venerdì 4 settembre 2015

Sinister II [Recensione]

In un vecchio post della rubrica Album parlavo di cinque film che nel 2013 non avevo fatto in tempo a vedere in sala o in streaming, ma che comunque invitavo ad acquistare in DVD o Blu-Ray. Fra questi trovava spazio Sinister, diretto da quello Scott Derickson che si era fatto le ossa- un po' malamente, bisogna dirlo -fra sequel di Hellraiser e remake di vecchie pellicole (Ultimatum alla terra). Tuttavia, pur non essendo un capolavoro, Sinister poteva vantare dei bravi attori, una trama semplice e ben congegnata e una messinscena eccellente. Non buona o discreta: eccellente.
Mi ero dimenticato di aggiungere una cosa: Sinister era un film che non necessitava di un seguito. Ma dall'epoca che ha fatto della inopportuna spremitura di idee uno dei suoi tratti tipici, cosa vogliamo aspettarci? Uscito il 21 agosto negli Stati Uniti e distribuito da noi dalla Koch (unico neo, almeno attualmente, fra le loro proposte horror), Sinister II è diretto da Ciaran Foy, irlandesino indipendentista (ma non indipendente) a cui hanno fatto montare il capo ai tempi di Citadel (2012) e al quale hanno affidato un soggetto dello stesso Derickson e qualche soldino in più rispetto al primo capitolo (quest'ultimo punto è pienamente condivisibile, visto che il primo film, costato 3 milioni di dollari, ne ha incassati un'ottantina in tutto il mondo).
In comune col suo predecessore, Sinister II ha una storia semplicissima (una mamma scappa dal marito violento, portandosi dietro i figli, si rifugia in una casa di campagna e Bughuul è lì ad aspettarli) e la presenza del vice-sceriffo (James Ransone). Per il resto, la cinepresa si muove poco e male (come tutto il film), non esiste tensione e manca il colpo di scena. Il problema di base è che la paura latita. In questo e in miriadi di altri horror estivi o tardo-estivi (Babadook escluso) la paura non c'è, e se c'è riguarda esclusivamente l'incapacità recitativa degli attori. Un film così funziona male sullo schermo del computer, della tv e, ovviamente, in sala. Di Foy non ho visto altro, ma la speranza che vada a lavorare lontano, in un mercato cinematografico che non comprende spedizioni di pellicole in Italia c'è tutta.
Mi sta bene sapere che siamo ridotti allo schifo, ma a volte è davvero troppo.

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