giovedì 30 gennaio 2014

[Recensione] Nebraska

Nella vita la sensibilità è importante. 
Purtroppo, non sempre siamo liberi di diventare sensibili, perchè sensibili si nasce, vi si è predestinati- come insegna Jep Gambardella/Toni Servillo all'inizio de La grande bellezza (speriamo vinca l'Oscar, alla faccia di chi gli vuole male!) -e, in certi casi, può anche diventare una condanna molto dura, una condanna che necessita di una certa "preparazione". 
Il cinema è un tipo di intrattenimento che, in quanto forma d'arte, gioca molto con la sensibilità di chi ne fruisce, eppure se si è persone sensibili (oltre che di buon gusto) le vie di accesso a film meravigliosi, poetici e profondi sono alquanto facilitate: e Nebraska, ultima fatica di Alexander Payne candidata a cinque statuette, è indubbiamente un film bello, toccante e delicato.
Non mi vergogno, anzi, sono felice nell'ammetterlo: a me Nebraska ha commosso. E non di certo perchè ho chissà quale sensibilità deposta sul fondo dell'anima, ma semplicemente perchè questo gran bel film viene a ricordarmi perchè amo tanto il cinema. Mentre mi scorrevano di fronte agli occhi le immagini immortalate nel meraviglioso bianco e nero di Papamichael, mentre il vecchio, alcolizzato, meraviglioso Woody (Bruce Dern) attuava la sua ennesima fuga per andare a ritirare il suo biglietto della lotteria vincente, mentre il figlio David (Will Forte), stanco e inconsapevolmente schiavo delle stesse cose del padre, decideva di assecondarlo, mentre accadeva tutto questo in luoghi che distano da casa mia 8015 chilometri, ero consapevole di essere lì con quelle persone, di partecipare al rafforzamento del loro rapporto (un rafforzamento silenzioso, poetico e mai retorico o banale come sanno essere certi filmetti on-the-road ricoperti di melassa), al loro dolore, alla loro gioia, alla loro malinconia. 
In un certo tipo di contesto ci vergogneremmo ad ammetterlo, ma somigliamo un po' tutti al personaggio di Woody: prima o poi, a prescindere da qualunque sia la nostra condizione umana e sociale, ci fermiamo a sognare una fuga dal nulla, architettandola e fantasticandoci sopra un bel po'. Al contrario di molti altri road movies (penso a Thelma e Louise di Scott come al capolavoro Una storia vera di Lynch), la destinazione qui non ha alcun peso (basta la consapevolezza di venire da una parte della strada e di essere diretti nella direzione opposta, come insegna la prima scena del film): contano solo l'impressione di aver ottenuto la fuga e il senso di appagamento nell'avere qualcosa da lasciare ai posteri. Come un furgone e un compressore.

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