venerdì 2 ottobre 2015

Don Henley, "Cass County" [Suggestioni uditive]

Don Henley,
Cass County
(Capitol Records, 2015)















Entrare in un supermercato e ascoltare Hotel California (oltretutto, in una deflagrante radio edit di tre minuti e cinque secondi) non basta a dare per scontato che la poetica degli Eagles (e dunque di Don Henley) sia stata necessariamente digerita, assimilata e rivomitata dalla pop-culture. E' così oggi e deve essere stato così anche trentanove anni fa, quando uscirono singolo e album omonimi. Inutile scomporsi. Del resto, si sa, Hotel California è soltanto l'apice della produzione degli Eagles: prima di lui, tre dischi bellissimi e quella che ritengo la loro canzone più bella (Desperado, altrochè Hotel California!); dopo di lui, The Long Run (1979), testimonianza fedele di una mitomania consumata senza freni, malamente musicata e orrendamente prodotta e che avrebbe sancito lo scioglimento del gruppo. 
Ma Don Henley- texano, classe 1947, batterista dotato di una voce con cui può fare tutto ciò che desidera -incassa il colpo magnificamente e abbraccia con dedizione la carriera solista. Già nel 1982 pubblica l'accomodante I Can't Stand Still, disco di cantautorato mainstream che la Asylum Records consegna direttamente al macello della programmazione regolare. Poi passa alla Geffen, ed escono i suoi due capolavori: Building The Perfect Beast (1984) e The End Of Innocence (1989). Per tutti gli anni Ottanta e buona parte dei novanta (almeno fino al 1994, anno della reunion degli Eagles), Henley svolge, onestamente, il mestiere della rockstar. Dà titoli ai suoi tour, prenota stadi, vende dischi, scrive canzoni per terzi, compare sugli album di amici e colleghi. I quindici anni che intercorrono fra questo periodo  di immenso successo e l'intimismo, artisticamente melenso e commercialmente fallimentare, di Inside Job (2000) sono molto diversi da quelli che ci conducono oggi a Cass County.
Sin dall'incipit di Bramble Rose, cantata con Mick Jagger e con la giovane Miranda Lambert, è possibile evincere che non siamo di fronte ad un disco ampolloso o alla moda, nè tantomeno ci ritroviamo fra le mani un revival album dove Henley riabbraccia i suoni della sua fortunata new-wave. Anzi, queste dodici canzoni (anche se ne sono state incise in tutto diciotto) a tutto sembrano mirare fuorchè a tournè epiche e prestazioni da megagruppi. Cass County (contea dove il cantante degli Eagles è nato e si è avvicinato alla musica) è un disco che travalica la California degli Eagles, si riappropria di suoni e poesie texane e sboccia, definitivamente, a Nashville. La voce di Henley è fresca e riposata, i suoni sono perfetti, liberi da orpelli, pronunciamenti e vanità di ogni sorta. The Cost Of Living, un duetto con Merle Haggard, e Take A Picture Of This sembrano azzerare gli oltre quarant'anni che ci separano da Desperado, capolavoro a cui Henley ammicca a più riprese. Evitabili, sebbene suonate benissimo, Waiting Tables e No, Thank You: momenti troppo leggeri e "saloonistici" per un disco che, quando affronta il passato, lo fa con profondità e convinzione. L'intro di pedal steel di Praying For Rain inaugura la ballata più bella del disco, una pista di terra battuta attraverso la quale Don Henley passa come attraverso un varco che conduce ad un mondo parallelo, ad un'altra faccia dell'America. Words Can Break Your Heart e la possente e solenne That Old Flame (cantata assieme alla bella voce di Martina McBride) anticipano When I Stop Dreaming, altro momento troppo Radio America e troppo vicino ai diktat imperanti del country di Nashville che vede la collaborazione con Dolly Parton. Alla mediocrità risponde però Train In The Distance, uno dei momenti più selvaggi e suggestivi di tutto Cass County: sarò di parte, ma vista anche la presenza della signora Lucinda Williams, me la sento di dire che qui l'album tocca il suo apice. Ascoltandola torna in mente quello che disse John Fahey dopo aver visto in concerto Hank Williams: "le cose che accadono in queste canzoni non hanno causa, è come se piombassero giù dal cielo". Il breve e concludente passaggio rock di Where I Am Now diverte e chiude senza infamia e senza lode un disco che di lodi ne meriterebbe parecchie e che riconferma la grandezza di un rocker di primo ordine, un po' sparito dalle scene, certamente, ma ancora in grado di cantare, raccontare e commuovere.

Nessun commento:

Posta un commento