lunedì 3 febbraio 2014

[Recensione] La gente che sta bene

Umberto Maria Dorloni (Bisio) è un noto avvocato milanese con una bella casa, la bella moglie Carla (Buy), e due bei bambini iscritti a delle belle scuole cattoliche: appartiene, insomma, a "la gente che sta bene" cui fa riferimento il titolo di questo film firmato da Francesco Patierno e tratto dal romanzo omonimo di Federico Baccomo (pubblicato da Marsilio).
Il protagonista va in televisione, dove si autodefinisce un uomo di successo, arrivato professionalmente e pronto soltanto ad uno scatto successivo, quello che lo scaraventerebbe nell'olimpo degli avvocati di affari. Tale occasione pare prospettarsi con l'invito al party annuale indetto da Patrizio Azzesi (un Abatantuono immenso in tutti i sensi e perfettamente a suo agio), celeberrimo avvocato italiano che sembra misteriosamente intenzionato a coinvolgere Dorloni in un nuovo affare: l'apertura del prestigioso studio Cocks&Cocks (letteralmente, "Cazzi&Cazzi") in Italia. Crisi familiare, corna, tradimenti reciproci, sventure assortite e tutta l'altra paccottiglia nostrana arriva- seppure in ritardo rispetto a pellicole analoghe nei temi e nella messinscena -a gravare su un film che riesce splendidamente a catturare l'essenza dell' homo novus italicus (<<The New Italian Man>>, per dirla con l'anglofilo Azzesi), figura sociale partorita dal berlusconismo e salita alla ribalta nell'arco dell'ultimo ventennio. Del resto, Bisio è bravissimo nel restituire al proprio personaggio un humus vitale appartenente ad una certa realtà (milanese, ma non solo): Dorloni, infatti, è ottimista, bigotto, pragmatico, poco incline a preservare la memoria di cose passate (a stento ricorda i nomi di battesimo dei propri familiari), perfettamente a suo agio nel fare della retorica da basso intrattenimento e del populismo più bieco le proprie armi vincenti sia nella sfera lavorativa che in quella privata. L'italiano vincente non ha "tempo da perdere" dietro le grandi e piccole tragedie della vita, e così, se anche si deve licenziare un sottoposto più giovane, è raccomandabile farlo con un ottuso sorriso stampato in faccia, utilizzando i pochi strumenti forniti da appositi corsi di aggiornamento e toni degni della migliore (o peggiore, dipende dai punti di vista) politica del comico. 
Fin qui, gli intenti di Patierno sono onorevoli e portati avanti mirabilmente: peccato, ripeto, che il film non riesca (o non voglia) fare il salto, quello che gli permetterebbe di andare oltre, quello che lo farebbe accedere al livello di un film divertente e perfettamente in grado di intrattenere dove però sopraggiungono, per più motivi, elementi di dramma sociale e anche un minimo di critica cattivella. La regia è umile, ma mai sciatta, se non nel finale "di comodo", dove si vira indubbiamente di più verso la famiglia teorizzata dagli spot del Mulino Bianco piuttosto che verso la pellicola da impegno civile. E questo un po' dispiace.

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