domenica 3 settembre 2017

Motörhead, "Under Cöver" [Suggestioni uditive]

Motörhead,
Under Cöver (UDR Music, 2017)
½

















Lemmy Kilmister e i suoi ragazzacci intenti a suonare pezzi altrui è un tema che molti appassionati dei Motörhead si portano nel cuore. Tutti ricorderanno quella favolosa versione del vecchio successo Motown chiamato Leaving Here e uscita sul primo 45 giri del gruppo, White Line Fever. Si parla del 1977, quarant'anni fa: quale occasione migliore di un quarantennale per prenderla, ripulirla e immetterla nuovamente sul mercato come singolo di traino per una covers compilation? Nessuna, ma chissà perchè viviamo tempi strani e i discografici seri non ci sono più. E guarda caso, infatti, Leaving Here non trova spazio sul nuovissimo Under Cöver, secondo appuntamento discografico posteriore alla morte di Kilmister somigliante in tutto e per tutto a quelle scadenti antologie non autorizzate svendute nei più remoti Autogrill dello Stivale. 
Questa raccolta, uscita appena due giorni fa, non ha il fascino blues che meriterebbe: siamo proprio sul basso livello pieno. Un livello che, in tempi di compilation virtuali, Spotify e merdate varie, davvero non trova ragione di essere. Intanto, lascia perplessi il fatto che le canzoni selezionate siano solo undici: i Motörhead non saranno mai stati un gruppo noto per affrontare il repertorio altrui, ma almeno una ventina di covers chiunque sarebbe riuscito a metterle insieme e spalmarle su un doppio cd (se non su un solo dischetto da ottanta minuti direttamente). Poi infastidisce non poco la totale assenza di un ordine cronologico conferito a questo materiale. Si passa da una Breaking the Law (piuttosto orrida) del 2008 all'arcinota God Save the Queen proveniente dai solchi di We Are Motörhead (2000), da una Heroes giustamente scartata dallo splendido Bad Magic in favore dell'ottima Sympathy for the Devil (pure presente e accoppiata, per gioia di Keith Richards, ad una versione più datata di Jumpin' Jack Flash) alla inspiegabile Starstruck dei Rainbow già facente parte di This is Your Life, album tributo a Ronnie James Dio: la cover di una hit simile non solo scorre via anonima e silenziosa (si fa per dire) come un talpone in un canale di scolo, ma è pure peggiorata dalla laringite di Biff Byford dei Saxon. Fa piacere risentire Cat Scratch Fever a chi, come me, ha sempre apprezzato il Ted Nugent della prima ora e ha sempre subito il fascino di un disco quale March ör Die (che non è nè perfetto, nè un capolavoro, nè nessun'altra di quelle cose bellissime che scrivono tutti i critici sui dischi hard'n'heavy più indispensabili degli ultimi tre secoli, ma cristo se ne ha di fascino da vendere!), ma poi ad un'analisi più approfondita mi dico <<Ok... io Cat Scratch Fever ce l'ho già sia su album che su un paio di compilation home made... dove sta la soddisfazione?>>. Interrogativi che accompagnano le mie giornate e che trovano una risposta quando, alcune tracce dopo, parte Hellraiser di Ozzy, sempre estratta da March ör Die: la soddisfazione non c'è.
Anche Rockaway Beach dei Ramones sta per compiere quarant'anni, tanti ne sono passati da quando uscì come singolo nel novembre del 1977. Lemmy non ha mai nascosto il suo amore per i Ramones, un amore che ha toccato il suo apice nel 1991, quando i Motörhead incisero una canzone superlativa di un minuto e mezzo chiamata R.A.M.O.N.E.S. destinata all'album 1916. I (falsi) fratelli Ramone furono così tanto galvanizzati da questo omaggio da inciderne a loro volta una cover, finita a fare la bonus track per l'edizione giapponese del loro goodbye album (Adios Amigos!). I Motörhead, dal canto loro, tornarono sul repertorio dei Ramones nei primi anni Duemila ed è da lì che arriva la loro Rockaway Beach, non propriamente uno splendore, diciamocelo.
Non conoscevo, invece, la Shoot 'em Down rifatta da Lemmy e soci per un tributo ai mitici Twisted Sister. Manco a dirlo, è forse la migliore scelta di tutto Under Cöver. Colgo l'occasione per dire che da ragazzino i Twisted mi stavano sui coglioni. Ero giovane e fesso e in troppi continuavano- anche se a distanza di vent'anni -a definirli i genitori adulti e finiti dei Guns, e allora a me giravano. Quelli erano stati solo un gruppo hair metal come tanti, mentre i Guns, beh, loro facevano parte di un altra categoria: se la erano giocata alla grande in champions league con Rolling Stones, Beatles, Bob Dylan, Led Zeppelin, e avevano vinto tutto. Altrochè gilet di pelle e chiome biondo platino. Poi uno (non tutti) per fortuna cresce e le cose si complicano, i confini si fanno meno netti, gli steccati si sfaldano col passare degli ascolti e grazie all'accumulo dei dischi e allo sviluppo del senso critico. E allora eccomi qui, in questa "domenica in settembre" (per citare il Bardo di Pavana), ad aprire una nuova playlist su iTunes e a inserire un cd-r verginissimo nel computer. Sarà meglio che la compilation delle covers dei Motörhead me la faccia da solo, va'. 

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