domenica 13 settembre 2015

Slayer, "Repentless" [Suggestioni uditive]

Slayer,
Repentless
(Nuclear Blast, 2015)















Repentless, l'11esimo album in studio degli Slayer, è arrivato dopo trentaquattro anni di onorata carriera e a ben sei da World Painted Blood. E' uscito l'11 settembre, proprio come toccò, nel fatidico 2001, a God Hates Us All
Repentless è un album bellissimo, tra i migliori del gruppo, qui di nuovo a un passo dal capolavoro: è il disco della maturità, del dolore, della rabbia, ma soprattutto un disco in grado di narrare le storie del vero trash metal che affonda con tutto il suo  carico umano di speranze e delusioni, come spesso accade nella vita. Parla di rovina, di decadenza e della cattiveria della società, del crollo della lealtà e di tutti quei simboli che portano al termine delle speranze.  Si sa dai tempi di Reign In Blood: per gli Slayer, ogni cosa si paga col sangue, anche col sangue di qualcun altro. Il grande libro del metallo pesante è pieno di storie su amicizie che finiscono in tragedia pura, omicidi spietati e perfino suicidi. Su dodici tracce, solo Piano Wire è scritta da Jeff Hanneman, scomparso nel 2013 per cirrosi epatica. La sua morte è una delle colonne tematiche principali su cui il gruppo ha costruito tutto Repentless. Tom Araya la narra con tutto il dolore e tutta la rabbia di cui è capace, con la sua voce fangosa e roca, una raspa fastidiosa e coinvolgente, affascinante nella sua grettezza e nella sua capacità di emozionare come poche altre, rifacendosi a suoni e stili di metà anni Ottanta, quelli della  giovinezza della band, quando il suono era crudo e non arricchito dall'acustica delle maestose sale d’incisione odierne. Il nuovo organico funziona splendidamente: al posto di Dave Lombardo ritroviamo Paul Bostaph (malvisto dalla vecchia guardia, ma a mio avviso bravissimo e dotato di una personalità tutta sua), mentre la new-entry più clamorosa è Gray Holt degli Exodus alla seconda chitarra. Come se non bastasse, Kerry King compone il 100% del disco, e crea un'inattacabile fortezza sonora. 
Al contrario di ciò che si poteva supporre fino a pochi anni fa, gli Slayer sembrano l'unico complesso trash a marciare in senso contrario alle tendenze di un genere che ormai avanza campando (male) di rendita e distruggendo ciò che le generazioni precedenti hanno costruito. A loro interessa comunicare quello che c’è dentro la testa e l'anima, ma a modo loro: non sempre vengono capiti, è vero, e i testi di Hanneman prima e di Araya e King poi vanno girati e rigirati per trovare il codice d’accesso ai loro significati. Il risultato (stupefacente) di Repentless è un mix tra le radici americane della musica trash, le produzioni di Rick Rubin e uno speed metal a volte ingentilito dalla  presenza in console di Terry Date (non dimentichiamoci che questo è anche il primo disco del gruppo ad uscire per la Nuclear Blast) e a volte volutamente esasperato nella sua efficiente spontaneità. 
Il disco comincia con il tetro introitus di Delusions Of Saviour ed esplode con la title-track, singolo heavy dell'anno, video dell'anno, con ogni probabilità brano trainante del disco metal migliore di tutto il 2015. E poi c'è Take Control, che cattura immediatamente, strappa un sorriso, strizza l’occhio anche a chi- come me -gli Slayer non li ha mai venerati come delle divinità.  King e Holt sono due artisti che si amalgano al meglio e suonano come ai bei tempi. Vices fa degna coppia sia con l'aggrazziato speed di Cast The First Stone che con l’eleganza dark di When The Stillness Comes. Siamo solo a metà di Repentless, ma già in questi primi sei brani ci sono tutti gli Slayer di oggi. L'album prosegue con un paio di passaggi secchi e veloci (Chasing Death, Implode), e poi cede il passo al rimpianto e all’amarezza di Piano Wire, estremo e postumo contributo firmato da Hanneman. Il percorso riprende con la recuperata e meglio ri-registrata Atrocity Vendor, una b-side di World Painted Blood dal testo che è bene non pronunciare. Anche in You Against You la band non molla la presa: il disagio ti salta addosso, le parole sono dure, piangere è proibito. La voce di Araya non crolla e si addentra in Pride In Prejudice, estrema landa popolata da miserabili di ogni sorta.
La batteria di Bostaph incede inesorabilmente, la chitarra di King- che forse non è mai stata tanto brillante -naviga nel suo Lete personale, la musica va dove la portano gli Slayer e non dove vuole lei. Il gruppo termina il proprio racconto di sangue e dolore con questa canzone, chiude un grande album che fa pensare, ci obbliga a specchiarci nella desolazione morale e materiale che ci circonda. In Repentless nulla può annoiare e tutto, a partire dalla copertina, può lasciare sconvolto l’ascoltatore: non c’è via di mezzo, non c’è pietà per nessuno, Dio e il Diavolo guardano da un’altra parte mentre la tragedia si consuma in tutta la sua drammaticità.
 <<Dopo il licenziamento di Dave Lombardo e la morte di Hanneman dovevano smettere!>>, dicevano. E invece loro piazzano uno dei loro album migliori di sempre, un lavoro che fa venire i brividi e che, per quel che mi riguarda, va dritto a fare compagnia a Reign In Blood e South Of Heaven. Scusate se è poco.

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