lunedì 20 ottobre 2014

Slipknot, "Vol. 5: The Gray Chapter" [Suggestioni uditive]

Slipknot,
Vol. 5: The Gray Chapter
(Roadrunner Records, 2014)

★★★½
















I metallari legati a generi ortodossi li hanno accusati di essere una manica di clowns, mentre i nu-metallari abbonati alle fanzine di band quali Linkin Park, Incubus e Limpbizkit li hanno sempre considerati uno squadrone di criminali rallevato lontano dalle spiagge californiane e dalle raffinate città della East Coast onnipresenti nei video dei loro idoli: mi riferisco agli Slipknot, una delle più grandi band del mondo, che piaccia o no.
Cinque album in studio in diciannove anni di attività, una pioggia di dischi oro e platino, tour mondiali incendiari e milionari, gravi perdite (il bassista Paul Gray, morto per overdose di farmaci nel 2010) e altrettanto gravi defezioni (il formidabile batterista Joey Jordison ha lasciato il gruppo a fine 2013). In tanti hanno finto di accorgersene, ma gli Slipknot hanno rappresentato l'unico fenomeno metal in grado di conquistare intere nazioni, in termini di vendite e popolarità, come non succedeva dai tempi dei migliori Metallica: del resto, le cifre parlano chiaro, e anche la bravura. Infatti, non capita tutti i giorni di avere a che fare con una band come quella capitanata da Corey Taylor, quarantenne che la musica la conosce, la sa scrivere e la sa cantare. E ascoltando Vol. 5: The Gray Chapter il divario fra gli Slipknot e l'ennesima band post-nu-metal-post-tutto salta inevitabilmente all'orecchio.
Le prime voci su del nuovo materiale del gruppo dell'Iowa risalgono addirittura al 2010, ma vengono smentite in seguito alla morte di Paul Gray. Di un ipotetico (e doppio) Vol. 5 si inizia a parlare nel 2012, ma sarà il greatest hits Antennas To Hell l'unico evento discografico di cui saranno protagonisti gli Slipknot quell'anno. L'abbandono del gruppo da parte di Jordison lo scorso dicembre ha rappresentato per Taylor l'occasione per poter affermare che la band era in studio per la realizzazione di un nuovo disco.
La forza di un'opera come Vol. 5 risiede nel nascere proprio dai tormenti: testi più criptici che in passato, costellati da suoni oscuri e spesso mutevoli, portano a quattordici brani suonati in un contorno di ansie e conflitti interiori ed esteriori. Dalla formazione a nove del precedente capolavoro incompreso All Hope Is Gone (2008), gli Slipknot si ritrovano in sette, con Taylor a scatenare, con maestria impareggiabile, una spettacolare reazione chimica fra le atmosfere grezze di Iowa (2001) e i ritmi rallentati di Vol. 3: The Subliminal Verses (2003). Grandi complici, in questa orgia in cui si mescolano trash, death e grindcore, sono i session-musicians Jey Weinberg (batterista eccellente, figlio di quel Max Weinberg della E-Street Band) e Alessandro Venturella (bassista inglese, ex-tecnico della chitarra per i Mastodon) e il "gran direttore di sala" Greg Fidelman, produttore cresciuto nella scuola di Rick Rubin. Anche l'elettronica, come si sente già nella proemiale XIX (forse la migliore traccia di apertura nella carriera del gruppo), gioca un ruolo fondamentale: un membro come il tastierista Craig Jones non ha mai goduto dello spazio di primo piano che gli spetta in una chicca quale Killpop, nella introspettiva Goodbye e, soprattutto, nella conclusiva, terrificante If Rain Is What You Want. E se i "tamburi lontani" di Sarcastrophe conquistano già al primo ascolto, sono i pezzi creati ad hoc per la vecchia guardia a lasciare qualche perplessità: sia Skeptic che Lech sono canzoni veloci, sempliciotte e ancorate ad un passato sanguinario e violento, ma qui di Iowa non c'è neanche un barlume di smalto. Tutt'altro discorso spetta per la pesante Custer, in cui il vecchio stile (ancora attualissimo, per carità) cozza assai meglio con la nuova formazione, e per i singoli di lancio, The Negative One e The Devil In I, entrambi riusciti e perfetti per rilasciare un'idea complessiva di quello che troviamo in Vol. 5.
Intendiamoci subito: se vi aspettate un nuovo All Hope Is Gone, resterete delusi. The Gray Chapter vuole essere un validissimo seguito di Vol.3; e per quanto possa risultare più oscuro e cattivo e pesantemente segnato dai problemi che ne hanno anticipato la lavorazione e l'uscita, suona come un disco incredibilmente ricco di spunti, idee e grandi canzoni. Perciò, lode agli Slipknot, che sono ancora qua per fare musica, andare in tour, intascare palate di quattrini e fare incazzare tutti i i metallari più integralisti.

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