mercoledì 21 novembre 2012

Il casolare [Trame]

PREMESSA

A neanche un mese dalla pubblicazione qui sul blog di Risvegli di altri tempi, ho deciso di postare un racconto piuttosto lungo, nato da una costola di una sceneggiatura scritta di getto nel 2009. L'unica cosa che non ho mai sopportato di questa storia è il titolo: lo odio, semplicemente. 
Buona lettura.

IL CASOLARE

Nella nuda foschia di un comune giorno invernale, un casolare di campagna veniva circondato da un bel giardino e da ampi cipressi. Dio osservava dall'alto- ovviamente -e si avvicinava lentamente alla Terra. Nessuna musica di sottofondo, solo qualche rumore della natura.
Mise a fuoco la porta di ingresso del casolare, contornandola con una lieve luce d'inverno e separandola dal vuoto totale intorno; gli apparve l'ultimo lembo di terra sopravvissuto a chissà quale catastrofe.
La porta si aprì, e quatto giovani atleti uscirono con passo di corsa, voltando l'angolo dell'abitazione, lasciando l'ingresso aperto. Da lì uscì una ragazza sulla ventina, non molto magra, e si sedette. Era in tuta e portava spessi occhiali da vista; se li tolse e ne osservò, con molta calma, le lenti, per poi riporli delicatamente sul suo naso irregolare. Tirò fuori dalla tasca dei calzoni un pacchetto di sigarette, e, accesene una, iniziò a contemplare quanto vago apparisse il mondo in quell'istante. Trasalì segretamente nell'udire un rumore di passi; socchiuse lentamente la bocca, un po' stupita; buttò fuori il fumo con più velocità rispetto a quanto avesse fatto prima. Sopraggiunse, un ragazzo, anche lui poco più che adolescente. Ora erano insieme, Martina e Fabio, ed ella fu la prima a parlare:
- Oh, tu?!
- Oh, io?!...
Martina sorrise e lo invitò a sedersi.
-Ne vuoi una?- gli chiese porgendo il pacchetto di sigarette.
- No, grazie, ho le mie.- replicò Fabio estraendo una confezione un po' più rovinata dalla tasca della sua pesante giacca a vento.
Poteva essere un momento imbarazzante, ma la giovane sembrò venire al sodo con un deciso:
- Come va?
Fabio sbuffò un: - Come deve andare?
- Oh, non so... non ci sono io al posto tuo...- rispose (fintamente stupita) Martina.
- Prega di non trovartici mai.- disse alzando lievemente la voce e lasciando che, sul volto, gli si dipingesse un sarcastico sorriso.
-La tua autocommiserazione mi fa rabbia!- inveì scocciata -Credi di essere l'unico... - al che Fabio alzò la mano e aspirò una lunga boccata.
- Non aggiungere altro! Ti reputo una persona abbastanza intelligente, quindi non uscirtene con frasi scontate e retoriche, grazie.
Martina parve mortificata e abbassò la testa:- Hai ragione, scusa. Però mi sembra incredibile che tu ancora non te...- ma non riuscì a finire neanche questa frase.
-Ho detto basta! Non ti devi preoccupare per me, non credo che morirò per questo, è solo che non sono più vivo dentro.
La ragazza spense la sigaretta, capendo che, per l'amico, c'era ben poco da fare.
- Lei è qui?- domandò lui.
Pausa. Martina ostentò timore nel rispondere alla domanda di Fabio; respirò profondamente prima di aprire nuovamente la bocca. Il tempo sembrò essersi fermato, oppure era il loro modo di vivere che aveva subito una brusca frenata.
- Dovrebbe essere dentro, sì. Ma, ti prego, non creare confusione, proprio ora...- al che fu nuovamente interrotta.
- Come sta?
La ragazza mandò gli occhi in alto e affermò: - Ha voglia...di evadere.
- Ne ha sempre avuta: ama evadere. Evade e lascia in catene chi l'ha aiutata nell'evasione. E' ingiusto, ma, in fin dei conti, che cosa è giusto a questo mondo?
Martina apparve visibilmente disturbata da questa conversazione e angosciata dall'ultima frase pronunciata dall'amico; iniziò ad essere dominata da una forte volontà di andarsene, e Fabio avvertì questo suo progressivo cambiamento.
- Vai pure, se vuoi. Vai, vai...
