venerdì 4 dicembre 2015

The Allman Brothers Band, "Idlewild South- Deluxe Edition" [Suggestioni uditive]

The Allman Brothers Band,
Idlewild South- Deluxe Edition
(Universal Music, 2 Cd, 2015)














Per quanto figlio del dopoguerra e della british invasion cresciuto a 45 giri di beat rock e torte fatte in casa, Gregg Allman nel 1969 ha ventidue anni e appartiene all'ultima generazione che ha fatto in tempo a respirare la stessa aria che si respirava nel profondo Sud prima del conflitto. Lui e suo fratello maggiore Duane sono topi di campagna saltuariamente prestati alla città, esposti ad una miriade di influssi diversi ma alla fine figli (spirituali, si capisce) di personaggi molto più remoti, la cui lontananza dalla cultura urbana era invalicabile. Idlewild South, secondo album della Allman Brothers Band, uscito nel 1970, è un viaggio caldo e umido attraverso le pianure del Tennessee (e in Tennessee, patria di entrambi i fratelli Allman, pare esista una cittadina di nome Idlewild), della Georgia e della Florida percorse da fiumi lenti e paludosi e costellate da paeselli e stazioni di servizio isolate. Le radio trasmettono musica country e discorsi religiosi, dai bar escono vecchi blues e qualcuno si prende pure la briga di ballarli. La voce di Gregg Allman (ma, primariamente, la voce della Les Paul di suo fratello Duane) è quella dei folli, degli alcolizzati, dei vagabondi non grati nè a Dio nè al Diavolo, di quelli che vivono ai margini delle piantagioni di tabacco e cotone, nelle case galleggianti lungo il Fiume. E' anche il grido di chi vive isolato, lontano dal sogno hippie e dalle sue colorate manifestazioni (la copertina, interamente votata alla tricromia bianco-nero-grigia ne è lampante dimostrazione).
Idlewild South, compie quaranticinque anni ed è ancora l'opera "ardua", quel secondo album che tutti gli artisti maledicono per una serie di regole non scritte: deve essere uguale se non migliore del precedente, deve vendere di più, deve anticipare un tour di enorme successo che copra una zona geografica maggiorata e vanti un numero di date invidiabile. Idlewild South rispetta, miracolosamente, tutte queste leggi. Non è più bello di The Allman Brothers Band (1969) ma è sicuramente più variegato e parimenti meraviglioso. Lo produce Tom Dowd, un vero mago, un outsider all'epoca di stanza alla Capricorn che ha prodotto capolavori che hanno fatto la storia.
Stavolta tutta la band prende parte al songwriting e perfino nell'interpretazione subentrano alcune novità. I fratelli Allman si dividono nettamente i compiti: Gregg sa già di essere la grande voce del vecchio Sud e tira fuori quella forte vena cantautoriale (oltre a Midnight Rider, sono sue anche Don't Keep Me Wonderin' e la dolente Please Call Home) che tanto approfondirà nei suoi progetti solisti e che si sposa perfettamente con il suo background di soulman bianco; Duane, al contrario, affianca alla sua già inconfondibile e ruggente lead guitar una sei corde acustica (Revival) e cede a più riprese il posto al collega Betts, ancora lontano da quell'immagine risoluta e dura di country singer che adotterà di lì a qualche anno. Secondo la migliore tradizione del southern-gothic (termine adesso sdoganato, ma alla fine degli anni Sessanta relegato al suo habitat naturale e proprio per questo accessibile solo a pochi indiziati), non può mancare il contatto con lo spettrale. In Memory Of Elizabeth Reed, a ragione considerata dai più la migliore prova strumentale di tutto il catalogo allmaniano, è un superbo requiem dove si incontrano, volutamente, John Coltrane e i Cream. Al termine di questo, ha inizio la seconda facciata, quella più blues e dolorosa. C'è Berry Oakley che canta la sua Hoochie Coochie Man, con Jaimoe e Butch che anticipano di svariati anni le doti di sedicenti fenomeni della batteria progressive. Please Call Home, un canto dell'uomo libero che però deve sopravvivere ad un desolato e terrificante vagabondaggio, dove salvezza e redenzione sono assenti. La finale Leave Your Blues At Home suona funk prima del funky
Al termine dell'album rimasterizzato trovano posto tre (ebbene sì, purtroppo sono solo tre le outtakes) interessanti reperti: una Statesboro Blues incisa in studio, la quasi totalmente inedita One More Ride ("quasi" perchè i possessori del cofanetto Dreams, uscito ventisei anni fa, la conoscono già) e un alternate mix (con la chitarra slide che fa bella mostra di sè) di Midnight Rider. Le sorti dei nastri originali sono affidate all'impagabile Bill Levenson, alle prese con il terzo restauro allmaniano dopo Brothers And Sisters- Deluxe Edition (4 cd, 2013) e The 1971 Fillmore East Recordings (6 cd, 2014). Sua è la brillante idea di rispolverare e riproporre, come extra della Deluxe Edition, un concerto dell'epoca di cui pochi si ricorderanno: Live At Ludlow Garage fu pubblicato dalla Polydor nel 1990, in pieno assetto degli "Allman Mark III", e proponeva un classico show del tour di Idlewild. Circolò il giusto e addirittura, negli Stati Uniti, vide la luce esclusivamente come audiocassetta e LP. In realtà, il concerto è una sfolgorante prova della band diretta da Duane Allman pre-Fillmore. In scaletta, tre estratti dall'esordio (fra cui l'inusuale apertura rappresentata da Dreams, protratta per oltre dieci minuti), Statesboro Blues, lunghissima (quasi nove minuti) e leggermente più lenta, che viene per seconda (e questo suona strano per chiunque possegga altri concerti degli Allman), tre covers di finissimo southern blues (Dimples di John Lee Hooker, I'm Gonna Move To The Outskirts Of Town di William Weldon e, ovviamente, Hoochie Coochie Man di Willie Dixon), un'inedita In Memory Of Elizabeth Reed (pure questa più lunga delle future versioni fillmoriane) e, come gran finale, la più lunga Mountain Jam mai registrata: quarantacinque minuti e tredici di trip sudista.
 Idlewild South è ancora un paradiso musicale, fuori dal tempo come pochi altri dischi dell'epoca e del genere. I fratelli Allman sapevano già di avere trovato la formula magica per risultare artisti popolari e sentimentali, di quelli che nella propria poesia cercano sempre di far percepire l'eco della voce immemorabile di avventurieri e ribelli del vecchio Sud. 

