martedì 2 luglio 2013

Così lontano da casa [Trame]


COSÌ LONTANO DA CASA

E' così piacevole sentir scorrere le gocce di ghiaccio appena disciolto lungo il collo. Mi torna in mente il modo in cui, ad una festa di tanti anni fa, strizzasti quei limoni non ancora maturi e mi leccasti dall'orecchio alla spalla.
Ma erano altri tempi. Di uguale, oggi, c'è solo il caldo e nient'altro.
C'è anche il mio vecchio pediatra a bere birra gelata in un angolo, e andiamo d'accordo: facciamo entrambi finta di non conoscerci, e tiriamo giù altre due belle sorsate, all'unisono, senza neanche guardarci, senza un piano prestabilito.
Passo il dito sull'etichetta della birra, che inizia a staccarsi a causa dell'umido e di una miriade di altre reazioni chimiche di poca importanza che, per fortuna, non capirò mai. Domando a me stesso se ti ricordi di quella mattina in cui il sole splendeva e noi iniziavamo a bere prima del solito. Ci amavamo, è vero, ma iniziai allora a chiedermi se tu fossi cambiata, se i tuoi capelli fossero ancora dello stesso colore di quando li avevo annusati la prima volta. Lo dicevano in tanti che in coppia, per noi, sarebbe stata dura, perchè non ci erano mai piaciuti i vestiti fatti in casa, le marmellate e i conti in banca.
Ora la radio urla le ultime notizie. Il disc-jokey sembra divertirsi come un matto a maltrattare chi telefona, il che è come mordere la mano che ti nutre. Basta un cenno e nessuna parola perchè Gioia venga, raccolga la mia bottiglia vuota, ne tiri fuori una uguale dal frigo, la appoggi sul bancone e la stappi. Ed ecco che arrivano quei pochi secondi di euforia giovanile.
Riaffiora quella scura e triste notte in cui ti voltasti a guardarmi col volto solcato dalle lacrime, mentre me ne andavo forse per l'ultima volta. <<Vorrei dirti tutte le cose che non ho mai saputo dirti...>>, o roba del genere.
Gioia continua a lavorare sotto una luce accecante, fastidiosa quasi quanto il caldo là fuori sulla strada. Volto la testa e butto un'occhiata sull'asfalto rovente, poi torno composto, a vedere la sua carnagione pallida e a concludere la bevuta. Saranno già sei o sette ore che è qua, e decido di raccontarle una barzelletta. Ho la voce roca ultimamente, e i toni sono bassi, dunque deve venirmi vicino per ascoltare. Racconto la mia storiella, e nel farlo mi accorgo che non sento più vibrazioni, odori, battiti cardiaci.
La stessa sensazione provata poco dopo essere rimasto da solo, negli anni in cui vivevo in città e per dipingere dovevo scendere in uno scantinato puzzolente. C'era la neve, quell'inverno, ed ero senza riscaldamento, ma non importava: dipingevo con l'uccello più che con le mani. Sapevo che qualcosa dentro di me era morta, avevo in bocca il peggior sapore che avessi mai sentito e non ricordavo se il mondo fosse piatto o tondo. Ma ero me stesso.
E ora sto di nuovo tornando indietro.
La mia barista di fiducia sta ancora ridendo per la barzelletta, così la riporto alla realtà bruscamente, tenendo un discorso sul perchè le persone- e più in particolare, le donne -dal destino incerto siano le migliori. Gioia dice di non farsi problemi, che tanto <<sfatto un letto, si salta in un altro>>. Salto a conclusioni affrettate, dicendo che tutti siamo maestri dell'illusione ma, paradossalmente, soffriamo di fronte alle grandi delusioni.
In realtà, io sto male dentro: nulla di più semplice.
Pago il conto, tiro su i jeans, metto il cappello, mando un bacio, esco dal locale, cammino in direzione del sole.
Sento il calore investirmi come un treno merci. Osservo il campo oltre la strada: è immobile e non c'è un filo di vento.
Tanti campi fa, sedevamo accanto, la schiena appoggiata su una balla di fieno e il sangue che scorreva a fiumi nelle vene. Il cielo stava diventando scuro, ti detti la mano e tu sentisti un brivido attraversarti la schiena. Eri ancora un po' confusa, ma felice.