- Scusa...- rispose lei, quasi piangendo.
- Puoi andare, se vuoi:non sei mia prigioniera.
- No, questo lo so. E' solo che non so come poterti aiutare...
- Nessuno ti ha chiesto di aiutarmi!- replicò Fabio, contribuendo a dare un tono meno pacato alla situazione e assumendo tratti somatici sempre più aggressivi.
- Tutti hanno bisogno di essere aiutati.
- Stronzate!
- Secondo me, è così.
- Ma se neanche sai essere d'aiuto a te stessa!
Con questa ulteriore, estrema declamazione, Fabio sembrava essersi indirizzato definitivamente sulla tortuosa strada dell'offesa. Infatti, Martina si alzò in piedi e,rimanendo davanti alla porta, in un atteggiamento alquanto statuario, iniziò a parlare contro il ragazzo, indicandolo col dito:
- Non ti permettere! Sono qui per ascoltare le tue ragioni, ma non le tue bugie o anche peggio le tue insinuazioni! Capito, brutto stronzo?
Fabio rideva istericamente e ascoltava questa sua amica grassoccia e dai modi sgraziati mettere insieme simili discorsi. Il suo era veramente un atteggiamento irritante. Poi, dal nulla, si pose un freno e si calmò chiedendole scusa.
- Non volevo riferirmi a te con quel discorso sull'aiutare: è solo che io sono convinto- e si accese un'altra sigaretta -che nessun essere vivente sappia essere d'aiuto a se stesso. Nessuno vuole accudire se stesso, perché è comunque come badare ad un'altra persona, forse a qualcuno che addirittura odiamo, dal momento che ce lo sentiamo dentro, ad albergare tranquillamente dentro di noi, negli angoli più reconditi della nostra anima.
Martina recepì questo sconvolgente messaggio e, con un ultimo e disperato tentativo, gli chiese:
- Ma tu non credi di avere Dio dentro?
Fabio sorrise di nuovo e disse:
- Magari è passato, ma temo che si sia messo paura! Peccato: in giorni come questi avrebbe potuto far comodo.
La ragazza scosse la testa, disturbata dalla battuta del giovane miscredente, e cercò di tornare al discorso precedente.
- E dunque per te non è possibile stare tranquillo, da solo, perché hai da odiare il tuo interno?
- Brava! Poi a me non interessa lo “stare tranquillo”, ma non posso dire di conoscere la solitudine, lo stare solo. Nella solitudine, anche se ce la imponiamo allontanandoci dalla società civile, si finisce con l'incontrare Noi Stessi, entità che non si possono vedere, ma che si fanno sentire, che hanno una vita. E così ricerchiamo qualcuno con cui trascorrere la vita, qualcuno che sia in grado di tamponare lo spazio e il tempo che ci dividono proprio da Noi Stessi.
Un po' contorto forse come discorso, ma Martina sembrava averlo afferrato, sebbene non vi si rispecchiasse.
- E tu eri convinto di aver trovato tutto questo?
- Oh, io mi ero voluto spingere oltre!- proseguì -Credevo addirittura di aver trovato la felicità! Come se amore e felicità coincidessero!- rideva divertito -La fine dell'infelicità, forse, è ciò che dobbiamo ricercare grazie all'amore, non la felicità. Quella va lasciata a chi nella vita si è sempre sentito a disagio, a chi vuol farsi prendere per il culo dall'esistenza.
- Cosa c'entra il farsi prendere per il culo dalla vita con l'essere felici?!- replicò lei, nuovamente scocciata.
Fabio batté le mani, creando un rumore che spezzò in due la pesante aria invernale che gravava sul portone del casolare, e parlò:
- Una persona felice si muove con gioia, parla con gioia, pensa con gioia, agisce con gioia, prova sentimenti di gioia e tesse rapporti sociali con persone gioiose perlopiù come lei. Ma poi, un giorno, arriva la Vita, che la coglie alle spalle e le dice che è giunta la sua ora. La felicità finisce con la sua morte e la vita, portata avanti nel modo sbagliato, si prende così la sua rivincita spezzandole il cuore. Pensa te, Marti, una persona che ha sempre vissuto gioiosamente quanto può morire disperata, quanto può temere la Morte.
Martina era stata investita da un'onta di turbamento inaspettata, e tentò di concludere la conversazione nel modo migliore.
