giovedì 5 febbraio 2015

Unbroken [Recensione]

L'esperienza insegna che quando un film viene proiettato privatamente a casa del Papa, non si rivelerà poi un granchè. 
Ha ovviamente destato scalpore l'anteprima vaticana di Unbroken, secondo film della Jolie regista, che al contrario di quello che si può pensare non è per niente "accia" dietro la macchina da presa. Prendete In The Land Of Blood And Honey (2011), melò bellico ad alto tasso lacrimare che da noi uscirà (forse) doppiato (forse) in home video a breve: il classico buon film di guerra e sentimenti che ben poco ha da invidiare a Il paziente inglese e che vale un'ottantina di Mandolini del capitano Corelli. E già in quell'occasione, pur con un budget abbastanza ridotto, Angelina aveva dimostrato di essere un'ottima direttrice di interpreti.
Con Unbroken, purtroppo, le cose si complicano. Il film dura molto, a momenti annoia, a momenti esagera. Esagera, ad esempio, lo spirito da "Sogno americano" che permea ogni singolo istante  e che permette al mezzofondista olimpico Louis Zamperini di sopravvivere a un'infanzia difficile, ad un incidente aereo, a quarantasette giorni alla deriva nel Pacifico (indubbiamente la parte più riuscita di tutta la pellicola) e a due anni di torture e vessazioni in un campo di concentramento giapponese al cui confronto Auschwitz era un asilo nido. Intensa e riuscita la recitazione del meritevole Jack O'Connell, totalmente a suo agio nel ruolo che nel 1957, quando il soggetto fu depositato, doveva andare a Tony Curtis. Dialoghi piuttosto prevedibili, scritti da quattro diversi sceneggiatori (fra cui i Coen, mica i Vanzina!) e adattissimi per un pubblico il più ampio possibile. Peccato che, anche a ripensarci, Unbroken non lasci nello spettatore un'idea che sia una degna di essere tramandata e che le cose da dire su un film così insipido siano davvero poche.

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