venerdì 8 settembre 2017

Neil Young, "Hitchhiker" [Suggestioni uditive]

Neil Young
Hitchhiker
(Reprise Records, 2017)

















"Questa incompletezza è tutto ciò che abbiamo."
                                                              Charles Bukowski

Sono passati nove anni da quando Neil Young parlò per la prima volta di una sottosezione dei suoi archivi dedicata ad interi album mai pubblicati. Si sbilanciò- come è solito fare -e disse che ben cinque dischi "perduti" (di cui quattro registrati in studio) sarebbero comparsi nei negozi negli anni a seguire, indicando in Toast (inciso coi Crazy Horse nel 2000) il primo della fila.
Siamo nel quadrimestre conclusivo del 2017 e l'unico disco a uscire sulla Special Release Series è, in realtà, "solo" il quinto di quelli previsti da Nello: si chiama Hitchhiker ed è stato registrato nella notte dell'11 agosto 1976 a Malibu. Presente in sala: Neil Young a voce, chitarra, armonica e pianoforte. Presente in console: David Briggs, le cui uniche preoccupazioni- oltre a registrare delle nuove strabilianti canzoni del loner -sono rollarsi qualche spinello, preparare le strisce di cocaina per le pause fra un brano e l'altro e garantire che quell'unica bottiglia di Jose Cuervo rimasta possa durare fino all'alba. La scaletta non sembra troppo impegnativa: dieci brani che non superano i quattro minuti e mezzo di durata. Dieci pezzi che gli appassionati impareranno a conoscere molto bene nelle loro forme future, definitive. Ben tre finiranno su Rust Never Sleeps, mentre gli altri verranno recuperati per altre opere in un arco temporale che spazia dal 1977 al 2010.
Si sa. Tutto ciò che Neil Young ha inciso fra il luglio del 1974 e la fine del 1977 va a formare una sorta di unico, immenso poema che ha dentro di sè lo smarrimento totale di un uomo moderno a cui sfugge il confronto con la realtà, come succede nelle migliori canzoni rock. On the Beach, Tonight's the Night, parte di Zuma e tutto American Stars 'n' Bars parlano di un artista che, disperato, si guarda allo specchio e non sa più riconoscere se stesso perché ha perso amori, amici e ogni capacità di guardare al futuro con ottimismo. La realtà sembra non trattenere le sue promesse migliori e la vita quotidiana diventa un disfacimento. Rimangono i ricordi di una felicità (la seconda metà degli anni Sessanta, i fasti di Harvest, il sodalizio con Crosby, Stills e Nash) sfuggita via. Il quotidiano si è fatto miseramente ingannevole e furfante, l'adesso è solo una vaga luce che brilla ancora, e la domanda che lui si pone alla fine- sempre nella miglior tradizione rock -è volutamente ambigua e sembra voler disfare la possibilità stessa di una risposta. Hitchhiker comprende prevalentemente musica che sarebbe uscita presso il grande pubblico dopo questa lunga fase di crisi personale, magari con arrangiamenti nuovi e- come nel caso di Human Highway o The Old Country Waltz -volutamente più leggeri. Musica splendida, forse incompleta, ma per questo non meno affascinante di ciò che sarebbe divenuta nell'arco dei successivi uno, due, trent'anni (la title-track recuperata per Le Noise è strepitosa su entrambi i dischi).
Si può avere molto da ridire sul modo di lavorare di Young, sulla qualità ben poco costante dei suoi ultimi dischi,  sulle sue scelte ardite- e spesso discusse -in materia di rarità (si pensi al recente Bluenote Cafè, uscito sulla Performance Series e contenente concerti datati 1987-1988), sulla sua capacità di assecondare e poi tradire i desideri e le richieste dei fans, comprensibilmente arrabbiatissimi (anche se mai quanto quelli di Dylan). Anche ieri sera, poco prima che il secondo temporale della stagione aprisse le danze sulla mia sonnacchiosa città, mentre inserivo il cd nel lettore e scorrevo la tracklist, ho pensato <<Vabbè... a parte un paio, le conosco tutte, son famosissime... bah...>>. 
Ecco: ascoltando Hitchhiker ogni pregiudizio scivola via, anche se è stato registrato in una notte di quarantuno anni fa e in dubbie condizioni tecniche e fisiche. Bellezza totale srotolata per trentaquattro minuti, purezza completa, magia grondante oro e argento. Musica che non ha bisogno di alcuna etichetta, che non è pre-niente e post-nulla, ma che semplicemente è. Non è mai finita e non ha bisogno di risorgere, anche se si parla di opere d'arte che per quarant'anni sono stata sommerse in un archivio e che hanno finito col divenire, anche se a distanza di tempo, altro: magari altrettanto meraviglioso, ma comunque diverso.

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