lunedì 19 novembre 2018

Un giorno all'estero [Extra]

La proposta è semplice: partire per Bologna, prelevare i Federichi (non il conio settecentesco prussiano, ma Federico P. e Federico B.) e da lì proseguire alla volta della Repubblica di San Marino. Quale mezzo di locomozione migliore di una Mitsubishi Colt rossa il cui motore emette un suono simile a quello del turbocompressore della Chevrolet 150 di James Taylor e Dennis Wilson in Strada a doppia corsia? Quale pilota migliore del Brune, che guida col suo passo pacato rollando senza sosta tabacco American Spirit blu? Quale giornata migliore del 18 novembre più freddo dal 1861 a oggi? In poco più di un'ora e mezza siamo al ritrovo in via Stalingrado. Il tempo di un caffè periferico e ripartiamo di buona lena, sostenuti dallo score di Jurassic Park firmato John Williams.
La pianura tagliata in due dalla A14 ha un suo selvaggio fascino, non c'è niente da fare. Sulla carta, il mare Adriatico si fa sempre più vicino. Poco prima di Rimini ci lasciamo l'autostrada alle spalle e di lì a poco sconfiniamo. Dogana sembra una città tirata su nel videogioco The Sims e anche i supermercati, le mostre di mobili, i centri massaggi, i concessionari e tutto ciò che costella i bordi della ripida strada che risale il Titano hanno qualcosa di innaturale. In lontananza, sul vicino monte Giove, si scorge, quasi impercettibile nel freddo nebbione, la sagoma di Santarcangelo di Romagna. Arriviamo nella rocca di questo minuscolo stato indipendente da dieci secoli. 
Una tariffa giornaliera di parcheggio ci costa  due euro a testa (meno della metà di ciò che viene imposto da certe scellerate amministrazioni toscane in alcuni pittoreschi borghetti, per dire). Iniziamo a girellare che non sono ancora scoccate le undici. La temperatura non scende sotto il grado zero e supera malvolentieri l'uno. Le ultime resistenti ciocche della mia testaccia di cazzo vengono aggredite dall'umido e mi ritrovo a camminare coi capelli fradici. Non siamo gli unici turisti, ma non c'è neanche una ressa eccessiva. Molti stranieri, forestieri provenienti perlopiù dall'Europa dell'est, o almeno così sembra a giudicare dagli accenti uditi. Una signora, nel camminamento che conduce dalla prima alla seconda torre di guardia, urla al cellulare la preparazione di un particolare genere di polpette di carne. Scatto qualche foto "in salita".

