giovedì 3 dicembre 2015

Sinfonie d'autunno (Pt. 3) [Suggestioni uditive]

Siamo in un momento dell'anno critico, perchè nonostante stiano uscendo e debbano ancora uscire parecchi dischi, già le riviste, i critici e i recensori stilano le loro classifiche dal dubbio gusto (quella di Mojo, i cui cronisti sono stati addirittura in grado di selezionare 50 album validi, mi ha messo seriamente in crisi, specie perchè numerose posizioni sono occupate da dischi bypassabili o direttamente vergognosi). Simili top 10 lasciano il tempo che trovano, ma ciò nonostante anche io scrivo la mia. Ma a fine dicembre, non a fine novembre.
Veniamo "alla ciccia".
L'autunno è entrato nel vivo. Le giornate si sono fatte più corte. Il freddo, seppur con il consueto (e preoccupante) ritardo, è arrivato. Gli archivi musicali iniziano ad aprirsi e gli odiosi stornelli natalizi sono là da venire. C'è niente di più lontano da un'atmosfera simile del doppio Live in Kauai (Kuleana Music, 2 cd, ) di Taj-Mahal? Molto probabilmente no. Disco estivo, registrato lo scorso gennaio alle Hawaii con la locale Hula Blues Band, passa in rassegna il meglio del meglio della lunghissima carriera di uno dei più grandi ed eclettici musicisti di tutti i tempi. Venti pezzi magnifici e suggestivi. Un'operazione di rilettura che riporterà alla mente dei più esperti il sea blues di artisti poco noti in Europa ma già omaggiati a più riprese da Taj-Mahal. Ma non pensate di trovarvi al cospetto di un mero esperimento di ricerca etnomusicale: qua c'è roba che vi farà ballare anche sotto la neve facendovi sentire sulla spiaggia, con le onde spazzate dal vento, i gabbiani e un tramonto tropicale che vi cuoce la fronte e lo spirito.
Sempre un bel live, solo del passato, è quello uscito dalla stalla della Marshall Tucker Band. Va bene che è trascorso poco più di anno dall'ineguagliabile (e ineguagliato) Live in Englishtown, NJ 1977, ma il nuovo Live In The UK 1976 (Ramblin'Records, ½) sfoggia delle performances superbe. La band del North Carolina approda in Europa per promuovere Long Hard Ride, un disco controverso e poco apprezzato già negli USA. Eppure i nostri non demordono: qua dentro trovano spazio dieci pezzi magnifici registrati fra Manchester, Glasgow, Birmingham e Londra. Non è solo un best of del primo periodo della band (solo il brano omonimo è tratto da Long Hard Ride, e il resto arriva dai solchi dei veri capolavori della MTB), ma un vero e proprio greatest di una turnè inaspettatamente gloriosa. Forse gli unici pezzi che soffrono un po' sono quelli tratti da Searchin' For A Rainbow (comprensibilmente, visto l'immensa opera di produzione riservata a quell'album in studio) e di certo lo spirito della jammin' viene tenuto maggiormente a freno rispetto agli show americani. Vera ciliegina sulla torta è la conclusiva cover di Will The Circle Be Unbroken, registrata all'Hammersmith. Non capita tutti i giorni di sentire questi fieri cowboys togliersi il cappello, varcare l'ingresso della chiesa e intonare un inno gospel e soul di questa intensità. <<Ladies and Gentlemen, The Marshall Tucker Band!>>.
Ancora un live, sontuoso e importante come importante è l'occasione che documenta è Slowhand At 70- Live At The Royal Albert Hall (Eagle Rock, 2 cd+2 DVD, ½), uscito il 14 novembre in tutto il mondo e già al centro di alcune polemiche. La prima riguarda l'effettivo valore dello show, ma almeno a mio avviso non sussistono critiche particolari: per quanto certe canzoni possano aver goduto di interpretazioni superiori in altri concerti, la scaletta è ottima, la band fa letteralmente paura (anche se niente somiglierà più alla brigata che accompagnava Mano Lenta nei suoi concerti del 2006-2007) e lo spettacolo, in più momenti, mette i brividi. I problemi arrivano sul versante video: a parte il filmato del concerto (che non è che goda di una regia magistrale, diciamolo), gli extra documentaristici sulla Royal Albert Hall e le avventure di Clapton all'interno di essa (si parte con una performance dei Cream e giù a seguire) non sono nulla di nuovo. E visto che questo grazioso cofanettino non è che lo regalino, beh, la cosa un po' finisce con l'influire. Ma con questo non sto dicendo che Slowhand At 70 sia una mera mossa speculativa per gabbare i fans.
