura dei personaggi sembra essere tenuta maggiormente a freno: tuttavia, c'è una Lèa Seydoux tanto meravigliosa quanto convincente nei panni della miglior Bond-Girl dai tempi di Eva Green (il cui bel viso appare velocemente anche qua) e ottime prove le regalano anche Bautista, Ben Wishaw e Ralph Fiennes.
Lingerie a parte, la Bellucci ridoppiata da cani è fastidiosa e andava evitata, ma alla fine il segmento italiano è forse quello più maldestro e stereotipato di tutti i quasi 150 minuti di Spectre (nulla di inusuale, visto che siamo i primi a produrre quasi esclusivamente un cinema macchiettistico). Anche la corsa in macchina sul lungotevere non è paragonabile, per tensione e tecnica, all'inseguimento fra aereo (proprio così) e fuoristrada in Austria.
C'è un altro picco, secondo me, ed è la parte ambientata in Marocco: ambientazione superba, la scena nel treno dei ricordi- romantico e perfetto come il "Vodka Martini agitato e non mescolato" che Bond ordina e fa appena in tempo a sorseggiare -lo scontro a mani nude con il bestione, la corsa in Rolls-Royce verso la base della Spectre e verso il peggior nemico di 007: Ernst Stavro Blofeld.
Già, proprio il Blofeld già comparso (spesso dal busto in giù) ai tempi di Connery, Lazenby e Moore e reso eterno dall'interpretazione di Donald Pleasance in Si vive solo due volte (1967). Stavolta c'è Christoph Waltz, che ormai è giusto infilare dappertutto, specie se si tratta di fare il cattivo dal cervello fino e dal passato tormentato. Waltz è bravo, ha l'anello al dito e il gatto bianco sembra essere uscito dalla pubblicità delle scatolette Purina, ma il suo Blofeld non regge il confronto col passato e cade troppo in fretta per essere degno di rappresentare davvero la più grande nemesi di James Bond.
Per il resto, ritmo e music score ottimi, due ore e mezzo che filano via pulite, product-placement pazzeschi come sempre. Manca la scintilla di Skyfall, Casino Royale sembra un ricordo lontano (in effetti, sono passati nove anni), ma Daniel Craig è sempre James Bond ed è sempre un immenso piacere andarlo a vedere.

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