sabato 2 marzo 2013

L'attesa [Trame]

PREMESSA

Ormai cerco sempre di preparare per tempo la "reliquia" mensile destinata a Trame. Dopo il lungo La canzone di Janie dello scorso mese, per questo marzo 2013 ho scelto una composizione più breve e leggermente più recente. A me non piace, ma non sempre si deve postare solo ciò che ci piace. Buona lettura.

L'ATTESA

Il Nina Bar era un luogo alquanto isolato e insolito, specie se ci si sofferma a pensare al tipico Internet Caffè dell'Italia del Nuovo Millennio. Con i suoi interni in legno e trofei di caccia appesi alle pareti rappresentava una sorta di ultimo baluardo collinare per quei pochi avventori che ancora non si erano arresi ai cibi surgelati e alle patatine fritte consumate come unica portata di un pranzo. Lando e sua moglie Ida erano i proprietari del Nina dalla fine degli anni '70, quando Franco (detto “Bocca”) glielo vendette per pochi soldi, prima di ritirarsi in un monolocale freddo e maleodorante, ove morì nel giro di qualche mese.
In una sera di fine ottobre, Lando si ritrovò a versare Jeger nel bicchiere di un avventore notevolmente più giovane dei contadini che, alla stessa ora, si ritrovavano per il rituale del grappino e briscola. Non avendolo mai visto prima, lo squadrò bene da capo a piedi, rimanendo però sempre concentrato sul proprio lavoro: portava scarpe da tennis che un tempo dovevano essere state bianche, jeans scuri e stirati, un parka verde militare da cui spuntavano fuori una cravatta nera e il colletto bianco di una camicia; nel tirare fuori da una tasca interna il portamonete, lasciò intravedere anche una giacca gessata color Bordeaux. L'esile e bianco collo induceva a pensare che il ragazzo fosse magro; gli zigomi erano pronunciati, gli occhi scuri e privi di espressione, il viso sbarbato, i capelli castani non molto ben pettinati. Lando vide il giovane raccogliersi nel palmo della mano destra molti più spiccioli di quanti ce ne fosse bisogno e allungare lo sguardo dietro il bancone, verso la piccola mensola dove erano esposte le sigarette. <<Un pacchetto di Benson, per piacere...>> disse scandendo bene le parole e lasciando intendere una dizione ottima. <<Effettuate servizio ai tavoli?>> chiese all'anziano gestore indicando una minuta sala ristorante alla sua sinistra. <<Sì... vuole mangiare qualcosa?>> domandò Lando cercando di assumere una dizione corretta quasi come quella del suo cliente. <<No, no...è che aspetto un amico e volevo sapere se dopo potessimo ordinare da bere al nostro tavolo...>>. La risposta fu secca: <<Sicuramente...>>.
Fabri si sedette al tavolo, di fronte ad un paniere con della schiacciata secca. Ripensò a quando sua madre la portava a casa e lui ne mangiava fino a scoppiare. Odiava questo tipo di ricordi, ma amava vivere nel passato. Si accese una Benson e sentì che era la prima di una lunga serie. Questa è una serata da sigarette spente in un “crogiuolo di memorie” pensò. Buttò uno sguardo attraverso la vetrata del bar, bagnata da poche gocce di pioggia autunnale, e controllò se il suo Gran Cherokee del '97 desse fastidio a qualche nuovo arrivato. Aveva comprato quella macchina nel terzo dei suoi grandi trasferimenti nazionali, quando era andato ad abitare vicino al lago di Santo Stefano con la bella Marianna. Si era improvvisato pittore ed era riuscito, con una vendita di quasi tutte le sue opere, a pagare in anticipo quasi un anno di affitto di una bella villa. Gli ampi saloni straboccavano di oggetti d'arte di ogni tipo, giunti in eredità da un ricco zio di Marianna: erano perlopiù cianfrusaglie, che però Fabri riusciva a far apparire, agli occhi dei propri ospiti, come autentici capolavori barocchi e ottocenteschi. Questo era dovuto alla sua abilità retorica e alla sua conoscenza profonda dell'arte. <<Non sono un falsario, ma un rivalutatore!