Una cosa simile, purtroppo, è Montage Of Heck- The Home Recordings (Universal Music, ) di Kurt Cobain. Tredici, tremendi pezzettini rubati (perchè di furto è giusto parlare) dalle sue innumerevoli registrazioni domestiche. Sono cazzate, non canzoni. C'è qualche accenno di musica, perlopiù mediocre, e per il resto rumori, guaiti, battute, interruzioni e altre cose che era giusto rimanessero dove erano: chiuse dentro un cassetto. L'ennesimo pezzo da antiquariato del dolore dato in pasto ai fan di Cobain, un'operazione che sfrutta il titolo del documentario della HBO uscito in primavera e che nulla ha da spartire con i Nirvana e le iniziative a loro dedicate. Mero e macabro commercio della peggiore specie, un perfetto esempio di disco da non comprare anche solo per un fatto di buon gusto.
Sempre di ex-Nirvana e sempre di dubbio gusto si può parlare riferendosi al gratuito Saint Cecilia EP (RCA, ) dei Foo Fighters. Registrato a metà ottobre al Saint Cecilia Hotel di Austin, Texas, in pieno Sonic Highways World Tour, è composto da cinque pezzi pressochè identici fra di loro (prova a distinguersi, con magri risultati, Iron Rooster) ed è stato concepito per essere un regalo pre-natalizio con cui ringraziare i fans sparsi in tutto il globo. Purtroppo, vuole il destino che il 15 novembre, a Parigi, sia successo quello che è successo. E allora via, già che Dave Grohl e compagni ci sono, pensano bene di dedicarlo anche alle vittime degli attentati parigini. Avesse il Mondo intero a dubitare della bontà di questi rockers dalla bravura incontestabile e dalle ormai mirabolanti doti messianiche. Miserino.
E invece, manco a dirlo, un disco di fronte a cui togliersi il cappello è 25 (XL Recordings, ½) di Adele, una che al giorno d'oggi canta come poche. Proprio in queste ore, mentre da noi i social si stanno accanendo sui contenuti del suo ultimo album e la cantante diventa oggetto di prese di culo di qualsiasi genere, mi ritrovo ad ascoltare queste undici canzoni e nulla da dirle o da dire: è un buon album di pop, leggerissimo e annacquato soul e R&B. Certo che con quello che è costato un disco simile (basta fare capolino su Wikipedia e leggerne i credits per stimare una cifra) ci si potevano risolvere parecchi problemi, ma questo è il music business, bellezza! Inutile starsene lì a pensare che, ai tempi d'oro, in posti come Detroit o Nashville o a Muscle Shoals canzonette così le incidevano in un pomeriggio, senza troppi sovrincisioni, fronzoli e segate. Inutile sottolineare che Adele è brava, ma non è nella maniera più assoluta un'esponente del mio immaginario club delle cinquanta migliori cantanti di tutti i tempi. Tuttavia, quando si bazzicheranno i centri commerciali sotto le feste sarà meglio sentire Hello che non i Negramaro o Jovanotti. O no?
