lunedì 3 giugno 2013

The Veils, "Time Stays, We Go" [Suggestioni uditive]

THE VEILS, "Time Stays, We Go" (Audioglobe, 2013)
★★




















Obiettività.
Ho bisogno di obiettività.
La parola chiave del momento, per me, è obiettività, specie se sono a scrivere dei The Veils e del loro nuovo album. 
La medicina migliore quando devi parlare male di un gruppo alla cui musica sei molto legato è l'obiettività.
Odio l'indie rock nel 96% delle sue incarnazioni, e disprezzo chi parla solo di band sconosciute ritenute capaci di produrre capolavori solo perchè band sconosciute. Odio l'indie perchè, parlando di cultura musicale, le mie radici affondano nel metal e nei musicisti classici vissuti fra Settecento e Ottocento: così, non ho mai capito certe sub-culture e loro non hanno mai capito me. Anzi, più che di comprensione parlerei direttamente di disprezzo. 
Ma non divaghiamo e parliamo della band del signor  Finn Andrews.  Ho sempre giudicato i neozelandesi Veils un gruppo non indie, o almeno così è stato fino al 2009, anno della pubblicazione di Sun Gangs, il terzo album che li ha allontanati dalla purezza alternative degli esordi e li ha inesorabilmente scaraventati nel calderone della figaggine da sfigati indie-rock. Ho smesso di interessarmi del tutto a loro dopo aver assistito ad un pezzo di un loro live: era dal concerto in Eurovisione dei Coldplay la scorsa estate che non vedevo uno spettacolo così mediocre. 
Tuttavia, quando ho saputo dell'uscita di Time Stays, We Go non ho saputo resistere, e complici le ottime recensioni (britanniche) sono andato a sentirlo. E sono sincero: a me tutti questi due o tre riff uno uguale all'altro che si ripetono all'infinito (<<perchè è il testo la cosa importante>>, come dicono tutti gli indie-fan), tutte queste chitarrine pallose, queste vocine sempre più "del cazzo" (peccato perchè la voce di Andrews riusciva a rendere salvabili anche i pezzi peggiori dei loro primi dischi), questi organetti falsi e suonati con Garage Band (quello per iPad, nemmeno per iMac) hanno veramente rotto i coglioni. Va bene, Another Night On Earth mi piace e per un attimo mi ha fatto quasi andare indietro nel tempo, immergendomi in quei meravigliosi golf a righe che andavano di moda anni fa. Through The Deep, Dark Wood è una ballata che può contare su una melodia accattivante e una solida base strumentale. Ma per il resto siamo nell'oblio sonoro più totale.
Per carità: siamo sempre un passo avanti rispetto a Sun Gangs (qui, se non altro, si può percepire una lontana volontà di un ritorno al sound dei primi due album), ma dopo quattro anni potevano lavorare meglio. Che prendano spunto dal passato, visto che di passato questi indie-rocker "vintagisti" sembrano viverci. Pensare che quando ascoltai per la prima volta i Veils pensai che fossero un gruppo dal quale potersi aspettare molto, ma erano i tempi di Nux Vomica (2006). Così come quando pescai, nel cesto delle offerte del Mercatone, il bellissimo esordio The Runaway Found (2004), che è una delle più belle creature di rock alternativo degli anni 2000. Ma ripeto: erano altri tempi, altri ascolti, altri momenti.
Peccato.

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