sabato 3 gennaio 2015

American Sniper [Recensione]

Dopo neanche sei mesi dall'uscita di Jersey Boys, nonno Clint Eastwood è di nuovo al cinema con un suo film. Un suo gran bel film, visto che si parla di American Sniper, nuova pagina di storia americana impressa su pellicola ad opera del regista californiano.
Il personaggio scelto è Chris Kyle (Bradley Cooper, che a ogni film migliora), cecchino texano, cristiano a modo suo, patriottico fino all'imbecillità, autore di oltre centocinquanta uccisioni (in guerra si dice "uccisione") e ottuso come un triangolo ottusangolo: insomma, il soldatino perfetto, quello dalla mira infallibile, quello accanto a cui i commilitoni si sentono invincibili e gli ufficiali al sicuro. La sua storia è quella di tante vittime del "sistema a stelle e strisce": cresciuto come "cane da pastore" in una famiglia bigotta, Chris cavalca nei rodei, va a caccia, sogna una vita da cowboy assieme al fratello e alla sera non si toglie il cappello, appoggia gli stivali sul tavolinetto davanti al televisore e beve litri di Lone Star. Alla fine degli anni '90 la sua ragazza lo lascia, perchè a letto "non vale un cazzo" (del resto, è noto l'assioma grande fucile, piccolo uccello) e lui si arruola nei navy-seals, il corpo speciale dell'esercito americano. Diventerà The Legend, la leggenda dei tiratori scelti nella guerra in Iraq, ucciderà uomini, donne e bambini come fossero sagome di cartone, sarà destinato a diventare l'uomo più ricercato dalle milizie irachene e troverà un valido rivale in Mustafa, siriano, ex-oro olimpico nel tiro a segno. Ma soprattutto Chris Kyle diventerà un vero eroe, uno di quelli per i cui funerali si chiudono le scuole, si bloccano le autostrade e si issano le bandiere a mezz'asta. 
Eastwood gira, non giudica. Prende un soggetto affrontabile da punti di vista differenti e lo fa suo, complice quella sorta di "regia invisibile" che ha fatto grande il suo Cinema: ci mostra la vita di un interventista che in quanto tale è qualcuno solo con un fucile in mano, un personaggio che non sta bene all'inizio del film e che in tempo di pace è un padre di famiglia afflitto da manie di persecuzione e incapace di trovare un suo posto nel mondo. La costruzione del carattere del protagonista è la forza autentica di American Sniper: Kyle è cieco, non vuole vedere quello che una buona fetta di mondo (Eastwood compreso, come si legge in molte interviste) può avere visto nella guerra in Iraq. Per lui, sul campo di battaglia si combatte davvero la guerra fra buoni e cattivi, fra bene e male, manco fossimo in un fumetto di super-eroi (quel numero del Punisher che il suo compagno di branda legge all'inizio). Non c'è pentimento e non c'è redenzione, non siamo di fronte all'uomo a cui la guerra fa cose terribili ma che, tornato a casa, diventa mansueto come un agnellino e più tollerante di un buddista olandese. Anche per questo, American Sniper era un soggetto ingestibile sia per il buonista Spielberg (nel 2012 doveva dirigerlo lui) che per l'ultra liberal David O. Russell (indicato da Cooper come regista del progetto più per motivi di amicizia che per altro): e invece, grazie a Eastwood- che gira uno, due film l'anno con una grazia impagabile -tutto è perfetto, tutto è dove deve essere (perfino le impressionanti immagini dei titoli di coda) e tutto è aperto alla chiave di lettura che lo spettatore preferirà adottare.

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