domenica 6 gennaio 2013

[Recensione] The Master

Ho visto il primo DVD nel 2001: avevo dodici anni compiuti da poco, mi trovavo a cena a casa di un amico fotografo e il film era Magnolia di Paul Thomas Anderson. Rimasi folgorato.
Stasera sono arrivato al cinema dieci minuti prima e ho indugiato fumando una sigaretta e guardando la locandina di The Master, il film che sarei andato a vedere. In un'altra sala proiettavano Jack Reacher, il nuovo con Tom Cruise, e un quartetto di trentenni "faceva la conta" fra i due film. L'intellettuale del gruppo (dico "intellettuale" visto che aveva la barbetta incolta da capra, il cappello a forma di preservativo, i Wayfarer da vista, puzzava di chiuso e brandiva un iPhone sintonizzato sulla home page di Mymovies) ha iniziato a indicare la locandina di The Master (una locandina tutto sommato brutta, diciamolo) e a parlare del cast. Una delle due ragazze presenti gli ha domandato se il film era opera di "uno famoso", e lui le ha risposto- con una sicurezza virile che avrebbe fatto bagnare qualsiasi femmina - <<Ma no... questo è quello di quell'esordiente... uno giovane... emerso da poco...>>. Poi ha abbassato lo sguardo, scorgendo in basso a sinistra la scritta a caratteri cubitali "Vincitore del Leone d'Argento come miglior regista", seguita a ruota da "Vincitore della coppa Volpi al miglior attore protagonista"; ed è allora che un ghigno da ebete gli si è disegnato in volto. Ovviamente, hanno deciso di andare a vedere Jack Reacher, che magari non è male.
Una cosa giusta però il 30enne l'ha detta: Anderson è giovane. Giovane, chiaramente, come si intende oggi, quando uno come Renzi (che ha 37 anni) è il più giovane di tutti. Il cinema, in questo, assomiglia molto alla politica. Il regista che aveva 29 anni quando ha girato Magnolia, ha ormai abbandonato il cinema corale, quello dai tanti personaggi e dalle molte storie che si intersecano. Già con il superbo Il petroliere (2007) era passato a dirigere film epici, monumentali, ma costruiti attorno ad una sola figura. In questo caso, The Master è la storia (con nomi cambiati e situazioni romanzate) di Freddie, reduce solo e alcolizzato (un Joaquin Phoenix da Oscar immediato) che incontra per caso Lancaster Dodd (interpretato dallo statuario Philip Seymour Hoffman), un guru tuttologo che altro non è che l'alter ego di Ron Hubbard (1911-1986), fondatore di Scientology (nel film, La Causa). Freddie rimane, suo malgrado, affascinato dai fittizi sermoni di questo astrofisicoromanzierecapitanopretefilosofo e finisce col diventare uno degli elementi più importanti della setta. Sono i primi anni Cinquanta, e Dodd si sposta come può per gli States, scortato dal suo fedele seguito (una famiglia numerosa, il genero e Freddie): porta avanti teorie folli, in bilico fra religione orientale e televendite di marchiana memoria, ma in molti sembrano rispettarlo, o addirittura temerlo. Dopo la pubblicazione del suo secondo libro, Dodd confessa a Freddie di riporre grande fiducia nelle sue capacità, facendogli intendere che il loro è un legame insolubile e che potrebbe essere proprio il giovane reduce, un giorno, a prendere il suo posto nel guidare la setta. In una meravigliosa scena nel deserto dell'Arizona, vediamo Freddie prendere una moto e correre via, alla ricerca di quella vita vuota che conduceva prima. Ma La Causa non si dimentica di lui...
Il problema di un film come The Master è che parla veramente di tante cose. Se lo volessimo vedere come una bella pagina di storia americana, è non solo la cronaca romanzata della nascita di una nuova religione (Scientology), ma la fotografia di una persona che, uscita dalla seconda guerra mondiale, è totalmente incapace di ritagliarsi un posto nella società civile: Freddie, privato del conflitto, non riesce a crearsi una vita, un'identità, e come lui migliaia di giovani americani all'epoca. Freddie è il cane randagio che incontra Lancaster, il padrone buono e protettivo, ma pur sempre un padrone. E il padrone pretende solo una cosa: la fedeltà. Questo meccanismo calza a pennello con La Causa, così come calza bene con Scientology, e più in generale con le tantissime sette più o meno religiose che tuttora continuano a imperversare sia in Occidente che in Oriente. Abbiamo poi uno scontro fra due grandi personalità: quella debole ma al contempo sfrontata, simpatica e coraggiosa di Freddie, e quella avida, tetra, fanatica e morbosa di Lancaster. Così, come nel Petroliere Daniel Day-Lewis era lo zelante self-made man alle prese con una comunità di bigotti indottrinati dal fanatico Padre Eli, qui Joaquin Phoenix è uno svogliato parassita imbottito di alcool fatto in casa e costretto a vedersela con un qualcosa molto più grande di lui. Forse i lettori di siti come Alfemminile.it vedono Scientology come un enorme toga-party, dove al posto dei soliti volgari coatti nostrani trovano posto personalità del calibro di John Travolta, Tom Cruise o Roby Facchinetti: ecco, queste persone possono lucidarsi il cervello leggendo qui la storia dell'organizzatore del toga-party, oppure guardare The Master, un film non semplice che affronta tematiche solitamente lasciate da una parte. E vista la bravura degli attori, la delirante complessità dei protagonisti (tutti accomunati da un'anaffettività terrificante) e la maestosità della regia di Anderson (che ha imparato a fare il regista guardando videocassette), sarà molto difficile che a qualcuno venga voglia di girare altre pellicole su questi argomenti. 
Almeno per ora.

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