- Sai, ti ho sempre ritenuto una di quelle persone che mi bastava guardare o sentir parlare per mettermi a piangere: ciò che hai appena detto è terribile.
- La verità sa essere terribile, mia cara amica.
- Già, a volte me ne dimentico.
Fabio sorrise, stavolta senza sarcasmo, e disse: - Non sei l'unica.
Ella si alzò e aprì ulteriormente il portone; l'amico era rimasto a sedere e la guardava, comodamente seduto sugli alti scalini di pietra.
- Ora io devo veramente andare. Se vuoi restare, chiedi a Suor Caterina di farti mostrare il dormitorio e la mensa. Della palestra non ti parlo neanche, tanto so bene come la pensi su qualsiasi attività che riguardi il fisico.
- Anche tu sei una “palestrata”?- chiese lui, divertito.
- Io non sono niente.
Era una risposta grave, ma fu pronunciata con un sorriso talmente sincero disegnato su quel viso rotondo da farla sembrare quasi rassicurante.
- Meglio, così diventerai qualche cosa o qualcuno.
Martina non se la sentì di ribattere in quel momento.
- Ciao.
- Ciao, Marti.

Dio, a quel punto, volle che il Silenzio fosse l'unico compagno di Fabio. Il portone era rimasto socchiuso, il giovane fissava il vuoto con un impegno maniacale, muovendo lentamente un sopracciglio e le labbra. Si alzò in piedi e, resosi conto che la sua testa sembrava incredibilmente vuota e leggera, fece il suo ingresso nel casolare. Procedette con passo lento lungo il corridoio del piano terra. Le stanze assumevano, agli occhi di Fabio, le sembianze di remote e misteriose spelonche; vi intravedeva sì delle figure umane, ma al contempo sentiva che, se mai Dio fosse passato di là, non sarebbe mai entrato in quelle camere. I quattro atleti lo allontanarono dai suoi pensieri: si strinse verso il muro e li fece passare. Andavano sempre di corsa. Una porta socchiusa, che lasciava intuire la presenza della luce all'interno di un'altra stanza, attirò la sua attenzione. All'improvviso egli sembrò vedersi come in un'immagine ottenuta con l'autoscatto: abbattuto, spaventato, timoroso; la sua mano tremava sulla maniglia, che venne aperta, anche se in modo esitante.
I suoi occhi furono subito riempiti da un mobilio bello, intimo, dai tratti malinconici. Si muoveva con il rispetto con cui molti credenti si spostano in chiesa, osservando alcuni oggetti quasi volesse adorarli: un pupazzo di una papera, un posacenere non molto pieno su cui era stata lasciata una sigaretta accesa, dei fiori messi in un vaso grigio. Una ragazza stava seduta su una sedia vicina alla finestra e dava le spalle al mondo esterno. Egli conosceva bene quella persona, nei cui occhi si era specchiato in un milione di occasioni in passato, eppure era come se la incontrasse per la prima volta. Fu travolto da un'ondata di muta e rigorosa bellezza.
- Che cosa ci fai qui?- disse ella né stupita, né disturbata, né intimorita.
- Io non ci voglio stare qui.
- Nessuno ti ha obbligato a venire.
Fabio venne avanti.
- La tua è una replica banale: non rispecchia ciò che sei veramente. Se può esserti d'aiuto, sono venuto qui per caso, non pensavo di trovarti, soprattutto qui, in questa camera, e oggi, in questo giorno.
Maria lo fissò negli occhi, poi voltò lentamente la testa verso un calendario, guardò che giorno era e ripose lo sguardo sul giovane, mostrandosi abbattuta.
- Neanche qui riusciamo ad aver pace, io e te.
- Oh, mia cara- era nuovamente sarcastico -, io e te in nessun luogo sulla terra siamo riusciti ad avere pace. In noi l'amore ha trovato un campo di battaglia, ma è una guerra che rimpiangeremo la nostra.- disse sedendosi sul bordo di un piccolo letto.
- Non posso nasconderti certe nostalgie, ed è inutile tenerti segreto qualcosa. Eppure...- e qui si interruppe per pochi secondi, ma a Fabio sembrarono giorni, tant'è che, stizzito, la invitò a proseguire:
- Eppure?
- Eppure sento che il sogno è finito!
- I sogni o sono passati, o non finiscono mai.