Non come adesso, a camminare in salita, per una strada provinciale vuota come Roma a ferragosto. Ho lasciato il bar da appena dieci minuti, ma grazie alle mie gambe lunghe sono già arrivato di fronte all'ennesimo podere trasformato in affittacamere. La verità è che non ricordo quanto lontano ho lasciato la macchina. Dunque mi fermo, tolgo il cappello e passo la mano sui capelli sudati. Do un'occhiata in giro: l'albergatore tiene il neon acceso anche di giorno, mentre il figlio si esercita col sassofono e la moglie cammina nervosamente sotto il portico, unica zona d'ombra nel raggio di chilometri. Mi guarda come se volesse chiedermi <<Hai visto mia figlia?>>, perchè so che hanno una bella figlia sui quindici, capelli castani e con due belle tette, fresche di qualche mese. Sarà partita presto col motorino, doveva tornare per pranzo e ancora nessuno l'ha vista. So come ci si sente.
Anch'io, ogni tanto, al mattino, mi sveglio in una stanza deserta. La cerco, ma lei non è da nessuna parte. Spalanco la finestra, ma il vuoto dentro è incolmabile. Solo il ticchettio degli orologi a ricordarmi quanto tempo è passato. E lei mi ritroverà ancora una volta, ma il sapere anche solo questo mi è di poco conforto.
Rimetto il cappello e faccio un cenno alla signora.
Ora la strada inizia a farsi più stretta e la vegetazione più folta. Vedo l'ombra degli alberi e non resisto: entro nel bosco e lascio che un inatteso senso di pace mi investa. Di questi tempi, una sensazione simile è un lusso. Tiro fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni il mio portafogli, da cui estraggo la carta di identità. Una foto sbiadita e qualche dato anagrafico privo di reale valore: basta.
Le do fuoco, e brucia velocemente. L'ultima cosa che faccio in tempo a leggere è la data di nascita. Sai che non riesco a credere che abbiamo vissuto così a lungo e siamo ancora divisi. Il tuo ricordo mi risuona alle spalle come un treno in corsa. Mi ricordo ancora il giorno in cui sei venuta da me, giù da quelle colline che sembravano dipinte, con la tua Ford truccata e i tuoi tacchi con la piattaforma alta. Non ho mai capito perchè tu avessi scelto proprio quel posto per vivere, ma avevi ragione. La tua pelle era morbida e delicata.
Te ne sei andata una sera, e non sei più tornata. Sarei venuto a cercarti ma non me la sentivo di prendermi una pallottola in testa.
Avevi una sorta di ritmo oscuro nell'anima, e questo mi piaceva. Ma adesso mi trovo sul filo del rasoio e non sono più dell'umore di ricordare i vecchi tempi, quando ero il tuo uomo, e neanche il mondo vorrebbe che io li ricordi.
Per un attimo, penso all'appellativo “mio dolce amore”: è stucchevole, lo so, ma è vero.
La carta d'identità è ridotta a un pugno di cenere.
Tiro fuori il ferro dai pantaloni: sei colpi precisi.
Avanzo per una trentina di metri e ascolto il rumore dell'acqua farsi sempre più vicino. Vedo il sole riflettersi sulle canne di metallo, in direzione dell'altra sponda. Al di là del fiume ci sono fucili puntati su di me. Se penso a tutto il tempo che possono avere passato laggiù provo quasi pena per loro, costretti a dormire sulla terra, aspettando la preda e magari giocando a carte.
Del resto, non amano che io sia così libero.
Faccio due passi e cerco di essere rumoroso, almeno sapranno che sono arrivato. Ci sono occhi dietro gli specchi d'acqua, spazi vuoti oltre i buchi dei loro proiettili, ombre solitarie che si incrociano distrattamente in passaggi oscuri.
Me ne vado da solo. Cammino senza voltarmi indietro, come Orfeo senza Euridice.
Dicono che lei avesse saputo dove mi trovavo e quale sarebbe stato il mio destino: così, negli ultimi mesi, ho sempre dormito con un occhio aperto, pregando che ogni minimo rumore fosse lei che veniva a trovarmi. Ma non è stato così, e non è così che mi aspettavo che sarebbe stato.
Io confidavo in chitarre che mi dovevano accompagnare oltre il fiume, negli amici di una vita che venivano a salutare, in vagabondi che mi vendevano il loro estremo portafortuna, in puttane accorse a fare avances al mio spirito e alla mia anima. Tutto per un'ultima volta.
E sempre per un'ultima volta mi sento così lontano da lei.
Sono sempre stato il tipo di persona che non ama andare oltre il limite, ma alle volte capita che ti ci ritrovi senza volerlo. Sai, mi sento abbastanza bene, ma questo non vuol dire molto. Potrei sentirmi molto meglio, se solo tu fossi qui al mio fianco. E' strano come le cose non vadano mai secondo i propri piani.
Sono così lontano da casa.



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