lunedì 18 marzo 2013

[Recensione] Buongiorno papà

I quotidiani non sono riviste di cinema. Leggere la pagina dei film consigliati presenti in sala non è come leggere una copia di Nocturno, e fin qui nulla di strano. Ma cosa ci consigliano i giornali? Tutto. Alla fine, leggere la pagina del cinema del Corriere o di Repubblica è come guardare, da ubriachi (perchè solo da ubriachi lo si può vedere), Il cinematografo di Marzullo, il programma di RAI 1 dove tre critici finiscono sempre con l'essere d'accordo su tutto e dove la merda diventa un piatto di alta cucina, prelibato quanto le linguine all'astice del Gambero Rosso.
Vuole il caso che in questo triste fine settimana il film più consigliato dopo l'Oz di Raimi (che avevo già visto) fosse Buongiorno papà, di tale Edoardo Leo: una "commedia brillante", "intelligente" e interpretata da grandi attori, tanto da guadagnare una media di quattro stelle su siti di settore come Coming Soon, Movieplayer e MyMovies. Come accade sempre, è il pubblico a votare e rilasciare anche qualche giudizio: leggo così di persone che, convinte di andare a vedere un cinepanettone tardivo, sono rimaste incantate da questa storia così bella e profonda, che abbraccia temi che vanno dal rapporto padre-figlia al precariato, dalla "sindrome di Peter Pan" al cinema stesso. Insomma, tirando le somme, mi ero quasi convinto che sarei andato a vedere qualcosa che poteva finire col convincermi.
E invece no.
Buongiorno papà è il trionfo di una mediocrità di successo tutta italiana. Parenti e i Vanzina girano film mediocri, talvolta pessimi, ma un minimo di "mano", un barlume di "mestiere" lo dimostrano sempre. Leo, invece, no. Alla sua seconda prova da regista, questo cialtrone 42enne, laureato in lettere (110 e lode), attore teatrale, cinematografico (già in To Rome With Love) e "regista" mette in scena quella che, magari nella sua testa, poteva essere una commedia amara dai risvolti sociali e pedagogici. Lo fa raccontando di come il quarantenne Andrea (Raul Bova), ricco manager di una società di product-placement attento solo ad apparire e non ad essere, scopra di avere una figlia, Layla (Rosabell Laurenti Sellers), una 17enne alternativa e problematica, orfana di madre e accudita dal nonno Enzo (Marco Giallini), un borgataro new-age. Nel tentativo di risultare un padre decente, lo aiuta l'amico Paolo (Edoardo Leo), 35enne precario e unico punto di incontro fra la mentalità egoistica di Andrea e quella più "fricchettona" di Enzo e Layla. 
La cosa che mi ha fatto più piacere andando a vedere questo film è che nessuno, in sala, ha riso, neanche i ragazzetti di undici anni, che magari si accontentano di un culo di fuori per abbandonarsi ad urla sguaiate: mi ha rincuorato percepire non tanto la noia o lo sdegno degli altri spettatori, quanto una certa "stanchezza", stanchezza nel vedere- appunto -un culo di fuori, stanchezza nell'udire battute sugli omosessuali (piaga cinematografica che, nonostante il progresso della civiltà, in Italia continua a imperversare in maniera volgare e gratuita), stanchezza nell'osservare Raul Bova girare a caso per Roma su un'auto di lusso, stanchezza nell'assistere alle solite scenette fra un padre che ha da farsi perdonare e una figlia adolescente incompresa. Se si pensa che Menandro creò la "commedia degli equivoci" proprio per meravigliare un pubblico avido di sorprese e di colpi di scena, quasi si prova imbarazzo di fronte agli equivoci prevedibilissimi di Buongiorno papà. Non ho mai detto che bisogna andare al cinema solo per piangere, riflettere o provare emozioni forti, e capisco che la persona media possa arrivare alla domenica e propendere più per la commedia leggera che per quella sofisticata (mi viene in mente, sempre in sala in questi giorni, Il lato positivo), ma non è questo il modo. I produttori (in questo caso i Lucisano, veri maestri dell'intrattenimento di bassa categoria) hanno le loro responsabilità dal momento in cui decidono di finanziare (con il sostegno del Monte dei Paschi) un film simile, ma la colpa più grande l'ha sempre e comunque il pubblico, un pubblico per cui "intrattenimento" non coincide con "intelligenza", bensì con "imbecillità", un pubblico che si accontenta e che si lascia prendere per il culo, un pubblico che vive il cinema come forma allargata della televisione, precludendo un cinema di intrattenimento di buon livello non solo ad una fetta di spettatori dai gusti un minimo più esigenti, ma anche ad una cerchia di autori che- al contrario di Edoardo Leo -sanno sicuramente molto bene come realizzare un film. 
Ci si lamenta tanto della crisi, di quanto è cara la vita, e di tante annose questioni. C'è un accanimento specifico nei confronti del prezzo del biglietto cinematografico (quando, se si volessero fare confronti, il cinema è l'unica forma d'arte a prezzi popolari). Allora, proprio in virtù di quei sudati sette euro e cinquanta, cerchiamo di dirigere meglio le nostre scelte e di non fare il solito discorso da pecore <<Ma, sai... cerchiamo qualcosa per svagarsi... qualcosa tanto per...>>: è proprio questa frase e la conseguente visione di un film come Buongiorno papà che danno l'impressione di aver speso male quei soldi. E se uno non se ne pente, ma al contrario è quasi felice di aver passato due ore di "allegria", non è solo cinematograficamente ignorante e mentalmente limitato: non deve proprio votare. Il retorico e ipocrita discorsetto sulla soggettività dei gusti è stato creato per giustificare l'imbecillità di chi non capisce nulla in certi campi, in particolare in quelli artistici; quindi, per cortesia, risparmiamocelo.
Un'ultima cosa. Ho mentito quando ho scritto che non ho riso vedendo questo film: infatti, sui titoli di coda sono scoppiato a ridere, davanti alla scritta "direttore della fotografia...". Per due ore ero stato convinto che fosse una figura del tutto assente.

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