- Sì, ma è il passato che si trascina fino a noi, fino a me. Tu stesso sei il passato! Questa stanza pulsa di una forza che appartiene ad una vita passata.
Il dialogo si intensificò, in un crescendo senza tregua.
- Perché tornarvi, allora?
- Perché speravo che qui avrei fatto i conti con tutto, anche con me stessa. Questo luogo è stato l'inizio per noi: ecco, io volevo che potesse essere anche la fine, e un nuovo inizio.
- Un nuovo inizio per cosa?- chiese il giovane, mostrandosi già innervosito e cupo in volto.
- Per una vita diversa da quella fatta con te. Per un nuovo lavoro, delle nuove passioni, un nuovo uomo.
Quest'ultimo punto sul “nuovo uomo” aveva scosso, pur nella sua semplicità, l'animo di Fabio, che comunque non perse il controllo e continuò con le sue insistenti, folli domande.
- E tu pensi di riuscire a cambiare vita senza rinunciare a te stessa?
- Vorrei provarci.
- Non ti riuscirà mai: è impossibile per chiunque! Figuriamoci se tu, che con enormi difficoltà sei sempre riuscita ad accettarti per ciò che sei veramente, potrai mai riuscire a condividere l'esistenza con una nuova e diversa versione di te stessa. Stronzate!
Era esploso.
- Non sono stronzate! E se questa versione di me fosse migliore? Se venissi fuori come una persona più sicura, che cerca di pensare meno a complicarsi la vita? Un'esistenza senza seghe mentali: oddio, è un miraggio dopo aver conosciuto uno come te!- concluse ridacchiando istericamente. Il giovane, dal canto suo, iniziava a tremare, era scosso da brividi profondi che tornavano a declamare la sua insicurezza.
- Ma non sarà una versione migliore: certo, potrà comprendere sicurezza, felicità, amore...ma saranno tutti sentimenti superficiali, inutili, fini a se stessi. Non esistono mai cambiamenti in meglio, specie se si parla di sé. E poi la vita ti verrà a ricercare, farà in modo che succeda qualcosa che metta a nudo nuovamente la tua psicologia mutilata, la tua disperazione emotiva, il tuo caotico modo di accettare il mondo.
Nel parlare, Fabio aveva riacquistato un po' di decisione retorica; tuttavia, Maria sembrava intenzionata a rivolgere le più intricate domande al ragazzo che un tempo aveva amato.
- Tu dici che la felicità non è nel mio destino?
- Fregatene della felicità! Non la si ottiene dal nulla. Pensa piuttosto a crearti le premesse per riceverla...
- Tu dici che la felicità non è nel mio destino?- ripeté, insistendo con toni decisamente aspri.
- Ecco, io mi baso su ciò che mi hai sempre detto. Ricordo, ad esempio, che da sempre desideri tornare ad essere terra, polvere; ma è un desiderio che non hai raccontato molto neanche a te stessa, secondo me.
Si accorse di aver colpito nel profondo.
- Come mai?
- Magari ora non staremmo parlando in una camera di un casolare se tu avessi ricercato con ogni mezzo di far divenire questo desiderio realtà- fece seguire una breve pausa per lasciare che Maria metabolizzasse questa sottile battuta iniziale- E poi tutti i racconti che mi hai fatto su quando, da piccola, dietro ad ogni gioia apparente si nascondeva per te l'ombra del male, della Morte, dell'ignoto. Ricordi queste cose o sono solo frutto della mia fantasia allucinata e malata? Dimmelo tu!
Vennero le lacrime a conquistare i suoi occhi, mentre rispondeva.
- Sono vere, te le ho dette davvero, le ho pensate per tutta una vita e temo che, dentro di me, continuerò a pensarle.
Seguì un minuto di silenzio. La discussione sembrava potesse concludersi lì, ma Fabio fu richiamato all'attenzione da un'immagine che era appesa alla parete sopra il letto. La riproduzione di un quadro di Pollock.
- Guarda quell'immagine: sembra un ammasso di nervi e nodi che si imprime sui pensieri; immagino che il tuo cervello, dentro, abbia quell'aspetto.
- Temo di sì.
Fabio capì di aver aperto un nuovo lato della conversazione: - Perché lo temi?
- Perché ciò che ha dipinto Pollock mi impedirà di condurre un'esistenza normale, anche se tenterò di cancellare quel quadro dalla mia vita, dalla mia mente.