Passiamo ad altro. Un vecchio amore di gioventù ha pubblicato il suo decimo album. Sto parlando di quel cavallo di Glenn Danzig, una delle voci più importanti della storia dell'hard rock, uno che senza perdere di vista il suo "naturale" modello ispiratore (Elvis Presley) è riuscito ad attraversare generi e sotto-generi. Coi Misfits ha indurito non poco la formula dell'american punk classico, da solo si è addentrato in territori oscuri e inesplorati, senza mai perdere la genuina ironia che da sempre contraddistingue le sue canzoni. Canzoni semplici, prive di orpelli, ma che sono invecchiate bene. Dal 1987 al 1994 è stato protetto dall'egida di Rick Rubin e si è messo al servizio dell'American Recordings, sfornando una tetralogia irripetibile. Gli anni successivi lo hanno visto sempre impegnato, fra tour di discreta importanza e dischi comunque azzeccati (Danzig 7:77- I Luciferi, del 2002, è stato il lavoro con cui anche io, allora tredicenne, mi sono avvicinato alla sua opera), spaziando dal doom al gothic, dalla musica classica all'ambient (i due Black Aria). Skeletons (Nuclear Blast, ) è il classico album che un artista sforna quando le idee compositive scarseggiano e si ripiega solo sulle covers, ma di che livello! In poco più di mezz'ora Danzig ci accompagna- supportato da una band che sa il fatto suo -attraverso la musica della sua vita, dai classici rockabilly e r&r di Elvis, Dave Allan & The Arrows e degli Everly Brothers fino ai suoi "zii" Black Sabbath (N.I.B.). Impensabili anche gli omaggi tributati agli Aerosmith (Lord Of The Things) e agli ZZ Top (Rough Boy). Un cover album, certo, ma con tutti gli attributi in regola. Nonchè, l'unico disco heavy meritevole fra quelli che mi sono capitati fra le mani nell'ultimo mese.
Ancora notizie dal vault delle pietre rotolanti. In tutto novembre sono usciti due bootleg ufficiali degli Stones. Concerti sentiti e risentiti, visti e rivisti: il primo è Live At Leeds (Promotone BV, 2 cd+DVD, ★½), inciso nel 1982 al termine di un grosso tour europeo. Si tratta dell'ultimo concerto tenuto assieme al "sesto" stones Ian Stewart, ha già una scaletta concepita a best of  della carriera (una carriera che allora aveva vent'anni, e non cinquanta, e che poteva contare già su un paio di dischi pessimi). Il secondo è Live At The Tokyo Dome (Promotone BV, 2 cd+DVD, ), testimonianza di una serata che già all'epoca circolò non poco in VHS e fece molto parlare di sè per la sua lunga durata (più di due ore, con una scaletta di ventiquattro brani) e per l'imponenza del nuovo palco. Alla fine, siamo già nell'era in cui gli Stones (freschi di reunion e con il brillante Steel Wheels all'attivo) girano il globo dando in pasto ai propri fans quel sontuoso rock&roll show sponsorizzato da numerose multinazionali. Lo stesso spettacolo, modificato nei suoi lati tecnici e con una tracklist di poco differente, va avanti a tutt'oggi.
E ora, velocemente, concludo con una bella triade tutta italiana: per primi, i Baustelle e il loro Roma Live! (Warner Music, ½). Ora, a me i Baustelle piacciono tanto, li ritengo superiori a tutta la paccottiglia indie di casa nostra (Bugo, Le Luci della Centrale Elettrica, Brunori Sas, gli Afterhours, i Marlene Kuntz e mille altri cadaveri riesumati di giovani e vecchi che aspettano il massimo dei voti da XL di Repubblica che nel frattempo, almeno in versione cartacea, ha pure chiuso), compro e ascolto i loro dischi (pure quello della Rachele Bastrenghi, bravissima da solista), leggo i libri di Francesco Bianconi e- come già scrissi tempo fu nella recensione di Fantasma -dai Baustelle accetto tutto. Accetto dunque Roma Live!, ma ammetto che pur essendo splendidamente arrangiato e registrato, mi ha lasciato freddino.
Non mi ha lasciato freddo, al contrario, Vivo/Live (Route 61, ½) di Graziano Romani, il disco dal vivo di rock italiano più bello che si possa ascoltare ora come ora.
Nulla di nuovo sotto il sole, ma dalla casa del Maestro (è ormai in pensione da tre anni) è uscito uno splendido compendio, ottimo se si pensa ad un regalo di Natale (un natale laicissimo, ovvio) da scambiarsi fra gucciniani DOCG: Se io avessi previsto tutto questo... Gli amici, la strada, le canzoni (Universal Music, 4 cd, ) è disponibile anche in una versione di super-lusso da dieci compact. Io, ad essere franchi, mi accontenterei di quella standard. Poi fate voi.

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