
Anna e Aleksei Karenin vivono a San Pietroburgo, sono sposati da otto anni, hanno un figlio e godono di una posizione di prestigio nell'alta società russa. Tutto va bene fin quando Anna non conosce, ad una stazione ferroviaria, il conte Vronskj, giovane e sregolato ufficiale dell'esercito. Parallelamente, vanno avanti altre due microstorie: da una parte, quella di Stiva, fratello di Anna che ha pensato bene di tradire la moglie con una governante; dall'altra, quella di Levin, giovane e ricco proprietario terriero dai forti ideali socialisti che finirà sposato con la brava Kitty (già promessa al conte Vronskj). Anna e il conte I si amano, ma sono costretti ad una relazione clandestina, visto che nessuno dei due vorrebbe compromettere la propria posizione sociale e Aleksei non concederebbe mai il divorzio ad Anna. Tutto cambia quando lei rimane incinta del giovane soldato e confessa al marito il tradimento. Fra scandali e pietose liti domestiche, Anna partorisce la bambina avuta col conte, e Aleksei dimostra la sua magnanimità dandole il proprio cognome; poco tempo dopo, Anna fugge col conte, lasciando entrambi i figli al marito e attendendo il divorzio. Nonostante abbia finalmente accanto l'uomo che ama, Anna è sempre più gelosa e tormentata: finchè un giorno, convinta che Vrosnkj stia avendo una relazione con una giovane principessa, si butta sotto un treno.
Joe Wright (regista perfetto per questo genere di film) dimostra di averne fatta di strada dai tempi di Orgoglio e pregiudizio e di Espiazione, così come la Knightley continua a crescere e ad allontanarsi (per sua ma anche nostra fortuna) dalla principessa premestruata dei Pirati dei Caraibi, a favore di uno stile sempre più maturo e convincente. Da tempo non vedevo una trasposizione così fortemente personale (e, per certi versi, anti-commerciale), ma Wright dimostra di saper "uscire dall'esterno" e di chiudere il 90% del suo film su un palcoscenico, così come hanno fatto, nella tradizione dei grandi registi inglesi, autori del calibro di Derek Jarman o Peter Greenaway prima di lui. E questo giocare fra film, teatro e realtà finisce col funzionare, tant'è che l'ultima meravigliosa inquadratura mostra un campo fiorito "sfondare" la scena (dunque lo schermo) ed estendersi alla platea, a simboleggiare una fusione quasi totale fra spettacolo e spettatore e a ricordare che forse c'è un po' di Anna Karenina in ognuno di noi e che chiunque è infelice a suo modo.
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