- Sai qual'è il bello?- le chiese lui.
- Quale?
Egli accese due sigarette, poi gliene porse una a lei, tirò un sospiro e, guardandola come se quello che stava per dire non lo avrebbe più sentito, rispose:
- Il bello è che io sto bene con te perché ti ritengo completa. Un quadro come quello di Pollock potrebbe essere l'opera d'arte più completa di tutte, perché non gode né di unità né di forma, eppure chiunque potrebbe vedervi dentro tutto e niente: ed è questo che la rende completa, la possibilità di contenere tutto ciò che una persona che visita una galleria d'arte vuole vedere in quel momento. Ecco, tu sei così per me: in quella vasta galleria che è la vita vedo nel tuo essere tutto quello che voglio vedere, una perfezione che non può essere rappresentata, ma solo avvertita. Ed è per questo che io non posso vivere senza di te. Non mi bastano il tempo e i sentimenti che mi hai dedicato, anche perché mi pare di intravedere cose incompiute nella mia vita, belle e brutte. Se la nostra deve essere un'esistenza di sofferenze, allora dobbiamo godere insieme di questo dolore.
Maria era sbalordita, ma, senza saper neanche lei come, volle invitare a riflettere il giovane:
- Non ti interessa conoscere una vita di piacere?- al che Fabio sorrise.
- Mia cara, il “piacere” è un ospite tanto desiderato quanto temuto nelle nostre esistenze, un qualcosa di cui si può fare a meno per vivere, altrimenti né io né tu saremmo mai venuti al mondo.
- Non eri obbligato a venire fuori!- disse ella seccata.
- Già, ma neanche me lo hanno chiesto- controbatté il ragazzo sicuro di sé.
Calò il silenzio. Maria non aveva scoperto niente di nuovo di se stessa, ma aveva visto certe cose sotto una luce diversa da quella cui era abituata da quando non passava più del tempo insieme a Fabio; questi, invece, capì che era giunto il momento di porre la domanda fondamentale, tanto semplice, quanto pericolosa.
- Potresti dirmi come mai mi hai lasciato?
Quella splendida giovane socchiuse le palpebre, poi si asciugò gli occhi e riconobbe di dover dire, a quel punto, tutta la verità. Era una cosa che forse aveva sempre un po' evitato, ma, come lo stesso Fabio aveva ricordato precedentemente, la vita era venuta a cercarla, e la vita esige sempre delle risposte sincere.
- Ti ho lasciato perché ti reputavo troppo perfetto, ma di una perfezione che a tratti sembrava quasi ferirmi. Se io seminavo male, tu sembravi raccoglierlo; lo facevi per amore, senza dubbio, ma questo incuteva timore in me. Mi riusciva di aprirmi fino in fondo con te, di andare oltre, di scoprire cose sul mio conto che l'anima sembrava volermi tenere nascoste, e tu riuscivi a tirarle fuori, talvolta a capirle. Il problema, Fabio, è che io queste cose non le voglio scoprire. So quanto è importante guardare dentro noi stessi, ma a volte è bene evitare, e condurre una vita di ignoranza che però ti impedisca di scoprire quanto Male comprende il nostro essere, quanti dolorosi e cattivi pensieri siano in agguato nella nostra mente. Un mondo visto come lo vedi tu, come potrei vederlo anch'io, è chiaramente un mondo che chiude le porte a tutta una serie di cose piacevoli: gioia, amore, speranza vengono tutte spazzate via.
Fabio avvertì, per la prima volta da quando era lì, lo spirito della soddisfazione venirlo a trovare.
- Lo so che è doloroso, perché in questo siamo identici: ma, credimi, è meglio rendersi conto da soli di tutto questo che aspettare che la vita te lo presenti in maniera violenta e del tutto inaspettata.
- E questo è giusto, ma vedi, io temo di non avere questa missione nella vita.
- In che senso?
- Nel senso che la ricerca di questo Male, così meschino ma così reale, non è per forza il mio obbiettivo.
Era un discorso semplice, ma Fabio non voleva capacitarsi di questa disperata semplicità, riducendosi a pronunciare un laconico:
- Ma neanche il mio!
- Sì, lo so. E' solo che, accanto a te, tutto sembra indirizzato verso questa ricerca così estrema e complessa, e proprio per questo non sei tu l'uomo che mi farà raggiungere i miei obbiettivi, perché mi sentirò sempre legata più a ciò che rappresenti che a te come singolo individuo.
