mercoledì 20 settembre 2017

Foo Fighters, "Concrete and Gold" [Suggestioni uditive]

Foo Fighters,
Concrete and Gold
(RCA, 2017)















Echoes, Silence, Patience & Grace del 2007 è, per chi scrive, l'ultimo buon album dei Foo Fighters.  Dopo di questo solo episodi sub-metal smaccatamente mediocri, un best-of inutile ma degnamente trainato dall'inedito singolo Wheels e tracce, sparse qua e là, di pop-rock più adatto ad una zia anziana che passa le domeniche mattina imbambolata di fronte al programma A sua immagine che non a noi rocker dall'anima e radici immancabilmente affondate nella musica di alta qualità.
Hanno un gran culo i Foo Fighters: mentre tutti i gruppi mainstream rock loro coetanei (se non addirittura più giovani) si sono annientati uno dopo l'altro, mostrando debolezze e inconsistenze più idonee ad una boy-band anni '90 che non ai "paladini" del r&r 2.0, loro continuano a spassarsela e a vivacchiare (trattati per altro come dei semidèi) senza spostarsi di un millimetro dai propri standard. Chi lo avrebbe detto, ad esempio, anche solo otto, nove anni fa, che i Muse nel 2017 non avrebbero potuto dare alle stampe un nuovo disco perchè- parola dei loro produttori esecutivi -"nessuno lo ascolterebbe"? Chi lo avrebbe detto che a un festival estivo durato un mese l'evento più snobbato (il numero dei biglietti rimasti invenduti parla chiaro) sarebbe risultato l'unica data italiana dei System of a Down? Chi lo avrebbe detto che, nell'ambito dello stesso festival, l'unico spazio destinato a una band come i Placebo sarebbe stata un'oretta striminzita prima di cedere il palco agli Aerosmith?
L'artista che sbaglia esiste, ci mancherebbe, ma ascoltando il nuovo Concrete and Gold entra in gioco una volontà differente alla base: una band che per partito preso rinuncia al benchè minimo accenno di novità, che rigurgita gli stessi temi, gli stessi spunti musicali usati già decine di volte dovrebbe vergognarsi. Se perfino un settimanale di rassegna stampa politico-culturale come Internazionale titola la recensione del nuovo disco I Foo Fighters vanno con il pilota automatico, vuol dire che non solo i ragazzi son già arrivati alla frutta, ma stanno anche abbondantemente digerendo il dessert.
Make it Right: titolo così logoro da suscitare fastidio, senza contare che neanche i peggiori Queen cantavano della roba simile. The Sky is Neighborood, invece, è il singolo successivo a Run, un compendio di hard-rock consunto e sfibrato messo al servizio di liriche imbarazzanti. La Dee Da è una scopiazzatura: non so ancora di cosa, ma ne sono convinto. E' anche il pezzo dell'album che ho ascoltato di più, e non perchè mi piace, ma perchè devo venire a capo di questo enigma. Dirty Water se non altro si toglie dalla noia metallica, le chitarre vestono panni più morbidi e spezzano il martellare monotono di tutti gli altri pezzi. Dave Grohl non sa più cantare neanche questa roba: sembra Kid Rock che coverizza Rod Stewart. Sunday Rain, con Paul McCartney alla batteria, dovrebbe il pezzo mistico di Concrete and Gold, atmosfere sognanti iniziali, poi bramosie epiche e interventi sonori da Maurizio Costanzo Show. Inoltre, più Dave si avvia verso la terza età, più che la sua vena creativa (mai originale) tende a banalizzarsi. Ad essa aggiungiamo i soliti, scontatissimi elementi melodici che hanno reso i Foo Fighters ciò che sono (ovvero, come ho letto su FB, "un gruppo che è entrato nella storia del rock senza registrare nulla di memorabile"). Per fortuna che il gran finale è dietro l'angolo, perchè con questo nono album in studio i Foo Fighters hanno davvero finito di sputtanarsi: nessuno si è mai aspettato dei capolavori dal moretto che suonava la batteria nei Nirvana e faceva lo scemo su MTV, ma se degli artisti non sono più in grado di rendersi conto delle schifezze che mettono in circolo, che si ritirino. O almeno che smettano di far dischi in studio.

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