Il paese è tenuto benissimo. Pulito, chiuso al traffico, curato in ogni dettaglio. Certo è che, almeno da principio, i negozi si somigliano tutti: cianfrusaglie "made in China", enoteche specializzate nella vendita di boccette di grappa in vetro dalla inequivocabile forma fallica, profumerie tax-free di vario livello, tabaccai che dispensano stecche delle migliori marche private dell'iva, e, ovviamente, le leggendarie armerie dove una replica da softair di un M16 costa quanto un fine settimana in discoteca. Il Brune, ovviamente, non aspetta altro e studia con meticolosità ogni vetrina di questo genere gli si pari davanti.
 Un'enoteca ci colpisce positivamente per alcune statuette messe in bella mostra all'ingresso. Sulla sinistra, una scimmia indemoniata e alcoolizzata dà fondo a una bottiglia di limoncello, mentre dall'altra parte un drago si preoccupa di bere un assurdo liquore locale a base di fragola. Il colore è quello del Campari Soda. Vedere queste creature abbeverarsi in mezzo a tutto quel freddo fa affiorare in noi delle comprensibili smanie di emulazione. Inizia a piovigginare, quando ripariamo in una fiaschetteria posta in un vicolo poco trafficato e con delle insegne in legno recanti nomi di bevande forse più idonee a un rifugio alpino che non a una cittadina fortificata.
 Vuole il caso che Federico P. abbia una cara amica sammarinese e che sia stata proprio lei a dargli due dritte molto precise sui ristoranti della città ove non incappare in sonore e clamorose inculate. Nessuno ha prenotato, così iniziamo a vagare già dalle 13:00. Il primo, dotato di scala di accesso a un terrazzo panoramico, ci convince comunque poco, e così finiamo al Ritrovo dei Lavoratori, un locale che conserva intatte le sue radici anni '70 sia nel gusto che nell'arredamento. Il ristorante è pieno, ma il gestore ci indica una coppietta che ha appena ordinato il caffè e leverà le tende a breve. Io e Federico B. restiamo in attesa, mentre il Brune e Federico P. tornano nella cittadella alla ricerca di nuovi acquisti. Nel giro di mezz'ora, avremo di fronte una varietà di antipasti della casa a cui faranno seguito risotto ai funghi (per i Federichi), tortelli al tartufo (per il Brune) e i tradizionali cappelletti in brodo (per me). Tutto annacquato dall'obbligato sangiovese di Romagna (lo servono freddo) e accompagnato dalle bestemmie, alle nostre spalle, di un gruppo di avventori intenti a guardare l'ennesima gara di MotoGP dove non ci sarà scampo per il Dottore.
Una signora verace e dai modi di fare in netta contrapposizione a certe fiche di legno nordiche occupanti la sala adiacente a quella dove si trova il nostro tavolo ci offre dei dolcetti e un limoncello notevolmente gradato. Chiediamo il caffè e il conto, che per nostro grande stupore- siamo comunque in uno dei tre migliori ristoranti di San Marino -ammonta a una cifra con cui, nel paesello da cui provengo, ormai può rivelarsi difficoltoso perfino mangiare una pizza. Soddisfatti, usciamo nel mondo freddo e terribile e sincronizziamo gli orologi. Il Brune deve comprare gli ultimi regali. Io, che non colleziono armi né sono solito farne uso, mi metto lo stesso sulle tracce di un coltello Okapi con cui vorrei rimpiazzare il mio storico Opinel. Con mio grande disappunto, nessuna armeria, coltelleria o negozio analogo tiene questi splendidi frutti dell'artigianato sudafricano.
Mentre Federico P. si aggiudica a prezzo concorrenziale confezioni da 100 ml. di profumo Cartier e io butto un occhio se per caso- sia mai -in mezzo all'imperante sovrabbondanza e al cattivo gusto, svettassero dei Persol 714 snodabili, il Brune e Federico B. sostano a un alimentari vicino. Cogliamo in fragrante il Brune che, da dover acquistare due bordolesi locali per il fratello, si è lasciato coinvolgere in una degustazione di assenzio dalla gradazione fantozziana. Sono le 16:30, la strada è relativamente lunga e così ripartiamo a suon di RadioBrune: il 60% Nomadi, un 20% Guccini, e il resto equamente distribuito fra Deep Purple, Zeppelin, Doors e generico AOR datato fra anni '70 e '90. Federico P. piange l'assenza di Country Road di John Denver, Federico B. mostra segni di sonno già al confine italiano. Io reggo, spiego al Brune che Sweet Home Alabama non è una canzone degli Eagles come il file .mp3 che stiamo ascoltando suggerirebbe ma dei Lynyrd Skynyrd e lui replica che "magari" l'originale è degli Eagles e che "questi Lynyrd Skynyrd" si sono limitati a farne una cover di successo. Lo trafiggo con lo sguardo e gli spiego che no, non è così e che, al di là della rispettiva notorietà e importanza, i gruppi agiscono in contesti e generi diversi, che Don Henley o Glenn Frey non avrebbero mai scritto una canzone come Sweet Home Alabama e che l'attribuzione agli Eagles è un errore da imputare esclusivamente al pirata che l'ha caricata sul web in quel modo (lo stesso motivo per cui, da ragazzotti, sia io che Nikke fummo a lungo convinti che Bad to the Bone di George Thorogood si intitolasse Bad to be Bone e portasse la firma degli ZZ Top). La discussione si placa solo quando io scommetto sulla questione un pranzo nel migliore ristorante di Colle, che in questo periodo va proponendo un menù fisso "per giovani" da 125 euro a persona. Il Brune ritira le sue ipotesi e io mi addormento.
Mi risveglio una mezz'ora dopo, col collo dolorante a causa dell'incessante ciondolamento. Siamo alle porte di Bologna. Teniamo d'occhio la giusta uscita per la tangenziale, paghiamo il casello e ci buttiamo verso Stalingrado. I Federichi scendono con piglio assonnato dalla Colt, mentre il Brune mi cede il posto di guida: in serata deve consegnare cinque articoli sportivi in redazione e deve ancora scriverli tutti. Mi sistemo sedile e cintura col chiaro obbiettivo di essere a casa per cena. Sono troppo poco fico per sentirmi Steve McQueen, così mi accontento di emulare Barry Newman in Punto Zero. Il Brune si mette comodo, apre il suo lap-top, telefona ad allenatori e dirigenti di oscure squadre collinari, rocca e soprattutto rolla che è un piacere. La Colt sembra una locomotiva. Nessuna radio, nessuna colonna sonora all'infuori del diabolico motorino giapponese e dei tasti battuti a ripetizione sull'Asus e in un'ora siamo a Firenze Certosa per imboccare l'autopalio. Il Brune conclude il quinto articolo all'altezza di Tavarnelle e tira un sospiro. Io azzardo un <<Paura e Delirio in Autopalio come lo vedi?>>. Parlottiamo di cinema, poi mi sembra di vedere un fulmine in lontananza, ma il cielo è terso, si vedono le stelle, la luna e tutto appare freddo e molto chiaro. E poi tutto finisce quando il telefono squilla, e mia mamma mi chiede <<Come la vuoi la pizza?>>.
(Foto di Federico B.)

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