Il ragazzo aveva un quadro chiaro, anche troppo chiaro.
- Questo, insomma, è il tuo motivo?
- Almeno una parte, quella che ho cercato di esporti meglio che ho potuto.
Fabio annuì con la testa ed emise un risolino irrequieto, di quelli che albergano dentro la gente per chissà quanti anni e aspettano solo rare occasioni per fare capolino, manco fossero folletti dei boschi.
- Oh, ci sei riuscita, stai pure tranquilla!

Fabio non aveva ancora realizzato gli ultimi istanti della sua vita, la conversazione, Maria che era uscita dalla stanza coprendosi il volto, senza neanche salutarlo. Sollevò lo sguardo e vide Martina immobile, sull'uscio. Era triste, ma trovò la forza di sorridere all'amica.
- E' sempre valida quell'offerta molto gentile di una sigaretta?
- Sicuro! Tieni.- disse porgendogli il pacchetto -Hai risolto niente?
- Non dovevo risolvere niente: mi basta la vita come enigma da risolvere. Dovevo solo ottenere dei chiarimenti.
- Capisco.
Adesso sorridevano entrambi; si fissavano e buttavano fuori il fumo a nuvolette. Fabio poi abbassò lentamente lo sguardo. Era tornato alla realtà.
- Sicuro di sentirti bene?
- Quando mai mi hai visto stare bene?
- Hai ragione anche te.- disse Martina schioccando le dita della mano sinistra.
- Volevo chiederti, Marti, di quegli atleti che corrono sempre e ovunque. Chi sono quei ragazzi? Li alleni te?
La ragazza sgranò gli occhi, si tolse gli occhiali e, mordicchiando una stanghetta, rispose:
- Non so di chi parli, Fabio. Non ricordo di aver visto dei ragazzi vestiti da atleti a giro per il nostro casolare.
- Ma dai! Ti dico che sono quattro ragazzi che hanno una tuta come la tua e si spostano correndo. Prima li ho incrociati in corridoio!
- Sei certo di non averli sognati?
- Cazzo, Marti! Ti dico che li ho visti prima nel corridoio: saranno veri, no?!- sbottò, agitandosi. Non sapeva se essere impaurito e meravigliato, ma, dal momento in cui nulla più al mondo lo meravigliava, gli rimaneva solo la paura.
- Sicuramente. Solo che non ricordo di aver visto dei giovani atleti da che sono qui a lavorare.

Fabio attese che la sua amica scomparisse nell'oscurità del corridoio per avanzare verso una finestrella: meravigliato, osservò passare nuovamente quei quattro ragazzi, che nel correre si incrociarono proprio con Martina, la quale stava passeggiando con la consueta cicca in bocca e le mani in tasca; infine, gli apparve davanti Maria, intenta a cogliere dei fiori. Un ultimo sguardo, dopodiché il giovane si portò una sigaretta alle labbra e la accese.
- Non si può fumare qui.- disse una voce femminile da adolescente. Fabio si voltò e notò una giovane suora che lo fissava. Peccato che sia una suora pensò.
- Ah, mi scusi.- replicò il ragazzo, e, aperta la piccola finestra, gettò fuori la sigaretta. La suora aveva occhi freddi e severi, le lentiggini sotto gli occhi e le sopracciglia lunghe. Era un volto che Fabio, a primo impatto, non sopportava, ma, osservandolo meglio, arrivava a vette di ammirazione esasperante.
Non voglio la carità da lei, anche perché ci ho sempre creduto poco. E poi cosa ne saprà lei di anime grate, di gratitudine? La sto osservando e non vedo in lei carità, gratitudine, piacere di dare e amore verso Dio, al massimo avverto la bellezza, ma è una bellezza sopita, tenuta a freno. Vedo il volto di una ragazzina cresciuta in un paese piccolo, sorto intorno ad una squallida parrocchia, con una famiglia in cui il padre era tutto contento di menare cinghiate sulla figlia e poi correva a dire le preghiere la domenica. Vedo dei sogni non realizzati e dei pesanti fardelli, segni di una ribellione interna che non è mai sfociata in nulla di concreto. Vedo una fantasia otturata dalla religione, da una religione marcia, imposta, fasulla. E chissà, infine, quanti amori si sarà vista strappare dal suo adorato Dio.
