martedì 21 ottobre 2014

Un milione di modi per morire nel west [Recensione]

In televisione, Seth MacFarlane ridicolizza da quindici anni tic, manie e tratti tipici del proprio paese e dei suoi abitanti. Ci riesce come ci riuscivano Groening e soci ai tempi dei migliori Simpson e del Futurama che fu, e cioè al meglio delle capacità comiche e artistiche. Il suo approdo al cinema godette di un successo tanto ampio quanto il numero delle critiche negative che gli vennero mosse sia dal pubblico che dalla critica internazionale: tuttavia, Ted è ancora nella mente e nel cuore di chi ama I Griffin, American Dad e The Cleveland Show, e si è saputo imporre come una delle migliori commedie degli ultimi anni, spudorata, irriverente ma anche incredibilmente originale e lontana dai gusti massificati di un pubblico incafonito e abituato alle gesta di scemenze quali Jersey Shore e programmi analoghi.
In Un milione di modi per morire nel west, uscito il 9 ottobre nel Belpaese, MacFarlane alza il tiro, vestendo lui stesso i panni del protagonista Albert Stark, pastorello di ovini e scemo del villaggio nell'Arizona del 1882. Personaggio imbranato e dotato di scarsa sopportazione nei confronti della vita rude e rischiosa della frontiera, Albert viene abbandonato dall'acida e arrivista Louise (A. Seyfried) perchè povero sia sul piano del coraggio che su quello economico. Dovrà riscattarsi, sfidando a duello il di lei nuovo fidanzato, ovvero il viscido e baffuto Foy (N.P. Harris), ma si ritroverà implicato in qualcosa di più grande di lui: aiutato dall'amico Edward (un grande Giovanni Ribisi) e dalla bella Anna (C. Theron), dovrà infatti fare i conti col leggendario e spietato pistolero Clynch (un imbarazzante Liam Neeson).
La parodia western è tutt'altro che una novità (è un genere che ha, approssimativamente, cento anni), ma sono i toni con cui MacFarlane la affronta a fare la differenza: gag perlopiù azzeccate, anacronismi spassosi, esperimenti metacinematografici e camei riuscitissimi (cito il Cristopher Lloyd che veste, per la quarta volta, i panni di Doc Brown, ma non voglio rovinare sorprese a nessuno sulla seconda comparsata). Come se non più che in Ted, la trama è una fiaba rivisitata, col personaggio inetto e incapace di crescere (nel caso di Albert, non pronto a vincere le proprie paure) che viene aiutato da comprimari simpatici e amichevoli. La figura del disadattato che non è in grado di vivere in pace la propria epoca storica richiama molteplici personaggi cari alla commedia e ai film comici: su tutti, penso al primo Woody Allen, quello di Amore e guerra o di Bananas. E se l'eccessiva trivialità non sempre nuoce a questo genere di film, troppe scuregge e troppi attacchi di cacarella vengono inseriti, in questo caso, al solo scopo di supplire alle vacuità di una trama leggera e, a tratti, perfino imbarazzante. In altre parole, il film poteva durare venti minuti meno e totalizzare un numero di gran lunga inferiore di inesorabili cadute di stile. Ma per carità: si ride di gusto, e la distesa finale di pecore che vanno disperdendosi a perdita d'occhio nella Monument Valley vi renderà impossibile addormentarvi.

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