lunedì 23 febbraio 2015

Cowboy, "5'll Getcha Ten" [Suggestioni uditive]

Cowboy,
5'll Getcha Ten
(Real Gone Music, 2015)

★★★★
















Ad averlo saputo prima, forse era meglio nascere in epoche meno generose, riuscire comunque ad appassionarsi alla musica e diventare uno dei manager o produttori che, verso la fine degli anni Sessanta, si ritrovarono a lavorare per la Capricorn Records di Macon, Georgia, capitanata dai fratelli Phil e Alan Walden. Queste persone, solitamente appartenenti alla middle-class bianca e protestante, arrivavano un po' da tutto il Sud-Ovest ed erano molto diversi dai ricchissimi magnati dell'industria discografica che vivevano a New York, Los Angeles e Chicago. Illuminati sulla questione razziale e di idee progressiste, i produttori Capricorn erano abituati a muoversi in località sperdute, a frequentare saloon polverosi e malfamati e perfino fattorie e paludi pur di scoprire nuovi talenti della voce, della chitarra, dei fiati. La Capricon sarebbe divenuta l'etichetta sudista per eccellenza, dando fiducia a band spesso sconosciute e seguendo, con l'affetto che spesso si destinerebbe a dei figli, ogni artista messo sotto contratto nei suoi dieci anni di attività (avrebbe chiuso nel 1979 per poi riaprire prima a Nashville, nel 1991, e poi ad Atlanta, nel 2000, dove avrebbe chiuso nel giro di un paio d'anni). 
Un elemento non di poco conto fu che i fratelli Walden, emulando le major, decisero di aprire degli studi annessi all'etichetta: fu così che, sempre a Macon, sorsero i leggendari (e ancora visibili, per quanto chiusi da decenni) Capricorn Sound Studios. E fu proprio di là che, fra i tanti, capitarono i Cowboy, un sestetto nato principalmente on the road per volere dei suoi due leader, Tommy Talton e Scott Boyer. Tommy era una specie di hobo che, partito dalla natìa California con solo chitarra e quadernone di liriche, arrivò fino in Florida. Il sound della West-Coast si era ormai definitivamente imposto: i Doors e i Grateful Dead erano band da milioni di copie vendute, Neil Young era ormai un californiano d.o.c.g. e la seconda generazione, composta da futuri pezzi da novanta come Jackson Browne, stava già bussando alle porte. Il giovane Tommy Talton, invece, aveva preferito fare come Dylan (che in quei giorni lontani era a Nashville, a registrare Nashville Skyline) e puntare verso Sud. Boyer, invece, veniva da un paesello dello stato di New York e aveva un grosso problema: una rovente passione per il country-rock. I due si trovarono subito d'accordo e, ad Orlando, si misero sulle tracce di valenti musicisti per suonare canzoni che ricordassero i Poco, CSN&Y e Gram Parsons. Li trovarono e con Tom Wynn (batteria), George Clarke (basso), Bill Pillmore (tastiere) e Pete Kowalke (chitarra) fondarono i Cowboy, una band che non sarebbe certo passata alla storia della musica, nè avrebbe conosciuto il successo che tese ad investire altri complessi sudisti (e non mi riferisco solo alla sacra triade "Allman-Lynyrd-Marshall Tucker", che per noi southern-rockers è nettamente più importante del "Padre-Figlio-Spiritossanto"), ma che è comunque piacevole riscoprire.
Sono ben quattro gli album incisi in studio dai Cowboy, e i primi tre non sono mai più stati ristampati integralmente dall'anno della loro uscita ad oggi. Precisamente un anno fa, la Real Gone Music, etichetta specializzata nel riproporre tesori sepolti e dimenticati, ha presentato l'esordio Reach For The Sky (1970), timida silloge dalle sonorità soft-country prodotta dal noto Johnny Sandlin e abbastanza ai margini rispetto a quanto i fratelli Walden erano soliti offrire in quel periodo (tanto per dare un'idea, nel 1970 fecero uscire anche Ton-Ton Macoute! di Johnny Jenkins, Idlewild South degli Allman e l'esordio omonimo di Livingston Taylor, tutti dischi dalle forti venature blues che trovarono facilmente mercato e furono da subito riconoscibili come opere pienamente Southern). E oggi, a un anno di distanza, è arrivato, finalmente restaurato e su cd, il ben più noto 5'll Getcha Ten, pubbicato originariamente nel 1971 e secondo frutto della produzione di Johnny Sandlin.
Questo disco può essere definito, a pieno titolo, il loro capolavoro. E non solo perchè contiene la meravigliosa Please Be With Me (poi rifatta da Eric Clapton in 461 Ocean Boulevard), o perchè in diversi brani c'è- alla chitarra o al dobro, poco importa -una divinità chiamata Duane Allman, o ancora perchè il buon Pillmore passi in più di un pezzo dalle tastiere alla terza chitarra, cedendo volentieri il posto a un giovane e già fenomenale Chuck Leavell (futuro leader dei Sea Level e sessionman sia per gli Allman che per gli Stones, presso i quali è tuttora impiegato) e anticipando di pochi anni certi intrecci à la Lynyrd Skynyrd. 5'll Getcha Ten  è un grande disco, perchè quando un'opera inizia con un brano come She Carries A Child può trattarsi solo di un grande disco, e a riconfermarlo ci pensa la title-track. The Wonder è uno spettacolare lento che ricorda, senza problemi, tanti capolavori dell'epoca firmati dai Byrds o dalla Band. Ma finora, se si può dire, non c'è nulla di nuovo sotto il sole rispetto a Reach For The Sky: le effusioni hard rock di Shoestring e di Seven Four Tune e l'avvolgente cappotto bluesy che la chitarra di Duane Allman cuce addosso alla splendida Lookin'For You rappresentano al meglio i nuovi ingredienti che Talton e (soprattutto) Boyer- con la complicità di Sandlin e degli ospiti famosi -inserirono nel sound dei Cowboy. C'è spazio perfino per la psichedelia in Right On Friend (unico pezzo che stona notevolmente col resto in cui tornano a galla le origini West Coast di Talton) e per il country nudo e crudo, sia in un riempitivo mignon quale Innocence Song che nella splendida chiusura What I Want Is You. Ma la canzone forse più bella di 5'll Getcha Ten è un'altra ballata, quella meravigliosa All My Friends che risente di tutta una precisa atmosfera legata a luoghi, persone ed epoche che non torneranno più, ma che è bello poter almeno percepire, immaginare, sognare. 

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