Pensò queste cose tutte insieme, osservando quella suora meravigliosa. Poi se ne andarono, lei a pregare il suo Dio, lui a fare in modo che anche in quel giorno, comunque andassero le cose, riuscisse a celebrare la sua messa.
Seduto su una panchina, Fabio meditava su cos'altro poteva aspettarsi da quel posto, da quel casolare attorno al quale tante vite sembravano essere girate nel corso del tempo.
Oggi non ho fatto un salto nel mondo dei ricordi, ma solo una passeggiata nel regno dei morti. Peccato che non avevo con me abbastanza spiccioli per il traghettatore. Non sono venuto neanche a riprendermi ciò che è stato mio, specie perché non è nel mio stile fare cose di questo tipo. Sai, speravo che tornando qui avrei risolto molti problemi, anche con me stesso, e invece mi sono rivisto passare davanti i paesaggi di una vita di errori, punizioni, malefatte e tristezza. Di peggio non poteva accadere. So bene che sono ormai ricordi, eventi passati, ma sono anche la dimostrazione che io vivo, e che nulla sulla terra può esistere per annientare ciò che ho fatto. Non so se ricorderò tutto anche di questo giorno, però qualcosa in me resterà. Ed è giusto così. Perfino Maria mi è apparsa come un'estranea in certi momenti. Una persona che mi ha amato tanto in passato, oggi era davanti a me a tremare, quasi fossimo due esseri che si odiano e si sbranano; so che non è così, però vien da pensare che siam per forza figli dell'odio, se tanto rabbrividiamo quando arriva l'amore. In ogni caso, io al casolare sto bene, con o senza la donna che amo. E' un luogo che mi ha regalato idee profonde sulle proporzioni e i colori della vita, senza voler chiedermi nulla in cambio. In un mondo come quello di oggi sembra una follia il fatto che si possa ottenere qualcosa generosamente, senza dover rendere il favore. Non credo che esista altrove un posto del genere, o meglio, non esiste per me. Questo è l'ultima scorza di mondo,almeno del mio. Oltre non c'è nulla, se non una dimensione mutata, scandalosa, dove la mia personalità verrebbe ribaltata, distrutta e ricomposta a piacimento di altri. Tanti hanno avuto ragione nel dirmi che era rischioso fondare un'intera vita sull'illusione, ma a me quest'illusione ha regalato anche piacere, non solo sofferenza. So che se un giorno mi sveglierò dal mio sogno, mi ritroverò in una realtà che non mi sarei mai sognato.
Il flusso di pensieri fu bruscamente interrotto da Martina, che, vedendo l'amico allontanarsi verso il bosco confinante col casolare, gli chiese:
- Fabio, dove vai?
- Vado a farmi altri due passi nel regno delle tenebre.- rispose il giovane con un tono di voce talmente euforico che a lei parve preoccupante.
Era il tramonto e Dio non sembrava far scendere il sole con molta fretta, preferendo osservare Fabio battere un sentiero che costeggiava un bosco tanto oscuro quanto affascinante. Il ragazzo era tornato a sentirsi la testa leggera e fece caso al suo strano modo di aprire particolarmente verso sinistra il piede destro, nel movimento della camminata. Fu un pensiero che lo tenne occupato per poco tempo, giacché udì una voce farsi sempre più vicina e un odore di fuoco acceso. Eliminò subito la possibilità di un incendio, ma decise di dirigersi verso una radura da cui provenivano la luce e i rumori.
Intorno ad un falò vide quei quattro giovani atleti, che al contrario del solito, sembravano essersi dimenticati di correre; egli si mise dietro un cespuglio, ascoltando gli ultimi canti che gli uccelli avrebbero modulato quel giorno, e osservò quei ragazzi. Si accorse di quanto fossero belli, sia nel fisico slanciato che nei nobili lineamenti del volto; la luce del fuoco, fra l'altro, sembrava solo amplificare quella loro bellezza irreale. Uno di essi leggeva da un libro, gli altri ascoltavano. Fabio fu scosso solo dall'ultima frase pronunciata dal giovane; questa fu l'ultima cosa che sentì: “Per proteggersi, disperse la congiura, confondendo le lingue e le menti, tanto che se due uomini s'incontravano non potevano più comprendersi, pur parlando la stessa lingua”.





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