2 commenti:

  1. Capolavoro totale. Sono d'accordo su quasi ogni cosa. Il "funky prima del funk" però no: il funk era sbocciato già da qualche anno, sull'onda del James Brown dal '67 in avanti, Dyke And The Blazerz, Jimmy McGriff etc. E poi boh, credo che ok la british invasion all'epoca scassasse a tutti, però gli Allman erano probabilmente più figli della musica (molto più bella, secondo me) che si sentiva in casa... e che è quella che si sente nella loro musica! :)

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    1. Accetto volentieri l'appunto sul "funky prima del funk", ma il discorso dell'impatto della british invasion sulla formazione dei giovani Allman (e non troppo sulla loro musica) è un'altra cosa. Se hai modo di ascoltare le prime esperienze di gruppo di Duane (gli Escorts, gli Allman Joys, gli Hour Glass, i 31st Febraury o i Bleus) troverai tantissime influenze di band quali Yardbirds, Cream e, più in generale, di tutta l'ondata uscita dall'università del Blues di Mayall. La vera forza della ABB è stata nel convogliare questo blues rock di base britannica verso quella che- come scrivevi giustamente -è la musica che ascoltavano in casa (country&western, blues classico, R&B, soul, ecc.), sommando il risultato all'arte dell'improvvisazione più tipica del jazz. Ovviamente non è stata una cosa immediata, ma il frutto, alla fine, si è rivelato essere il Southern Rock stesso, qua inteso nella sua formula primaria e ad oggi ineguagliata.

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