sabato 8 febbraio 2014

[Recensione] Dallas Buyers Club

Negli ultimi anni, al cinema, si banalizza tutto. Tutto.
Anche la malattia.
Però esistono le eccezioni, e una di queste si chiama, senza ombra di dubbio, Dallas Buyers Club, diretto dal canadese Jean-Marc Vallée e candidato a ben sei Oscar (fra cui miglior film e miglior attore protagonista). 
Dallas Buyers Club parla sì di malattia, ma anche di cure non approvate, di ipocrisia, di paura della morte, di stupidità, di traffici illeciti condotti a fin di bene, di una storia vera: quella di Ron Woodrof (Matthew McConaughey da -25 kg che- basta girarci intorno, dio santissimo -deve vincere l'Oscar più di Bale, Dern, Di Caprio), elettricista texano rozzo, ignorante, omofobo, testa di cazzo e bigotto che ha anche qualche pregio, fra cui l'essere un cocainomane alcoolizzato, afflitto da una polmonite cronica che cura con un paio di pacchetti di sigarette al giorno e dedito al gioco d'azzardo e alla prostituzione (tutte virtù se paragonate a quanto scritto subito sopra). Ed è proprio la voglia incontrollata, malata, quasi maniacale della fica a far contrarre a Ron il virus dell'HIV, in un'epoca e soprattutto in un luogo dove l'AIDS è una piaga trasmissibile anche solo al tatto o con uno sputo (vedere la scena del bar) che però, deo gratia, se la prendono soltanto i "froci schifosi", e non i prodi cowboys da rodeo che non vedono alcuna differenza fra cavalcare un toro e una donna. Tuttavia, per quanto disprezzi con tutto il cuore gli omosessuali e i bisessuali, Ron è costretto a entrarvi in contatto, perchè come lui sono l'essenza di ciò che è destinato a diventare il Dallas Buyers Club, un circolo dove i malati di AIDS possono acquistare medicinali non approvati dalla FDA (un organo delinquenziale che, fra le altre cose, è al soldo anche delle industrie farmaceutiche) pagando una quota associativa mensile. Woodrof è il presidente del club, viene aiutato dal travestito Rayon (Jared Leto) e dalla dottoressa Eve Saks (Jennifer Garner che stranamente non recita come un comodino) e oltre a importare e distribuire medicine provenienti da tutto il mondo, riesce a creare un vero e proprio studio di "cura alternativa" e a dimostrare che l'AZT (il farmaco principale con cui venivano curati i sieropositivi americani) era soltanto veleno. 
Dunque sia lode alla sceneggiatura asciutta, coeniana e "immediata" di Craig Borten e Melissa Wallack, sia lode alle performance degli attori protagonisti (per McConaughey non è tanto una svolta dai suoi ruoli abituali, quanto il più bel personaggio della sua carriera), sia lode alla regia classicista di Vallée, che fa sì che Dallas Buyers Club abbia un pregio raro, anzi rarissimo: commuove senza per forza apparire melenso.
E poi chi ha detto che gli happy end devono per forza essere positivi e ottimisti?

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