>> amava ripetere alla compagna. Il gioco andò avanti per diverso tempo, con personalità illustri che si recavano sempre più frequentemente in quel museo domestico e le entrate finanziarie che andavano di pari passo con l'afflusso di visitatori. Le signore, anziane matrone piene di gioielli, si facevano spesso catturare dalla parlantina pacata e mai fastidiosa di quel giovane dai modi garbati e dal modo di apparire elegante e disinvolto, arrivando a rilasciare assegni milionari. Questi colpi andarono a segno fin quando non si presentarono svariati critici, che bollarono gli oggetti della villa come “ciarpame” e scrissero su riviste e quotidiani la triste storia di una giovane coppia che, per farsi spazio nel bel mondo, era costretta a spacciare una pessima raccolta di oggetti d'arte per capolavori a dei vecchi ricchi ed indifesi. Non ci furono multe o processi, solo qualche scandalo. Marianna lasciò Fabri e tenne la casa sul lago. Ripartito, andò a cercarsi nuovamente una ragazza benestante e una professione che gli permettesse di assicurarsi un buon posto nella società. Non era la prima volta che andava a finire così, con la ragazza scomparsa e il giovane costretto a ricorrere a nuovi trucchi. Eppure un tempo non succedevano queste cose ad uno come Fabri, che già in giovane età aveva trovato l'amore e cercava di assicurarsi un futuro. Nessuna ragazza con cui mise in atto i suoi piani diabolici e le sue delinquenze fu mai amata realmente; solo la prima, quella per cui se ne era andato da un paese che sorgeva qualche chilometro sotto il Nina Bar, poteva aver ricevuto il suo amore, tutto il suo amore. Peccato che la avesse uccisa senza pietà, quando aveva scoperto che era sul punto di lasciarlo. Il cadavere era stato bruciato da lui stesso e ogni traccia cancellata: era stato bravo. Fuggì dunque dalle colline e iniziò la sua vita di intraprendente falsario a giro per tutta la nazione. Allora aveva compiuto da poco 18 anni: ne erano passati più di 10. Fabri era ritornato al paese per costituirsi, per liberarsi dal pesante fardello che gli albergava nel cuore da oltre un decennio. “L'amico” che aspettava quella sera al bar non era altro che Ivano, il carabiniere locale, il primo che avrebbe avuto l'onore di sapere la vera storia. Ogni minuto passato senza che l'uomo di legge si presentasse era, per il giovane, simbolo di ulteriore colpevolezza, di un peccato sempre più difficile da espiare. Davanti a Fabri, una delicata distesa di bicchieri prendeva forma sul tavolo, circondando un posacenere ormai stracolmo di Benson. Le luci della saletta ristorante erano veramente basse e scaraventavano gli avventori in uno stato di sonnolenza inaudito; nessuno osava alzare gli occhi verso la televisione, ma, ad un certo punto, Fabri lo fece. Si vide dentro la scatoletta vetrata, a confessare tutto e ad essere ripreso dai TG, poi nelle interviste carcerarie e con quei pezzi di merda che lo invitavano ad ogni tipo di seminario per rimettersi in carreggiata, per ritrovare la retta via. La galera era il posto per lui, un posto che sapeva di meritarsi, un soggiorno che aveva rimandato per tanti anni. Guardò nuovamente attraverso la vetrata: nessuno. Pensò di fuggire anche dal Nina Bar, da Ivano il carabiniere, dal paese in cui aveva trovato l'amore che gli aveva rovinato una vita: era abituato a fuggire e amava farlo. Meditò a lungo se andarsene anche quella sera e tornare fra altri 10 anni, ma non voleva più scomparire. La testa gli doleva all'inverosimile a causa di quel flusso di pensieri; ci voleva la medicina. Estrasse dal parka una confezione di Aspirina e buttò giù tre pasticche di fila, accendendosi una sigaretta subito dopo. <<Mi scusi...>> disse quando Lando passò vicino alla porta <<gradirei un altro bicchierino...>>. Il proprietario lo guardò con aria compassionevole e si diresse verso il bancone. Gli occhi vuoti di Fabri, forse senza senso e liberi da ogni traccia di felicità, si illuminarono per la prima volta quando vide arrivare un Defender con i lampeggianti sopra e con scritto “Carabinieri” sulla fiancata. Lando si avvicinò al forestiero imbambolato, con un bicchiere di Grand Marnier nella mano sinistra e un tovagliolo bianco in quella destra. <<Questo lo offre la casa...>> sibilò.






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