mercoledì 17 luglio 2013

[Recensione] Solo Dio perdona

<<Si è svegliato presto!>> esclameranno le puntigliose malelingue che seguono, in maniera più o meno assidua, il blog, e in particolar modo le recensioni. Infatti, parlo di Solo Dio perdona, uscito nelle sale italiane il 30 maggio, ma approdato al cinema più vicino al sottoscritto solo stasera e solo per un paio di giorni: e, ad ogni modo, non me ne frega molto.
Avendo amato molto Drive, le aspettative per il nuovo film diretto da Refn e interpretato da Gosling erano alte, forse troppo alte. Del resto, vorrei vedere chiunque al mio posto! Come si può non essere preda di facili illusioni cinefile quando un regista danese di talento torna a dirigere il suo attore feticcio americano in una produzione francese totalmente girata e ambientata in Thailandia?
Circa un mese fa inizio a leggere critiche e recensioni: se ne parla prevalentemente male, gli elogi scarseggiano e si respira una certa aria di delusione, confermata anche da chi, pur idolatrando da sempre il cinema di Refn, sembra essersi arreso al nuovo, "complicato" film. 
In tutta sincerità, non capisco come Solo Dio perdona risulti un film "complicato", o difficile da comprendere: a Bangkok (quella vera e non quella da pacchetto turistico all-inclusive cui siamo stati abituati dalle sgradevoli commediole turistico-sessuali americane) Julian (Gosling) e suo fratello Billy (Burke) gestiscono una palestra di thai-boxe e sono ben inseriti nel giro delle scommesse e della droga. Billy, purtroppo, ha il vizio di trattare male le donne e una notte stupra e uccide una sedicenne. Si innesca così un meccanismo di vendetta che vede, da una parte, l'anziano ispettore in pensione Chang (Pansringram) nei panni dell'angelo vendicatore, e dall'altra, Julian, costretto ad assecondare i desideri della cattivissima madre (un'eccelsa Christine Scott-Thomas).
Il film è questo. Si regge su tre personaggi e quattro dialoghi. Il silenzio domina incontrastato, ma non sempre Refn dimostra di saper gestire un espediente così tipicamente scandinavo: ci sono delle sequenze in cui il mutismo funziona benissimo (alcune visioni di Julian nel bordello, il combattimento), e altre in cui è solo una sterile scusa per nascondere o forse giustificare gli enormi buchi caratteriali dei personaggi. E anche la regia- che in Drive era solidamente impeccabile -cade a più riprese nella trappola del manierismo: che si tratti di emulare gli orientali (le citazioni vanno da Ozu a Woo) o gli occidentali, Refn non inventa nulla, neanche nella scelta di una determinata luce o di una certa inquadratura. Perfino Cliff Martinez (nuovamente autore della colonna sonora) sembra essersi sforzato troppo, tant'è che si ha come l'impressione di ascoltare, per buona parte, gli scarti dalla colonna sonora di Drive. E poi tutta questa simbologia: Caino e Abele? Oriente contro Occidente? L'onore e il rispetto? Mah...
Alla fine, "troppa carne al fuoco" mi sembra il miglior modo di condensare il mio pensiero su questo film.
P.S.: apro una micro-parentesi sessista e racconto di come fossi uno dei pochissimi uomini presenti in sala; il pubblico era infatti composto essenzialmente da donne di età compresa fra i 15 e i 60, che sembravano molto poco interessate a quanto accadeva nel film e si coprivano gli occhi sulle crude scene violente per poi spalancarli, con lunghi sospiri, ogni volta che Gosling- due espressioni e tre vestiti -appariva sullo schermo. 

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