lunedì 7 ottobre 2013

Gita fuori porta, fuori tempo, fuori tutto [Extra]

Ai primi di ottobre posso prendermi anche un po' di vacanza. 
Così, a metà pomeriggio di una domenica piuttosto monotona, decido all'improvviso di partire. Come bagaglio ho solo un'audiocassetta e una borraccia d'acqua. La borraccia proviene dalle giacenze scontate del magazzino di Decathlon; la cassetta è Gods Of War (2007) dei Manowar, un gruppo tanto tamarro quanto raffinato nella tecnica e nelle scelte.
Decido di dirigermi verso la Montagnola, imboccando la vecchia provinciale 541 che va verso sud, in direzione Grosseto, fino al bivio del ponte di Santa Giulia, che delimita- per me come per moltissimi altri- il limes dell'impero romano dalle contrade dei barbari. Ma non supererò il ponte e non andrò al mare, come fanno tutti quelli che, con una temperatura superiore ai 18 gradi, caricano secchiello e paletta e partono infischiandosene della crisi, dei rincari del carburante e della loro amata cittadina "dove però nessuno fa mai niente".
La strada è deserta e forse anche gli immediati dintorni e tutto il resto della pianura, dei boschi e delle colline che mi circondano sono vuoti allo stesso modo. Una realtà che rispecchia fedelmente l'idea di Paese che viene diffusa ogni giorno da Studio Aperto, secondo il quale, dai primi tepori di aprile ai caldi tardivi di ottobre, l'Italia si riversa tutta sulle coste, dove si abbronza per sette mesi all'anno in attesa di apparire nei servizi che il telegiornale di Italia 1 dedica quotidianamente alle spiagge. Prima del berlusconismo e di Mediaset si sapeva che certe cose esistevano, ma almeno non eravamo costretti a vedercele proporre da stupidi notiziari tramite rubriche recanti titoli tipo Costume&Società poi importate anche in RAI (tanto per non farsi mancare nulla). Stando a quanto dicono questi tg, pare che nell'entroterra restino soltanto una decina di vecchiette che si disidratano in casa, abbandonate dai figli degeneri (gli stessi che vengono postati su Facebook mentre giocano a racchettoni), più qualche presunto assassino che serve ad animare il giallo dell'estate, approfondito nel terzo servizio, completo di intervista al criminologo. Resto anche io, ma non faccio notizia.
Subito prima del ponte, svolto a sinistra, e subito dopo a destra, andando ad imboccare la strada dei laghi di Scorgiano. Ed è mentre percorro a velocità contenuta questo tratto che resto incantato da una visione incredibile. Un enorme capannone incute timore con le sue sagome grigie, i cartelli perimetrali che impongono di non accedere a meno che non si sia autorizzati: e in una giornata come questa la struttura assume un fascino spaziale.  Un grigiore opprimente spezzato dai colori vivaci delle opere di qualche graffitaro. E in auto c'è la musica dei Manowar e del loro disco dedicato a Odino. I  Manowar sono un po' come la mia microvacanza pomeridiana: non si sa dove ti porteranno. Dopo la semplicità quasi banale di Louder Than Hell (Geffen, 1996) e il controverso Warriors Of The World (Nuclear Blast, 2002) non ci si sarebbe mai aspettati questa esplorazione nel mondo della mitologia nordica, un universo già inesorabilmente sfruttato, nel primo decennio del nuovo millennio, dal cinema, dalla cattiva letteratura e dal fumetto. E' una musica, quella di Gods Of War, totalmente antimoderna che pare comunque adattarsi perfettamente a una visione estranea come quella del capannone illuminato che non viene lasciato in pace. Una musica che suona ancora più vecchia se si pensa che in quello stesso anno gli White Stripes di Icky Thumb proposero la loro formula definitiva di blues-rock futurista, i Radiohead di In Rainbow elessero il web come canale di vendita a offerta libera per un loro album, che gli Air si divertirono a scrivere una raccolta di serenate fra un frullatore e una lavatrice (Pocket Symphony) e che, più in generale, buona parte della scena musicale sembrò presentare le ultime idee in grado di guardare al Futuro. Dall'anno seguente, invece, sarebbe esplosa la mania del retrò, del vintage, dell'omaggio e della parata di culo, e nessuno ci avrebbe più capito nulla. 
Ad ogni modo, erano pochi, nel 2007, a compiere scelte contrarie alla moda, e i Manowar erano fra questi. E vorrei esserlo anche io, ma ogni volta ripenso a quello che mi dicono i benpensanti, o i bigotti, o come preferite chiamarli: che avrei fatto meglio a interessarmi alle cose serie (tr. "compiere un percorso di studi che porta a fare un lavoro magari insulso ma pienamente accettato dalla società") o trovare un lavoro fisso con le ferie pagate.  Allora, con ingombranti sensi di colpa, arrivo fino ad un bar-alimentari-tabacchi-articoli-da-regalo, una di quelle "soste" costruite sulla e per la strada (un Autogrill di provincia, solo più bello, genuino, romantico ed economico). Mi fermo, entro e mi fingo interessato a compilation con i tormentoni estivi usati negli spot delle società telefoniche quattro anni fa, alle guide turistiche e a menù mediterannei che sotto questo cielo nero fanno anche un po' ridere. 
Mi torna in mente la cassettina dei Manowar del 2007, e penso che proprio in quell'anno funesto contrassi il debito in scienze naturali; e fu proprio durante un ripasso per rimediare a quell'onta disonorevole che studiai i retrovirus, cioè quei virus che penetrano negli organismi di particolari specie animali e li infettano senza essere combattuti dal sistema immunitario perchè hanno la capacità di integrarsi nel genoma di quella stessa specie. Come se si travestissero da cellulare normali e invece sono lì a fare danni. 
Così, alle 17:30 di una piovosa domenica di inizio ottobre, cambio le sovraccoperte a cinque, sei bestseller, muto d'ordine ai cd e metto, senza farmi notare, una malriuscita imitazione di Sbrodolina nel banco frigo accanto ai salumi locali. 
Anch'io, nel mio piccolo sono un retrovirus.



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