venerdì 15 febbraio 2013

[Recensione] Die Hard- Un buon giorno per morire

Se Die Hard- Un buon giorno per morire è da un lato un action-movie a sfondo spionistico difettosissimo nei contenuti e nei personaggi (cattivi mentalmente ritardati, un McLane Jr. inutile "quanto un buco di culo sul gomito" e agenti CIA che sembrano più adatti al "tombolone" del circolo ARCI che alla vita da uomini d'azione), dall'altro vanta un attore protagonista del calibro di Bruce Willis, che da bravo vecchio saggio sa benissimo darsi un freno nelle sequenze di azione più dure ed estreme e ha già annunciato che il sesto capitolo della serie sarà l'ultimo. Ed è qui che sta la "serietà" di un franchising come Die Hard, nel fatto che non diventerà mai un film su dei palestrati rincoglioniti che continuano a darsele di santa ragione anche da vecchi (e chi ha visto I mercenari sa bene di cosa parlo). E poi, scusate, prima di regalare sette e passa euro a quell'infame di Vin Diesel che tira i freni a mano nel nuovo Fast and Furious 6, sarà meglio darli a Bruce Willis, che almeno è un attore, un professionista, uno che, a distanza di venticinque anni esatti, sa ancora vestire i panni di John McLane con classe e disinvoltura. Insomma, Die Hard- Un buon giorno per morire non rimarrà come il miglior film di azione dell'anno, ma vanta un paio di sequenze ottime (l'inseguimento in macchina a Mosca e lo scontro nella sala da ballo abbandonata) a livello di regia. E qui esaurisco quel poco di buono che c'era da dire sul film.
I veri problemi nascono quando si analizzano la trama e i contenuti. Io non so se il regista John Moore (già dietro la macchina da presa in Max Payne) e Skip Woods (lo sceneggiatore) abbiano mai letto un giornale dal 1989 ad oggi. Viene da chiederselo, vista la "nostalgia di Guerra Fredda" imperante nel quinto Die Hard. Da come vengono rappresentati i cattivi a come si comportano i buoni, nel film si respira l'oleosa puzza del peggior cinema anni ottanta: aspetto già di per sè comico, visto che il primo capitolo della saga, Trappola di cristallo, irruppe nel 1988 in tutto il mondo come un action-movie puro ma innovativo- sia nella forma che nei contenuti -rispetto alle varie "rambate" commissionate dai peggiori presidenti U.S.A. di sempre. Trovo ridicolo che l'unico modo per far infuriare un vecchio ma sempre efficace Bruce Willis/ John McLane sia dirgli, con marcato accento sovietico, <<Reagan è morto, americano di merda!>>: battute di questo livello sarebbero risultate di cattivo gusto venticinque anni fa; perchè, allora, riproporle oggi? Moore poteva approfittarne e mostrare la Russia di oggi, quella della mafia, dell'oligarchia, e invece no: le uniche cose che gli interessano della Russia di Putin sono un paio di discoteche frequentate dai Ceceni, un tassista che canta Frank Sinatra e idolatra gli States e le automobili di lusso rubate per tutto il film (i due McLane rubano una Maybach con la facilità con cui un quattordicenne scippa una vecchietta). E poi, tanto per non farsi mancare niente, il finale del film è ambientato a Chernobyl, dentro la vecchia centrale. Addirittura, McLane Jr. tenta anche un discorso a sfondo sociale in questa scena, risultando molto poco credibile ("credibile" è ben più grave di "irreale"). Dulcis in fundo, il vero cattivo del film è l'uomo che, nel 1986, aveva causato di proposito l'incidente alla centrale nucleare, e i McLane devono farlo fuori a tutti i costi. Ci riescono, demolendo l'ex-centrale nucleare (il particolare della stella con falce e martello avvolta dalle fiamme sembra uscito da filmati di propaganda del senatore McCarthy). Padre e figlio si allontanano da Chernobyl con il seguente scambio di battute: 

MC LANE Sr.- Non è che ora ci cresce un terzo braccio?
MC LANE Jr.- Naaa... al massimo perdi i capelli! 

Ora, questa è una foto di uno dei molti bambini "figli di Chernobyl", uno di quelli a cui i capelli, purtroppo, non potranno mai nascere.

Io ne manderei una copia a John Moore.



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