martedì 12 settembre 2017

Gregg Allman, "Southern Blood" [Suggestioni uditive]

Gregg Allman
Southern Blood
(Rounder Records, 2017)














Ad ascoltare Southern Blood trovo angolature e sentimenti che nelle precedenti (sette) prove solistiche di Gregg Allman non avevo mai percepito. In questa incessante lotta tra desiderio di pace cosmica e fuga dai vizi e dagli eccessi (e anche dal continuo, inesorabile ricadere nel vizio) c'è tutta la realtà dell'uomo e ciò che ha portato Gregg a lavorare, stanco e malato, al proprio testamento artistico. Non gli è bastato cantare il superamento dell'alcolismo- già ampiamente descritto come effetto della morte stessa nella sua autobiografia del 2012 My Cross to Bear -ma il dolore di non riuscire ad accettare la realtà nonostante lo sforzo di adeguarsi ad essa. E' un continuo duello, quello che fa il cantante in queste canzoni (tutte covers all'infuori della splendida opening, My Only True Friend), tra la percezione di un positivo infinito a cui affidarsi e l'impossibilità di essere fedeli a questo desiderio. Anche alla fine della strada tutto è vano e corrutibile, nulla è fedele a quanto era apparso. Una umanità, quella di Allman, così immensamente vera e realista, che per forza di cose doveva finire col soccombere a se stessa.
Grandioso il lavoro di Don Was (finalmente tornato a livelli degni del suo nome e non intento a far marchette) in sede di produzione, benedetta la scelta dei Muscle Shoals, occupati e dunque vissuti come un grande palcoscenico su cui far calare il sipario finale. Senza contare che è in questo piccolo paese dell'Alabama che i fratelli Allman incisero i loro primi singoli professionali. Scott Sharrard si riconferma il miglior chitarrista che Gregg abbia mai avuto in sede solista. La scaletta, specie nella prima parte, è un'ode sperticata, malinconica alla vita, alle sue sfumature, ai suoi dolori: Once I Was di Tim Buckley, Go Going Gone di Dylan (ad ora una delle più belle covers mai prodotte di questo pezzo), Black Muddy River (ovviamente molto diversa da quella dei Dead, ma, devo ammetterlo, fra i pochi momenti deludenti dell'album) sono ballate famosissime che però si vestono di nuovi significati. Anche il blues firmato Willie Dixon I Love the Life I Live è tutto un programma, breve, tagliente, originalissimo. Tuttavia, non sono le diaboliche dodici battute le protagoniste di Southern Blood: qua siamo più dalle parti del capolavoro datato 1973 Laid Back, ovvero un solenne, elegiaco album di soul bianco retto su chitarre semiacustiche, organo e fiati. C'è anche spazio per una curiosità "d'autore" che farà la gioia degli appassionati del southern rock più sotterraneo: Blind Bats and Swamp Rats, per chi non avesse avuto la fortuna di conoscerla nello splendido Ton-Ton Macoute di Johnny Jenkins (album Capricorn sul quale, non casualmente, suonava la chitarra Duane), può essere ascoltata qua in un'intesa versione ri-arrangiata ad hoc. Agli antipodi la rilettura di Out of Left Field, passata alla storia come singolo di Percy Sledge ma firmata dalla premiata ditta Spooner Oldham-Dan Penn. Chiude in bellezza- è il caso di dirlo -l'ispirato duetto con l'amico Jackson Browne, che porta a Muscle Shoals Song for Adam, un pezzo che dall'assolata California finisce scaraventato nelle paludi di quel Sud che i due, già a inizio anni Settanta, avevano bazzicato con affetto. Il cantato è profondo e romantico, una delicata slow ballad come non se ne sentono più. In fondo, ai Muscle Shoals, il tempo non esiste più ed è bello fermarsi ad ascoltare questa musica semplice che Gregg e Jackson sanno padroneggiare benissimo.
Ci sono pezzi, specie nella prima metà di Southern Blood, così straordinariamente intensi e ispirati. Pura bellezza zen cosmica e totale che va ad aggiungersi, in extremis, ad un repertorio che si è snodato per cinquant'anni (il primo disco a firma Hourglass, la versione embrionale della Allman Brothers Band, è datato 1967) e che ha contribuito a nutrire l'anima e il cuore di almeno due generazioni di appassionati in maniera decisiva. E' (anche) musica come questa che può permetterci di sopravvivere nella decadenza che ogni giorno si impossessa sempre più di noi. Senza di lei sarebbe difficile gustarsi quei momenti di infinito che abbiamo vissuto e che porteremo sempre con noi. Perciò, siamo tutti dei midnight riders, ora e per sempre. Gregg è salito di nuovo su quella motocicletta, ha deciso di raggiungere Duane, Berry, Butch, gli altri fratelli, gli altri compagni di avventure, e ora la sua corsa è finita per sempre.

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