venerdì 20 novembre 2015

Neil Young, "Bluenote Cafè" [Suggestioni uditive]

Neil Young & Bluenote Cafè,
Bluenote Cafè
(Warner Music, 2015, 2 Cd)
½














Giunta al suo undicesimo volume delle Performance Series , la fortunata NYA (Neil Young Archives) ha la premura di occuparsi del periodo più controverso di tutta la lunga carriera del cantautore canadese: gli anni Ottanta. Un decennio affatto facile nè per Bob Dylan, nè per i Rolling Stones, nè per chiunque altro fosse riuscito a chiudere i '70 sopravvivendo al punk e sfornando grande musica (nel caso di Neil, Rust Never Sleep, nel caso dei colleghi appena citati Slow Train Coming e Some Girls), di quella destinata a restare se non addirittura ad inaugurare la "seconda ondata". 
Neil Young ha all'attivo oltre quaranta album in studio ed è dura trovarne di identici, ripetitivi o mediocri. Eppure, anche per chi lo ama, è difficile porsi positivamente nell'ascolto di un buon sessanta percento della sua 80's production. Sia lui che i discografici erano convinti che la totale libertà conferita agli artisti dalla neonata Geffen Records avrebbe potuto solo giovare ad una vena creativa che stava stentando a partorire capolavori. Hawks&Doves e Re-ac-tor furono i due dischi "di passaggio" da un'etichetta all'altra, ma fu con Trans (1982) che il canadese esordì su Geffen, nascosto dietro un muro di sintetizzatori, batterie elettroniche, vocoder e tutto quello che all'epoca arrivava dalla Germania. L'album vendette discretamente, ma suscitò le ire dei fan, della critica e della Geffen stessa, che rimangiandosi ogni promessa di "carta bianca" impose a Young l'incisione di un rock più classico: venne fuori Everybody's Rockin' (1983), un dischetto R&R e rockabilly che tuttora suona più come una sonora presa per il culo piuttosto che come un'opera partorita dall'autore di Harvest
Il resto degli anni passati alla Geffen proseguì allo stesso modo: usciva un mediocre album di avanguardia (Landing On Water, per esempio) e immediatamente dopo Neil provvedeva, anzi simulava un'ammenda (Old Ways o peggio ancora Life). La rescissione del contratto portò un sospiro di sollievo sia all'etichetta che all'artista e ancora oggi David Geffen- che di Neil Young è amico di lungo corso -racconta di come il suo più grande fallimento professionale abbia riguardato proprio il canadese. Ma gli anni Ottanta non erano finiti.
Young tornò alla Reprise, cambiò di nuovo pelle e band e nel 1988 dette alle stampe This Note's For You, un album R&B metropolitano e canzonatorio nei confronti del music business di quegli anni. Basta fare una visitina su YouTube e dare un'occhiata al video della canzone omonima per accorgersi di quanto accusatorie fossero le notes che il rocker canadese indirizzava ai suoi nemici. MTV decise addirittura di non trasmetterlo. This Note's For You non è un capolavoro, nè è il miglior disco di Young del decennio (Freedom, uscito l'anno seguente, è alcune spanne al di sopra), eppure emana un certo fascino. Quella atmosfera- più vicina a Tom Waits o Lou Reed che non all'assolata California in cui il canadese ha trascorso buona parte della sua vita risulta ancora, incredibilmente -rimane perfettamente intatta in tutto il successivo tour, di cui Bluenote Cafè riporta i momenti salienti: brani registrati fra New York, San Francisco, Hollywood, Toronto e alcune località della provincia americana. Un doppio live che odora di funk, di club fumosi e che a tutto sembra appartenere fuorchè ad un decennio di deriva quale quello degli 80's. Del resto, basta guardare la scaletta per scorgere brani minori se non del tutto dimenticati del cantante canadese. Non è il solito best of trasposto sul palco, con cori, applausi, fischi e macelli vari. Pensate che l'unico pezzo famosissimo finito qua dentro è Tonight's The Night, ipnotica e interminabile (20 minuti), una chiusura fantastica.
Neil Young è un cane sciolto, lo è sempre stato e lo era anche nel 1988. E si sente. Qua dentro ci sono una forza e un'energia di cui gli album in studio dello stesso periodo difettano. Con arrangiamenti diversi, le canzoni di quegli anni negativi e difficili covavano un fuoco diverso. C'è il sax di Ben Keith che ci trasporta nel ghetto nero e dal palco saltano fuori amori insospettati e fino ad allora solo corteggiati da Neil: il gospel, l'R&B, il soul e, appunto, il funk.
Vale per molte altre cose, ma di una turnè si capiscono contenuti e contorni col passare del tempo. Forse, quella con cui Neil Young attraversò USA e Canada fra l'inverno del 1987 e tutto il 1988 è soltranto un'altra di queste. E in quanto tale è piacevolissimo ascoltarne, a distanza di oltre un quarto di secolo, i frutti maturi.

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