Selezionare, di settimana in settimana, film da proiettare in un cineforum di partito è quanto di più difficile e allo stesso tempo divertente possa esserci: sta tutto nello scegliere il film giusto, quello che piace a me ma che è dotato di qualità formali e contenutistiche in grado di conquistare anche il pubblico; quello su cui il presentatore ha molto da dire e che lascia spazio, al termine della proiezione, ad un prosperoso dibattito. Me ne rendo conto da più di un mese, così come mi accorgo che il cinema politico che tutti si aspettano e che tutti vorrebbero vedere non solo non è sufficientemente apprezzato dal sottoscritto, ma è anche comodamente bramato da un pubblico le cui grandi sicurezze culturali sono rappresentate esclusivamente da un certo tipo di opere. Mi domando però quanti fra coloro che hanno duramente criticato la mia prima scelta (Essi vivono) abbiano realmente visto La corazzata Potëmkin, che- oltre ad essere un capolavoro della storia del cinema -è un vero e proprio esempio di quella propaganda che molti sembrano rimpiangere. E dal momento in cui questo autunno parrebbe essere iniziato all'insegna della cultura russa, ho stilato lunghe liste di verbi perfettivi e mi sono rivisto anch'io due film di Serjei M. Ejzenstein: Aleksandr Nevskij e La corazzata Potëmkin. Preferisco di sicuro il primo, di cui apprezzo i particolari architettonici geometrici di molte inquadrature e la splendida colonna sonora di Prokoviev (per i fan di Benigni, quello di Pierino e il lupo). Però vi parlerò del secondo, ossia del film più citato e meno visto della Storia del Cinema.
La trama è così riassumibile: ai marinai della Potëmkin viene dato cibo pieno di vermi, ma un ipocrita medico di bordo ne dimostra invece la mangiabilità. I rivoltosi sono condannati a morte, ma il plotone non spara. Scatta la rivolta, i marinai prendono il comando della corazzata e gettano in mare il medico. Poi, arrivati a Odessa, i marinai trovano la solidarietà della popolazione che saluta la corrazzata dalla imponente scalinata, ma ecco i cattivi cosacchi dello zar che sui gradini sterminano la folla inerme a fucilate. Finale propagandistico con i soldati zaristi che seguono i marinai verso la Rivoluzione. La storia prende spunto da fatti veri e la scena del massacro cosacco è diventata talmente famosa che, benché l’eccidio non sia avvenuto lì, quel luogo è chiamato Scalinata Potëmkin.
Recentemente, un ex-compagno di studi e amico, pubblicava su Facebook un post in cui affermava di avere finalmente visto questo film, elogiandone la bellezza e conferendogli il voto di quattro stellette su cinque. E anche lui, al pari mio e di innumerevoli altri italiani, non deve ringraziare nè studi universitari di Estetica Cinematografica, nè tantomeno qualche circolo giovanile culturale di estrema sinistra (in cui di Ejzenstein ormai non si conosce più neanche il nome) per la conoscenza di questo film: il merito è tutto di Luciano Salce, l’uomo che ha diretto i primi due film su Fantozzi, rifiutandosi di andare oltre per non finire in una spirale come quella di Maciste. L’uomo e il grande regista che, non potendo usare le immagini originali del film di Ejzenstejn, ha rigirato le stesse scene anticandole, mutando anche nomi e titoli. Villaggio grida: <<La Corazzata Potiomkin è una cagata pazzesca>> e si prende novantadue minuti di applausi da parte di un popolo che trova noioso il cinema d’essai. Ma, in un angolo, Salce ridacchia e ricostruisce la stessa struttura della Corazzata, aggiornandola: il popolo, ovvero i colleghi, prende le parti del ragioniere e si unisce alla rivolta, almeno fino all’arrivo dei cosacchi, cioè la dirigenza della megaditta. Ecco perché Salce se la ride: perché ha creato un parallelo con le vicende della Potëmkin che di sicuro è sfuggito a chi non ha mai visto il film. Chi non conosce l’originale si perde anche l’esperienza deliziosa che è il continuo confronto tra le scene del film russo e quelle del film fittizio che gli impiegati interpretano per punizione tutti i sabato pomeriggio. Non manca nulla: dall’occhio della madre alla carrozzella con il povero bambino, dalla vecchia (il fantastico Gigi Reder) con gli occhiali rotti da una sciabolata agli stivali dei soldati, fino al giovinetto che muore calpestato. L’estenuante caduta di Anna Mazzamauro, madre colpita a morte cui sfugge la carrozzella, non è un gigionismo, ma la citazione di certe scene che Ejzenstejn ripeteva due volte nel film per enfatizzarne la drammaticità. Non riesco a immaginare quanto si sarà divertito Salce a filmare questi momenti, ma una cosa è certa: almeno il doppio di quanto fanno coloro che non conoscono l’originale e ridono di fronte a questa scena, godendo solo dei travestimenti, delle umiliazioni subite dai protagonisti e dai capitomboli del povero ragionier Ugo, camuffato da lattante.
E così, in questa mattinata domenicale, a due giorni dalla mia prossima presentazione (Punto Zero di Sarafian sarà proiettato martedi alle 21:15), mi ritrovo a essere combattuto e a non sapere se far vedere, a tradimento e senza dire niente a nessuno, La corazzata Potëmkin. Scommetto che per molti autentici rivoluzionari sarebbe la prima volta.
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